Ecumene

Domenica, 16 Ottobre 2005 21:21

Il martirio nell'Islam. Prima parte (Maria Domenica Ferrari)

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Il martirio nell'Islam
prima parte
di Maria Domenica Ferrari

Nel Corano la parola šahîd (1) è impiegata con il significato di testimone in senso legale. Per i commentatori musulmani in alcuni versetti, però, šahîd si deve interpretare nel senso di martire (2).

Gli islamologi Wensinck e Goldziher pensano invece che il sovrapporsi dei sensi sia post-coranico e si debba a un prestito dal siriaco. Tra i cristiani della Siria si era infatti stabilito una connessione linguistica tra l'atto di testimonianza ed il martirio. Per i musulmani questa equivalenza non è però così evidente. Nel Corano non c'è legame tra l'idea di morte sul “sentiero di Dio” e l'atto di testimonianza e questo per le condizioni storiche in cui si sviluppò l'islam: i primi martiri furono i morti in combattimento. I dotti musulmani si trovarono così di fronte al problema di giustificare in che modo il martire fosse divenuto anche testimone. Dalle soluzione adottate sembra che in realtà non sapessero perché le due idee si unirono.

Come detto, i primi martiri sono i morti nelle battaglie e la devozione popolare ricorda in particolare questi compagni di Muhammad che si lanciavano in combattimento con coraggio mentre la tradizione letteraria riporta le loro gesta e li abbellisce.

Ai martiri vengono risparmiate le sofferenze della morte, andranno direttamente in Paradiso senza passare per il Giorno del Giudizio e sederanno presso il trono di Dio. Il Paradiso promesso dal Corano viene così descritto: “ma coloro che credono e operano il bene li faremo entrare in giardini alle cui ombre scorrono i fiumi dove resteranno in eterno, sempre, e avranno ivi spose purissime, e li faremo entrare in ombrosa ombra.” (IV; 57).

I martiri sono divisi in due gruppi che si differenziano per lo speciale rito di sepoltura, riservato al primo “i martiri di questo mondo e dell'altro” cioè i “martiri in battaglia” e al secondo gruppo coloro che sono martiri solo nell'altro mondo.

Il corpo del martire del primo gruppo, per la maggioranza dei giuristi, non deve essere lavato, come previsto dal rito della sepoltura e viene sepolto con i vestiti che indossava al momento della morte, ma non con le armi.

Sul fatto di pregare sui martiri vi è divisione; alcune fonti dicono che Muhammad l'abbia fatto in occasione della battaglia di Uhud, altre lo smentiscono. La preghiera non è necessaria poiché in virtù del martirio viene purificato dai peccati.

Con il la fine dell'espansione territoriale l'idea di martirio ebbe uno sviluppo interno alla Comunità musulmana. L'ideale del martirio marcò i Kharigiti (3), che si definivano i “venditori” in quanto vendevano la propria vita terrena in cambio del Paradiso. Non combattevano contro gli infedeli, ma per un ideale di giustizia e purezza e il martirio era lo scopo perseguito.

I conflitti interni alla Comunità musulmana sono la base su cui si appoggia la formazione del pensiero sciita del martirio. A Karbalâ’ nel 680 Husayn, figlio di ‘Ali e nipote di Muhammad, fu ucciso con il suo seguito, tra cui donne e bambini, per ordine del califfo ommaiade Yazîd. Nel pensiero religioso sciita la morte di Husayn assumerà il significato di morte redentrice di valenza cosmica. La rievocazione del fatto è l'avvenimento principale del calendario religioso degli sciiti, ma i dotti, se da un lato lo venerano, dall'altro si sono ben guardati da farne un modello d'imitazione.

L'influenza del sufismo, che privilegia la spiritualità rispetto agli atti esterni e il quietismo musulmano che si contrappone all'islam militante di gruppi ribelli come quello kharigita, accentuano l'allargarsi del concetto di martirio raggiungibile da tutti i devoti musulmani.

Il martirio è alla portata tutti coloro che coscientemente vivono gli obblighi del buon musulmano, e la morte diviene un elemento secondario.

La categoria dei martiri con il passare del tempo si allargò sempre più includendo morti di vario genere:

a) i morti per morte violenta o prematura: comprende chi muore mentre sta servendo Dio, chi è ucciso per il proprio credo, chi muore per incidente o malattia, incluse le donne morte per il parto, chi muore per un'amore non corrisposto, rimanendo casto e chi muore lontano da casa emigrato a causa di persecuzione.

b) i morti di morte naturale come coloro che stanno compiendo il pellegrinaggio, chi sta pregando, chi durante la vita si è comportato virtuosamente.

c) coloro che si impegnano nel “grande jihâd", quello all'interno di se stessi.Un famoso hadîth dice che l'inchiostro dei dotti ha maggior peso del sangue dei martiri.

Tra i sufi abbiamo uno sviluppo indipendente del martirio che culmina con al-Hallâj (m. 922) crocifisso con l'accusa di essere blasfemo per aver affermato l'unione mistica con Dio con la celebre frase: “Ana 'l -haqq” Io ( Dio) sono la Verità.

In seguito al colonialismo l'idea di martirio da pio ideale si trasforma e riacquista le caratteristiche di lotta militante. Contro il quietismo medioevale e i moderni riformisti si colloca Hasan al-Banna (1906-1949) il fondatore dei Fratelli Musulmani per cui non solo il jihâh è un dovere individuale, ma invita ogni musulmano a prepararsi all'idea di martirio. Questa ricerca del martirio ricorda quella dei Kharigiti condannati dai dotti musulmani. I recenti atti di suicidi con bombe sono germogli di questa idea militante.

Nella Sciia moderna si è assistito a un processo simile: il martire cede la sua vita per un'ideale più importante e duraturo. L'ayatollah al-Taliqanî ( 1910-1979) citando il poeta sufi al-Rûmî dice che il martirio è parte di una catena di sacrificio che rende perfetto l'imperfetto.

Note

(1) Nell'arabo odierno šahîd indica il martire, šâhid invece è il testimone giuridico. (2) III, 140 “.....e noi alterniamo fortuna e sfortuna fra gli uomini, perché Dio possa riconoscer coloro che credono e trasceglierne Martiri; ma Dio non ama gli iniqui”. Altri traduttori hanno scelto invece testimoni. (3) Sono coloro che non accettarono l'arbitrato tra ‘Ali e il governatore della Siria Mu‘âwiya, contestarono l'istituzione di un tribunale umano per questioni divine ed uscirono dalla comunità (Kharaja in arabo). La maggior parte di questi primi musulmani dissidenti erano lettori di Corano.



Letto 2837 volte Ultima modifica il Sabato, 04 Febbraio 2006 11:23
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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