Ecumene

Domenica, 08 Maggio 2005 19:26

Sant’Andrea e la Chiesa del Terzo millennio (Vladimir Zelinskij)

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Sant’Andrea
e la Chiesa del Terzo millennio
di Vladimir Zelinskij

 


Cosa resta della suddivisione del mondo in campi d’azione che fu fatta alle origini della missione cristiana, quando gli apostoli vennero mandati
ad gentes? Invece di conservarli e di tradurli in gelose contrapposizioni, il cristianesimo del Terzo millennio deve spalancarsi al nuovo mondo, in un rinnovato slancio missionario che della Tradizione conservi solo l’essenziale, e l’unità.

Immaginiamo per un minuto un mosaico, uno di quegli antichi mosaici conservatisi solo a frammenti che rivestivano le cupole o le pareti delle antiche chiese bizantine. Supponiamo che un ignoto maestro, in una certa cattedrale, abbia deciso di dispiegare davanti a noi l’intera storia dell’Incarnazione del Verbo di Dio, trasmettendo attraverso le pietruzze il racconto degli evangelisti. Entrati nella cattedrale ci troviamo di fronte a una raffigurazione in cui ogni tessera musiva rappresenta un rigo di Vangelo. Alzando gli occhi vediamo prima di tutto l’immagine di Cristo al centro, dominante sugli altri, circondato dai dodici apostoli. Vi sono degli apostoli la cui figura è tracciata, o meglio scolpita dai versetti evangelici in modo più ricco e pieno, come Pietro e Giovanni. E tuttavia, di molte raffigurazioni è rimasto soltanto il nome, l’orma di una persona vivente che ha attraversato a suo tempo la storia, tutto il resto - agiografia, martirio, glorificazione – si è composto in un’immagine organica solo più tardi, nella Tradizione.

Fra questi apostoli - che diremmo "di prima grandezza" - e tutti gli altri, Andrea si pone per così dire a mezza via, la sua immagine è costituita soltanto di poche "tessere" evangeliche. Noi possiamo tentare di ricostruire la figura intera dell’apostolo, non come fu in vita (operazione quasi impossibile), ma quale ci è stato tramandato in qualità di "messaggero", come la bocca che ha pronunciato quel particolare annuncio che ci è stato inviato proprio attraverso di lui. Infatti tutto ciò che sapremo in seguito di Andrea dai racconti agiografici, - i suoi pellegrinaggi apostolici verso le coste del Mar Nero, "nella terra di Frigia" e "nella Propontide" come dice san Dimitrij di Rostov, la benedizione del luogo dove sarebbe sorta Kiev, quindi il martirio a Patrasso – non è che la continuazione e lo sviluppo di quell’annuncio. Leggendo attentamente questi passi, cerchiamo di comporli come pietruzze per ricostruire le parti mancanti del nostro mosaico. Cominciamo dal primo capitolo del Vangelo di Giovanni.

"Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)" e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)" (Gv 1, 40-42).

Abbiamo trovato il Messia

In un primo momento Andrea, che faceva ancora il pescatore in Galilea, era stato discepolo di Giovanni il Battista. Da lui il futuro apostolo avrebbe sentito per la prima volta le parole che in bocca a Cristo sarebbero diventate la Buona Novella: "Il regno dei cieli è vicino". Ma cosa significava questo regno nelle parole di Giovanni? Quando Giovanni predicava, sembrava che il regno, pur restando invisibile, si ergesse minaccioso e fiammeggiante davanti agli uditori, pronto a concedere grazia e ad accogliere nella "sua ammirabile luce", ma anche a giudicare con ira, ira che sembrava levarsi come un’onda oscura alle spalle del profeta, pronta ad abbattersi. "Razza di vipere!" esclama Giovanni rivolgendosi a farisei e sadducei che sono venuti da lui per farsi battezzare, "Chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente? Fate dunque frutti di conversione" (Mt 3, 7).

La predicazione del più grande dei profeti "nati da donna", Giovanni il Battista, annuncia l’imminente regno messianico e il giudizio, il quale, secondo le parole di san Pietro, deve iniziare "dalla casa di Dio" (1 Pt 4, 17). "Il regno è vicino…" e Andrea ha saputo ascoltare. È lui cronologicamente il primo testimone del passaggio più importante o, per usare una terminologia eucaristica, della "frazione" della fede esigente dei profeti nella fede degli apostoli, una fede che parla del realizzarsi di ogni promessa nella venuta di Gesù di Nazaret. In quel "mormorio di un vento leggero" (1 Re 19, 12) con cui Gesù si è manifestato al mondo, egli riconoscerà il regno messianico e l’Unto stesso, atteso da tanti secoli. Prima ancora di Pietro, Andrea dà una definizione della fede apostolica. "Abbiamo trovato il Messia, che significa il Cristo". Questa formula assumerà la sua compiutezza teologica in Pietro: "Tu sei il Cristo, figlio del Dio vivente". La confessione di Pietro è più ardita, più ampia, la confessione di Andrea vale per sé e per il fratello, infatti dice "abbiamo". In questa comune confessione di Andrea e Pietro risuona la voce del regno "che viene", della legge e dei profeti che si compiono nel Messia.

Tuttavia Gesù, nell’atto di assumere il nome di Cristo, sa che questo nome diventerà una confessione piena soltanto dopo la Croce. "Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo" (Mt 16, 20). È necessario che egli compia l’altra parte della profezia: diventare il servo sofferente, l’Agnello offerto in olocausto, "soffrire molto". Tutto questo Andrea, Pietro e gli altri discepoli ancora non lo potevano accettare. Pur confessando la fede apostolica nel Messia che viene, essi rimangono per ora solo suoi discepoli. Sarà Gesù stesso che farà di loro degli apostoli nel vero senso della parola.

"Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini"" (Mt 4, 18-19).

Pescatori di uomini

Le parole di Gesù si realizzano immediatamente: Andrea si affretta a fare ciò cui è chiamato. Essendo "pescatore", egli "pesca" Pietro, poi Filippo; Filippo, a sua volta, diventa "pescatore" di Natanaele. Le "reti degli apostoli" ancor oggi sono il simbolo della missione, il dono dell’annuncio. Ma qual è il segreto di questa "pesca di uomini"? Da dove viene agli apostoli il potere sulle anime umane?

Torniamo ancora a considerare la chiamata di Andrea. Essa inizia con la frequentazione del Signore. Giovanni il Battista, "fissando lo sguardo su Gesù che passava disse: "Ecco l’agnello di Dio!". E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: "Che cercate?". Gli risposero: "Rabbì, dove abiti?". Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui" (Gv 1, 35-39). Riflettendo su questo incontro, sant’Agostino dice: "Uno dei due era Andrea. Andrea era fratello di Pietro, e dal Vangelo sappiamo che Cristo invitò Pietro e Andrea a lasciare la loro barca dicendo: "Vi farò pescatori di uomini". Cristo mostrò loro dove viveva, ed essi andarono e restarono con Lui. Che giornata meravigliosa devono aver trascorso! Chi potrà dirci cosa avranno sentito dal Signore? Edifichiamo anche noi nel nostro cuore una casa in cui il Signore possa venire e ammaestrarci, e possa rimanere per conversare con noi" (Omelia 9).

"Essendo restato con Gesù, e avendo imparato tutto ciò che Gesù gli insegnava", dice san Giovanni Crisostomo, "Andrea non nascose in sé questo tesoro, ma si affrettò dal fratello per comunicargli il tesoro che aveva ricevuto". Ascolta bene ciò che disse: "Abbiamo trovato il Messia, che significa il Cristo" (Gv 1, 41)… Le parole di Andrea erano le parole di un uomo che attendeva con impazienza la venuta del Messia, la sua discesa dai cieli; di un uomo che fu tutto pervaso dalla gioia quando vide la Sua venuta, così che si affrettò a comunicarla agli altri" (Omelia 19 sul Vangelo di Giovanni) (1).

Anche dalle poche menzioni ad Andrea che si trovano nella patristica possiamo tracciare la struttura interiore del suo apostolato: l’attesa del Signore e del Suo regno assieme al profeta, l’incontro col Signore faccia a faccia, la gioia della rivelazione, la fermezza della confessione, quindi la predicazione dell’annuncio che aveva ascoltato e accolto col cuore, a coloro che ne avevano bisogno, a chi cercava di ascoltarlo. "La fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo", dice san Paolo (Rm 10, 17). Al seguito di Cristo l’apostolo "aprì la mente all’intelligenza delle Scritture" (cfr. Lc 24, 45), e tuttavia queste Scritture non sono semplicemente annotate "con l’inchiostro e lo stilo" sulla pergamena o la carta, ma sono incise con la voce di Cristo "sulle tavole di carne dei vostri cuori" (2 Cor 3, 3). Il dono di diventare apostolo consiste nell’"ascoltare le Scritture" e predicarle al cuore dell’uomo dall’interno, nel far sì che questi abbia intelligenza di sé fino in fondo, fino all’ultima profondità accessibile nella Parola di Dio, poiché solo in Cristo possiamo conoscere e vedere noi stessi fino in fondo. L’apostolo non avrebbe potuto catturare nessuno nelle reti di Cristo, se Cristo stesso, non riconosciuto come il seme nella parabola del seminatore, non fosse stato "gettato" in ogni uomo.

Come avvenga questa "pesca" apostolica lo vediamo dalla storia di Natanaele. Filippo, che "era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro" (Gv 1, 44), porta da Cristo Natanaele, il quale è convinto a priori che da Nazaret non possa venire niente di buono. Ma Cristo gli dice delle parole che lo trapassano per la sorprendente conoscenza che dimostrano. "Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico" (Gv 1, 48). E Natanaele non si limita a ricordare qualcosa, ma soprattutto riconosce se stesso sotto lo sguardo del Dio vivo, in quell’episodio del passato "sotto il fico" che era noto solo a lui e a Dio. Così avviene il miracolo dell’incontro; riconoscendo il Signore, l’uomo riconosce di nuovo anche se stesso. "Sarebbero manifestati i segreti del suo cuore", dice san Paolo, "e così, prostrandosi a terra adorerebbe Dio, proclamando che veramente Dio è fra voi" (1 Cor 14, 25).

Il "pescatore di uomini" conduce l’uomo ai segreti del suo cuore, al sacramento della conoscenza del Dio vivo, ma lui stesso non accede a questi segreti, e non partecipa all’incontro. È come se Andrea si tirasse da parte, come se si allontanasse; si limita a "condurre" qualcuno, a "dire" a qualcuno, a presentare, a far conoscere, a mostrare la via, lui che durante la vita terrena di Cristo si è semplicemente trovato al Suo fianco. Così, avendo visto un giorno una grande folla raccolta per ascoltarlo, e vedendo che la gente aveva fame, Gesù dice all’apostolo Filippo: ""Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?" Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare… Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: "C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?"" (Gv 6, 5,8).

La moltiplicazione dei pani, l’incontro con gli elleni

Altri due importanti passi evangelici sono legati alla partecipazione e alla mediazione di Andrea, e tutti e due toccano l’essenza stessa del suo servizio apostolico. Sto parlando della moltiplicazione dei pani e della prima comparsa dei gentili nel contesto evangelico, di quei greci che erano venuti per la festa a Gerusalemme e avevano voluto vedere Gesù. In entrambi gli episodi il ruolo di Andrea è oltremodo modesto, quasi impercettibile; in uno di essi egli parla all’apostolo più anziano del cibo di cui è in possesso un ragazzo; nell’altro, assieme a Filippo annuncia a Gesù l’arrivo degli elleni. Tuttavia, se leggiamo la Bibbia come la leggevano un tempo i Padri, anche in questi due passi possiamo cogliere l’allegoria di cui è carica ogni frase della Scrittura. La moltiplicazione dei pani contiene in sé la visione profetica del pane "sceso dal cielo", come si definisce Cristo stesso, è la chiara prefigurazione dell’Eucaristia. Gesù sazia con cinque pani e due pesci un’enorme folla di popolo; dopo la Sua resurrezione sazierà col proprio corpo generazioni e generazioni di cristiani. "Tu infatti o Cristo Dio nostro sei colui che offre e colui che viene offerto; colui che riceve e colui che viene distribuito", si dice in una preghiera sacerdotale della liturgia ortodossa. Una delle vocazioni apostoliche consiste appunto nell’adempiere questa profezia: compiere il sacramento della moltiplicazione dei pani, quando ormai Cristo non è più tra noi nella carne, "creare nella memoria di Cristo", nel pane eucaristico che diventa il Suo corpo e la Sua Chiesa, mettendosi però in disparte nel far questo. Essere la parola di Gesù, il gesto di Gesù, l’annuncio di Gesù, il miracolo compiuto dalle Sue mani, infine la Sua stessa presenza sacramentale, senza mai coprire neppure un lembo di questa presenza con se stessi.

La moltiplicazione eucaristica dei pani, accanto all’annuncio del Verbo, è lo scopo e il significato interiore dell’apostolato, che è volto innanzitutto a "moltiplicare" Cristo stesso, il Suo nome, la Sua vita, la Sua opera di salvezza. Questa moltiplicazione è già iniziata durante la vita del Salvatore, quando ha preso a diffondersi rapidamente sulla terra l’annuncio che le profezie si sono avverate, che il Messia è venuto sulla terra, che il Verbo di Dio parla agli uomini per bocca di Gesù. I greci giunti per la festa a Gerusalemme alla vigilia della Pasqua "si avvicinarono a Filippo… e gli chiesero: "Signore, vogliamo vedere Gesù". Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: "È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo"" (Gv 12, 22-23).

Gesù sa che il suo cammino terreno ormai volge al termine. Inviato dal Padre celeste solo alle "pecore perdute della casa d’Israele" (Mt 15, 24), il Messia di cui parlavano la Legge e i profeti, va verso la crocifissione, per poi "essere glorificato" come Signore di tutti i popoli. L’incontro con gli stranieri anticipa la Sua glorificazione, che sarà opera dello Spirito Santo e degli apostoli. Questi dovranno diventare testimoni della nuova era, lavoratori e portatori dell’annuncio pasquale. Questo annuncio è destinato a tutti i popoli. La confessione di Andrea e Pietro parlerà per bocca dei loro lontani e ignoti discendenti. Il nome di Cristo sarà udito fino agli estremi confini della terra.

"Per tutta la terra è corsa la loro voce, e fino ai confini del mondo le loro parole" (Rm 10, 18), ricorderà san Paolo il Salmo 18.

Il territorio di Andrea

Di qui inizia la divisione del mondo in confini, che poi diventeranno i territori apostolici.

"I confini della terra", leggiamo nella Storia della Chiesa russa di Anton Kartas'ov, "sono soltanto il compito massimo, lo scopo, la direzione. Da Gerusalemme sono tracciati idealmente dei raggi, e i settori compresi fra di essi rappresentavano i territori della missione apostolica, che per le loro dimensioni universali superavano le possibilità fisiche e la durata stessa della vita di un uomo. Gli apostoli, recandosi a predicare nella direzione assegnata a ciascuno… venivano mandati dallo Spirito Santo… esattamente in quei determinati paesi, quindi essi in linea di principio, sul piano spirituale (e su quello concreto, nella persona dei loro continuatori e successori) diventavano gli apostoli di quei determinati paesi e dei popoli che li abitavano; erano i loro protettori celesti nella storia, per sempre". (2)

Sicuramente dopo la Storia della Chiesa russa scritta da E. Golubinskij, la versione per cui l’apostolo Andrea sarebbe approdato nella regione del fiume Dniepr e avrebbe benedetto il luogo dove, a distanza di cinque secoli, doveva sorgere la città di Kiev, non è più considerata come un fatto reale, scientificamente dimostrabile, e tuttavia la realtà spirituale di questa tradizione rimane valida e viva ancor oggi. Per altro, il senso di una tradizione può cambiare col tempo, obbedendo a quello che "lo Spirito suggerisce alle Chiese", come dice l’Apocalisse. Per noi oggi non è tanto importante il fatto della diretta discendenza apostolica del cristianesimo nella Rus’, di cui tanto andavano fieri i nostri antenati, ma piuttosto il fatto di concepire la Chiesa russa come parte del territorio della Gerusalemme storica e celeste. In sostanza, i confini a cui gli apostoli sono stati inviati dallo Spirito Santo, e dove magari essi non sono mai giunti fisicamente, sono diventati nuove province del regno di Dio, che "viene" nella penitenza predicata dal Battista, nella fede messianica abbracciata da Andrea, nella confessione di Pietro divenuto roccia della Chiesa, nelle visioni di Giovanni che ha dischiuso i misteri del regno di Cristo. Difficilmente qualcuno di noi potrebbe affermare che un territorio apostolico, il nostro o uno altrui, si è mantenuto perfettamente fedele a questo regno, tuttavia la nostra infedeltà non rende la vicinanza del regno più lontana, la rende solo umanamente più difficile. Poiché, come dice Gesù, "Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono" (Mt 11, 12).

Questo "impadronirsi" del regno di Dio, che come compito interiore è affidato al singolo cristiano e a tutta la Chiesa, porta in sé una memoria storica e al tempo stesso escatologica. Il regno di Dio è venuto nel Cristo storico, crocifisso sotto Ponzio Pilato, che ha inviato i "pescatori di uomini" perché lo portassero in tutta la terra, ma questo regno deve ancora venire nel "regno del secolo futuro", nel "Figlio dell’uomo che viene sopra le nubi del cielo" (Mt 24, 30). E tuttavia i due regni non sono divisi come sono divise le nostre Chiese; il territorio terreno del Salvatore non è diviso da quello celeste e non si contrappone ad esso, sono le due realtà dell’unico regno, del quale "ci si impadronisce" per gli sforzi apostolici, cui spetta il compito di aprire la strada a questo regno nella storia, di legare le due realtà, quella passata e quella futura in una sola, che diventerà un presente indescrivibile, la vita in Dio. Agli apostoli (e quindi ai loro successori) è dato lo spazio, "i confini della terra" cui sono stati mandati, ma è dato anche l’intero tempo storico, l’intero cammino da un regno all’altro da percorrere. E non soltanto percorrere, ma portarvi tutta il proprio territorio terreno, per inserirlo nel futuro regno di Cristo, che non avrà mai fine.

Perciò, se la Chiesa russa rimane "territorio mistico" dell’apostolo Andrea, anche l’intero cammino storico di questa Chiesa, dalla leggendaria benedizione del I secolo fino all’ingresso nel regno del secolo futuro, si può considerare tempo del suo apostolato, iniziato già in Galilea, poi dopo la Pentecoste nella Gerusalemme storica, e ritornato infine alla Gerusalemme celeste. E in questa nuova Gerusalemme si incontreranno alla fine, e si uniranno tutti i territori apostolici con tutte le loro Chiese. Così, dopo l’Ascensione, si incontrarono a Gerusalemme i discepoli di Cristo; "salirono al piano superiore dove abitavano. C’erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelota e Giuda di Giacomo" (At 1, 13).

Questo piano superiore si è spalancato "fino agli estremi confini della terra" (At 1, 8).

Il Terzo millennio

Dov’è oggi questo piano superiore abitato dagli apostoli? Dove sarà domani? Certe volte guardiamo con tanto amore, quasi con passione, il nostro passato, la nostra tradizione e la preziosa eredità dei secoli trascorsi, che stacchiamo gli occhi dal futuro. Ma il futuro non lascia che ci dimentichiamo di lui. Viene, com’è venuto un tempo Giovanni il Battista, e parla di giudizio, di penitenza, dell’ira divina, del regno che si avvicina. Il giudizio si può manifestare nelle persecuzioni, com’è accaduto nel XX secolo alla Chiesa russa, o nell’asfissia spirituale, morale, culturale del cristianesimo che incombe inesorabilmente su di noi. Ciò che chiamiamo oggi "globalizzazione", se ne consideriamo l’aspetto più profondo, quasi intimo, è opera di una nuova razza umana, una razza che "non ha orecchi per sentire", come dice il Vangelo, che ha perso l’udito per la Parola di Dio, che perde la vista interiore e non ne vede il Volto.

Grazie ai mezzi per scambiarsi le informazioni, la terra fino ai suoi confini più estremi ci sta in pugno, come dice un proverbio inglese, il mondo è diventato la nostra ostrica (the world is our oyster), che possiamo mangiare come vogliamo. E tuttavia l’informazione stessa può mangiare, inghiottire o tagliare a fette noi, fare di noi il proprio schermo, un oggetto, un accumulatore. Penso che stiamo assistendo solo alle prime doglie del parto, che preannuncia la nascita di un mondo apparentemente nelle mani dell’uomo. E in questo mondo, sotto i nostri occhi si disperde, si volatilizza l’aria stessa di cui il cristianesimo respira. Le parole che erano dense di significato per noi 2000 anni fa, e in base alle quali continuiamo a comprenderci e a riconoscerci l’un l’altro - giudizio, penitenza, speranza, salvezza, preghiera, timor di Dio, rapporto col Signore - si disseccano, perdono il proprio contenuto mentale, e lentamente passano nella categoria degli oggetti da museo, venerandi, divertenti, dimenticati, praticamente inutili. Cosa sarà di tutti i territori apostolici e delle nostre Chiese storiche nell’aria rarefatta del nuovo millennio? A differenza di molti ortodossi, io non penso che non abbiamo niente da offrire alla storia futura, oltre a una rapida fine, cruenta e fiammeggiante. E se oggi viviamo in un’epoca di crisi del cristianesimo, in tempi di crescente apostasia, il cui acme non è ancora stato toccato, mi pare di cogliere al di là di questa un nuovo ritorno della Buona Novella, che non parlerà nella lingua di un mondo morto e sepolto, ma in quella del mondo che nasce sotto i nostri occhi, e gli sarà comprensibile, verrà recepita così come fu recepita due millenni fa: come il lieto annuncio della salvezza. La Buona Novella ritroverà se stessa immancabilmente anche in questa nuova esistenza che sembrerebbe così lontana dal cristianesimo, saprà ritrovare un terreno sotto i piedi, attraversare la terra "fino agli estremi confini", non in senso spaziale, infatti per la parola non c’è più spazio, ma in senso antropologico, saprà arrivare a nuovi "estremi confini" dell’uomo.

Come dev’essere la Chiesa di Cristo per percorrere il cammino che le sta davanti? Cosa deve rimanere e cosa deve rinnovarsi? Cosa, della sua eredità, è segnato col marchio incancellabile degli apostoli? Nel pormi queste domande torno col pensiero ad Andrea, il primo chiamato.

Il Vangelo di Andrea

L’immagine di Andrea nel Vangelo è resa con pochi tratti, apparentemente casuali. Ma nelle Sacre Scritture non c’è mai niente di casuale. Sono tratti precisi e lievi, tanto lievi che sembrano quasi confusi, se però li consideriamo con più attenzione creano una sorta di icona dell’apostolo, come l’immagine di una vetrata.

E quel poco che si dice di Andrea ci aiuta non solo a ricostruire la sua figura, ma anche a rileggere la Buona Novella a partire dai pochi segni che ne denunciano la presenza. Ovunque Andrea si presenta come un intermediario, come un messaggero. Porta suo fratello Simone, il quale diventerà principe degli apostoli, parla a Gesù degli elleni che Lo vogliono vedere, Gli riferisce le parole sui pesci e il pane che nutriranno una folla di uomini, e questo avviene alla vigilia della crocifissione e glorificazione di Gesù. Dietro a tutti questi segni si indovina un’allegoria: il "pescatore di uomini" li rende discepoli del Salvatore, il pane terreno diventa pane celeste, la mediazione fra Gesù e gli stranieri diventa missione, e la missione porta con sé l’annuncio pasquale. E in tutto questo vediamo l’apostolo quasi simile al suo primo maestro Giovanni, che poteva dire di sé: "Egli deve crescere e io invece diminuire" (Gv 3, 30).

Giovanni annunciava il giudizio e il regno, ma sia il giudizio che il regno vengono sempre, sono nascosti nella nostra storia terrena. Il giudizio, o crisi, può toccare tutto, anche ciò che consideriamo sacro per noi, inseparabile dalla nostra fede. Eppure, riflettendo sul destino del cristianesimo nel terzo millennio, mi piace ricordare le parole di Teilhard de Chardin: dietro a ogni crisi Cristo ritorna rinnovato. E dopo ogni crisi, in ogni epoca fino alla fine dei secoli, verrà gente nelle cui parole la presenza dell’apostolo Andrea non farà che rinnovarsi, come si rinnova un’icona:

"Abbiamo trovato il Messia, che significa il Cristo".

Note

1) Patrologia Greca 59, 120-121.
2) A. Kartas'ov, Oc'erki po istorii Russkoj Cerkvi, Mosca 1993, v. 1, pp. 50-51.

Letto 1816 volte Ultima modifica il Giovedì, 08 Settembre 2005 00:39
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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