Ecumene

Sabato, 07 Maggio 2005 20:04

Protestanti. Elementi per un dialogo ecumenico (Renzo Bertalot)

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Entrano in conflitto la testimonianza interiore dello Spirito e l'incidenza di un magistero ecclesiastico e delle confessioni di fede. La discussione ecumenica su Maria non può svincolarsi da questa problematica che dev'essere risolta in altra sede.

III. ELEMENTI PER UN DIALOGO ECUMENICO

1. L’interpretazione della Scrittura

È questo un argomento che impegnerà il dialogo ecumenico ancora per molto tempo e che non manca d'incidere sul modo d'intendere e ricostruire insieme le fondamenta di auspicabili convergenze. Per tutti i cristiani è chiaro che lo Spirito Santo è l'interprete della Scrittura: «Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26); «Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future» (Gv 16,13). Tutte le confessioni cristiane s'inchinano ossequienti di fronte a questi passi, ma sorge immediatamente l'interrogativo sul come dell'azione dello Spirito. Ed è su questo come che insiste la nostra divisione attuale. Entrano in conflitto la testimonianza interiore dello Spirito e l'incidenza di un magistero ecclesiastico e delle confessioni di fede. La discussione ecumenica su Maria non può svincolarsi da questa problematica che dev'essere risolta in altra sede.

1.1. Cristo-Maria

Per dare un esempio della complessità della situazione attuale possiamo servirci dell'interpretazione del binomio: Cristo-Maria. Se diciamo: "Per Mariam ad Jesum", i protestanti reagiscono negativamente leggendo in questo rapporto una funzione mediatrice di Maria che tende ad usurpare il titolo di mediatore, riservato unicamente al Cristo (1Tm 2,5 e Gal 3,19-20). Ma è buona teologia protestante guardare alla Scrittura come allo strumento che ci conduce a Cristo. Ora nella Scrittura la funzione strumentale è svolta dai profeti e dagli apostoli, da tutti i testimoni, nessuno escluso, neppure Maria. "Per Mariam ad Jesum" può, quindi, indicare un settore della testimonianza biblica in cui Maria svolge autorevolmente il suo compito verso di noi. Si potrà dire che non si tratta di un settore isolato e soprattutto non del solo settore. D'accordo. Non per questo bisogna eliminarlo o ridurlo ad importanza secondaria. Se, invece, diciamo "Per Jesum ad Mariam si può reagire d'istinto e dire: è forse Cristo diventato mediatore tra gli uomini e Maria? Si può, tuttavia, leggere correttamente il rapporto seguendo il suggerimento di Hebert Roux: occorre conoscere la testimonianza di Cristo su Maria per capire, in un secondo tempo, la testimonianza di Maria su Cristo. In altre parole la formula può indicare la comprensione della figura di Maria nel contesto della cristologia del NT. Sembra dunque inutile contestare le formule quando è in gioco la loro interpretazione.

1.2. Metodo ecumenico

Nel nostro secolo abbiamo imparato lentamente, all'interno della ricerca comune, a superare la tentazione di un ecumenismo spaziale. Esso si proponeva di confrontare, precisare e chiarire le rispettive posizioni dottrinali, ma al termine di questo processo informativo diretto veniva a mancare una via d'uscita e si doveva registrare un blocco metodologico. L'esperienza vissuta insieme e il contatto con gli ortodossi ci hanno proposto, con successo, una via diversa: quella dell’ecumenismo temporale. Invece del semplice confronto diretto si cerca di riandare insieme alla Scrittura e alla storia. A questo punto diventa più facile capirsi e progredire nello studio dei temi comuni. Vengono così evidenziati gli elementi non teologicidella divisione delle chiese e sì è costretti a riformulare insieme i contenuti della fede cristiana. Anche il discorso su Maria dovrà approfittare di queste indicazioni di metodo.

2. Prospettive

Bisogna affrontare l'isolamento confessionale da tutti i lati possibili senza cedere alla tentazione di privilegiare una scelta particolare. Vi sono molti aspetti pratici e teorici che continuamente si sovrappongono e che devono essere analizzati separatamente prima di metterli a confronto per trarne risultati utili al cammino comune.

2.1.W. Borowsky

È un pastore luterano. Ci indica alcune linee di ricerca per il lavoro ecumenico sul nostro tema. Egli parte dalla constatazione che vi sono tre settori da considerare a livello pratico: il consenso, la tollerabilità e l'inconciliabilità.

Seguendo ed elaborando queste indicazioni notiamo che il consenso riguarda la testimonianza biblica su Maria, la sua vita e le sue parole. La madre del Signore si trova alla cerniera tra l'AT e il NT. All'annunciazione siamo confrontati con la sua libertà davanti a Dio e la sua disponibilità: un'immagine della chiesa. Nel Magnificat, Maria ci annuncia chi è suo Figlio con una predicazione gioiosa del vangelo, la quale costituisce oggi ancora un punto di riferimento essenziale per tutta la comunità cristiana. Ci ricorda che la venuta del messia ha una forte incidenza nella trasformazione della società. Alle nozze di Cana, Maria riassume con una frase il contenuto di ogni testimonianza scritta, orale, teorica e pratica di tutti i secoli: «Fate tutto quello che egli vi dirà» (Gv 2,5). Questi non sono che pochi esempi sui quali molto si è scritto separatamente e poco si è lavorato insieme. Di qui l'urgenza di un impegno comune concreto che sblocchi l'isolamento tradizionale della nostra riflessione teologica.

Borowsky presenta un secondo settore di ricerca dove si può esercitare la tolleranza reciproca. Si tratta della nostra unità nella diversità. È l'area dei dogmi mariani più recenti. I protestanti dicono di non conoscere queste affermazioni perché non le ritrovano nella bibbia. Gli ortodossi le relativizzano rispetto al cattolicesimo. Ma è pur vero che nulla impedisce una descrizione di Maria fatta con colori ambientali diversi. Certo molti protestanti avrebbero delle obiezioni da fare a Borowsky nella misura in cui le descrizioni incidono non solo sulla forma, ma anche sui contenuti e il loro riferimento cristologico. Il dialogo potrebbe quindi fermarsi a questo punto rispettando, ignorando o rifiutando la diversità. Si potrebbe, invece, cerca re di leggere le intenzioni originarie e tentare di andare al di là del modo in cui i dogmi sono stati formulati per riscoprire il deposito comune della fede. Facciamo un solo esempio. L'apostolo Paolo scrive: «Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia...» (Gal 1,15). L'espressione ritorna spesso nella bibbia. Non potrebbe aiutarci a comprendere meglio le intenzioni originarie del dogma dell'immacolata concezione? Porsi questa domanda significa passare da un ecumenismo spazialead uno temporale. Certo non si parlerebbe ancora di un privilegio di Maria rispetto agli altri testimoni dell'AT e del NT, ma si potrebbe forse fare un passo avanti, non subito verso un consenso, ma almeno verso una più facile comprensione delle divergenze. All'interno delle diversità, l'unità verrebbe evidenziata.

Borowsky indica, infine, un settore in cui, anche oggi, le posizioni rimangono inconciliabili. Esso riguarda i titoli mariani: mediatrice, consolatrice, avvocata, regina, ausiliatrice... I protestanti li ritengono scrupolosamente riservati alla Trinità (lTm 2,5; Gv 14,16 e 26; 18,37; lGv 2,1; Sal 121). Su questi titoli si basano il culto, la venerazione e la devozione mariani. I protestanti vi leggono uno slittamento teologico poco sostenibile su base biblica. Già Lutero diceva che prendere a Cristo il suo onore e la sua funzione per darli a sua madre significa rinnegare le sofferenze di Cristo. Non resta, dunque, nulla da fare in questo settore? Per Borowsky si può cercare insieme di ridurlo al secondo così come il secondo dovrebbe essere ricondotto al primo. In pratica bisognerebbe operare una descalation di carattere dottrinale.

Facciamo alcuni esempi prolungando a nostra volta le intuizioni pratiche del Borowsky. Adoperando il termine di analogia il cattolicesimo tradizionale (G. Roschini) ha individuato una via per stabilire la relazione che corre tra Cristo e Maria. Il protestantesimo vi legge un tentativo di completare e integrare la figura del Signore e non si sente di condividerlo sul piano biblico. Bisogna tuttavia notare che le difficoltà sorgono sul come viene spiegata l'analogia. In se stessa dovrebbe essere recuperata proprio sul piano della Scrittura. A meno che vogliamo abbandonarci senza riserve alle filosofie che ci sono più care, non vi è altro modo di capire l'uomo, e quindi Maria, se non quello di stabilire un'analogia, perché «noi non conosciamo più nessuno secondo la carne» (2Cor 5,16). Si apre così una linea di ricerca comune sulla quale ritorneremo.

Se parliamo di Maria come mediatrice, dobbiamo innanzi tutto tenere presente che uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini (1Tm 2,5), ma dobbiamo anche non dimenticare che la predicazione dei discepoli è una mediazione di Cristo e della sua parola: «Chi ascolta voi ascolta me» (Lc 10,16). K. Barth parla del predicatore come del vicario di Cristo, dell"' alter Christus". In questo contesto il protestante riafferma di considerarsi un servo inutile" (Lc 17,10; 1 Cor 1,31) anche se impegnato a servire con tutta la sua vita. Qual è il rapporto tra queste due mediazioni? Possiamo cercare di rispondere insieme a questo interrogativo ed arrivare così alle intenzioni originarie. Ambasciatore o plenipotenziario?

Molto si è scritto sul tema dell'annunciazione (Lc 1,26ss). Il "fiat" di Maria è stato interpretato diversamente e spesso in reciproca contraddizione. Si potrebbe cercare insieme di rileggere l'episodio alla luce di Is 55,11: «Così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata». Non è forse questa una chiara profezia del giorno dell'annunciazione? Se così è, possiamo, in sede di ecumenismo temporale, affrontare insieme le divergenze di un tempo per cercare di facilitare un cammino comune.

2.2. Cooperazione alla grazia

È possibile affrontare il discorso ecumenico su Maria partendo da un punto di vista meno pratico e più vicino alla teologia sistematica. Per poter parlare di Maria dobbiamo avviare un lavoro di ricerca a monte e spiegarci reciprocamente che cosa intendiamo per collaborazione dell'uomo alla grazia di Dio. Vi sono passi biblici che entrano in gioco a questo punto: 1Cor 3,9 e 2Cor 6,1. Le interpretazioni non sono convergenti e in esse s'inseriscono degli elementi non teologici, presi a prestito dalla nostra cultura classica, che riemergono ogni volta quando si affronta l'argomento del sinergismo.

Finché il terreno non sarà sgombrato da questi malintesi, sarà difficile avvicinare le proprie linee di studio e di ricerca. K. Barth vede nell'ecclesiologia cattolica una struttura di fondo basata sulla cooperazione e terminante nella mariologia. Nel dialogo tra cattolici e protestanti bisogna far luce su queste premesse teologiche.

Non è, tuttavia, possibile procedere oltre senza confrontarci su un altro argomento a monte: il primato della grazia, dell'iniziativa di Dio, della predestinazione. Dobbiamo così riesaminare insieme una pagina di storia che ci impegna ad interrogarci sull'attualità di Pelagio e di Agostino.

A livello dei massimi teologi del nostro tempo, è maturata una linea di consenso che oggi è offerta alla meditazione delle comunità cristiane. Scrive in proposito il teologo cattolico Henri Bouillard: «Il risultato al quale noi arriviamo, seguendo i più classici tra gli esegeti cattolici del XX secolo, coincide... nelle sue grandi linee con l'interpretazione che Barth propone e di cui fa il centro della sua dottrina» (5). La centralità della cristologia, che rende evidente l'iniziativa di Dio a favore dell'uomo, permette di lavorare insieme per sviluppare le conseguenze sul piano ecumenico e di progettare il futuro cammino. E da questa prospettiva che si potrà passare al discorso sulla cooperazione per liberarlo dalle contrapposizioni che ancora caratterizzano le nostre rispettive teologie.

Infine, come ultima tappa, si ritornerà alla figura di Maria. K. Barth, pur ritenendo che la mariologia è nata e si è sviluppata passando accanto alla Maria reale, non esita a parlare dell'esempio che la madre del Signore ci lascia: coopera con lui esclusivamente sotto forma di servizio (6). Prendiamo quindi atto che, già oggi nonostante il lungo tragitto che ci rimane da percorrere, è possibile parlare, nell'ottica barthiana, della collaborazione di Maria. Una pista di ricerca è comunque avviata là dove le divergenze non prevedevano uno spazio sufficientemente ampio per il dialogo ecumenico.

2.3. Grazia e natura

Una terza linea di ricerca, che collateralmente illumina il lavoro sul nostro tema, può essere l'esame del rapporto tra le nozioni di grazia e di natura sovente oggetto di contrapposizioni teologiche. Nel 1932 K. Barth concentrava, nella prefazione alla sua dogmatica, le ragioni del suo dissenso con Roma intorno al concetto di "analogia entis". È importante ricordarlo, perché, al confronto, gli altri motivi gli apparivano puerili e destituiti di senso. Egli contrapponeva la "analogia fidei" alla "analogia entis", per evitare ogni possibile confusione tra l'essere di Dio, il totalmente altro, e l'essere dell'uomo. Dal 1951 in poi il contrasto è andato chiarendosi soprattutto per merito di Hans Urs von Balthasar. Questo teologo cattolico arrivava alle conclusioni che lo stesso Tommaso d'Aquino pensa secondo le categorie della "analogia fidei" che comprende in sé, come un suo momento, la "analogia entis". Così anche Henri Bouillard che ritenne la tesi di Barth valida all'interno della teologia cattolica ufficiale. La polemica sembra, dunque, terminata in questa prospettiva. Nella misura in cui si può parlare di un consenso in via di chiarificazione e di maturazione, possiamo dire di avere dinanzi a noi una pagina di storia, abbozzata insieme a una nuova proposta di lavoro comune. Dal canto suo K. Barth non esiterà a costruire sulla "analogia fidei" una sua ontologia e a rivalutare espressioni teologiche antiche come: la natura prepara alla grazia e l'uomo è naturalmente cristiano (7). Il discorso è interessante per il nostro tema perché possiamo, con K. Barth, parlare di Maria, e di ogni altro credente, come di una testimone strutturata nel suo essere in vista della grazia, dell'elezione e della vocazione. Si tratta di una determinazione divina che non vuol dire paralisi dell'intelletto o sostituzione della personalità, ma piuttosto che la ragione, il corpo e il sentimento sono chiamati ad essere quel che sono, a mettersi a disposizione di Dio, ad essere attivi e liberi. Il volere e la conoscenza non agiscono più contro natura, ma in conformità alla natura voluta da Dio. Queste intuizioni teologiche, nel contesto della "analogia fidei", riverberano la loro luce nella ricerca ecumenica generale su Maria e lasciano intravedere un approfondimento sostanziale delle nostre rispettive premesse.

Ancora una volta il terreno sembra essere sgombrato da alcune difficoltà tradizionali. Abbiamo ricordato sopra la necessità di riesaminare insieme il termine di analogia. Lo studio del rapporto grazia-natura ce ne offre l'occasione.

2.4. Maternità della chiesa

È l'apostolo Paolo che può aiutarci, in ottica protestante, a fare un salto dalla cristologia all'ecclesiologia per approfondire l'argomento del nostro tema. «Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo» (1Cor 4,15). Egli considera la funzione di "padre" più preziosa di quella di pedagogo. Per lui non v'è nessuna contraddizione con le parole del Signore: «E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo» (Mt 23,9). Sa di essere un servo "inutile" perché: «Chi si vanta si vanti nel Signore» (1Cor 1,31). Quando parliamo della chiesa "madre" e "maestra" dobbiamo richiamarci a queste indicazioni dell'apostolo Paolo. Per la Riforma protestante non era difficile parlare della chiesa, madre che ammaestra e genera nella fede. Lutero e Calvino lo hanno fatto con chiarezza. In seguito l'espressione ha perso popolarità ed è stata anche combattuta: non "mater" e "magistra", ma "filia" e "discipula". È un discorso da riprendere ed approfondire non solo separatamente. Il problema si allarga a tutti i testimoni biblici, non esclusa Maria, perché essa ha generato nella fede ed ha insegnato in tutti i secoli: basti ricordare i commenti al Magnificat, tra cui quello ben noto di Lutero. In questa prospettiva si potrebbe fare un passo avanti dall'ecclesiologia alla figura biblica di Maria. Essa è per il protestantesimo un 'immagine della chiesa e un esempio da imitare. Se non smorziamo frettolosamente la sua testimonianza dalle sue labbra, essa costituisce un punto di riferimento, non l'unico, per una sempre maggior verifica del significato della nostra vita individuale e comunitaria. Ci è così offerta un'altra linea di ricerca sull'essenziale. Per il protestantesimo le parole di Gesù, in croce, a Giovanni, offrono più allegoricamente che teologicamente una prospettiva di lavoro comune.

2.5. Maria madre del Signore

Maria non è chiamata, innanzi tutto, ad essere una testimone, ma ad essere la madre del Signore (Lc 1,43). È testimone di questo fatto. La vocazione specifica di Maria è stata la sua partecipazione libera e attiva, in senso barthiano, al miracolo di natale. Come testimone ci spiega quello che le è accaduto in quell'evento. Nessuna creatura umana si è trovata più direttamente coinvolta con tutto l'essere suo, spirito, anima e corpo, nell'agire del Dio trinitario. Il fatto è unico e irripetibile come Cristo stesso è irripetibile. Neanche gli apostoli hanno aggiunto ulteriori spiegazioni a quelle che troviamo sulla bocca di Maria. Non è un segno di carenza, ma piuttosto di essenzialità alla quale non possiamo che aggiungere il nostro 'Amen' e il nostro 'Alleluia'.

2.6. Maria e l'unità della chiesa

I problemi aperti sono e restano molti. Abbiamo voluto indicare alcune possibilità di ricerca in un tempo in cui mancano ancora punti di riferimento comuni all'interno del dialogo ufficiale. La situazione di fatto sembra lasciar intendere che la figura di Maria è piuttosto un ostacolo all'incontro delle chiese divise, almeno per quanto riguarda i rapporti tra cattolici e protestanti. Un ecumenismo spaziale si trova a fare i conti con queste difficoltà. Se invece azzardiamo, contro i ritardi della nostra epoca e delle nostre inclinazioni tradizionali, ad adottare un ecumenismo temporale, possiamo anche parlare di Maria come di un punto di riferimento per la ricerca dell'unità e del rinnovamento delle chiese.

All'annuncio della nascita di Gesù, Maria risponde all'angelo inviatole da Dio: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Maria non pensa a se stessa con criteri umani. Non ha molte speranze di ascolto tra gli uomini del suo tempo. È invece straordinariamente libera a motivo della parola rivoltale da Dio. Conoscere il dono incondizionato di questa libertà è il segreto dei credenti e quindi del cammino comune dei cristiani. In questo senso Maria non è al margine dell'ecumenismo, ma ne diventa l'animatrice e il modello. Di fronte a lei non ci resta che l'atteggiamento di chi ha tutto da imparare, una volta ancora e ogni giorno di nuovo.

3. Verso nuovi orizzonti

Il cammino qui presentato richiama le prospettive maturate fino agli ultimi decenni del secolo scorso. Da parte protestante vi sono state perplessità sul contributo innovativo segnato dal Nuovo Dizionario di Mariologia, ma vi sono stati anche chiarimenti sulla travagliata nozione di "cooperazione". Così J. Moltmann (cooperazione non ex se sed ab alio et in aliis), G. Hamman (cooperazione in virtù della grazia che tutti ricevono) e A. Birmelé (cooperazione come strumentalità trasparente della chiesa). Da parte cattolica Giancarlo Bruni ha richiamato l'antico interrogativo: il sì di Maria rende possibile la grazia o viceversa? Stefano De Fiores ci ricorda che c'è stato un tempo in cui il sì di Maria era interpretato come "causa" di salvezza mentre oggi si può dire che lo Spirito Santo rende attivo il sìdella Vergine. In ambito cattolico si fa oggi largo uso del termine "icona" in parallelo ai cristiani ortodossi. I protestanti rimangono perplessi davanti al nuovo termine. Sopravvivono tendenze iconoclaste in assonanza con ebrei e musulmani. Intanto la dichiarazione comune sulla giustificazione per fede firmata da cattolici e luterani mette a fuoco il problema della "sola gratia" nei confronti dei meriti e stimola approfondimenti futuri.

Renzo Bertalot

Note

5) H. BOUILLARD, Karl Barth, vol. 2, Parigi 1957, p. 146.
6) K. BARTH, Dogmatique, Labor et Fides, Genève, vol. 26, p. 258.
7) R. BERTALOT, Ecumenismo protestante, Gribaudi, Torino 1968, p. 60ss.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

AA.Vv., La Vierge Marie, Mame, Tours 1968;
AA.Vv., Il Salvatore e la Vergine-Madre, Marianum, Roma 1981;
AA. Vv., Maria nella comunità ecumenica, Edizioni Monfortane, Roma 1982;
R. BERTALOT, Ecumenismo protestante, Gribaudi, Torino 1968;
W BOROWSKY, Incontro delle confessioni in Maria, in Maria ancora un ostacolo insormontabile all'unione dei cristiani?, Centro di Studi Mariologici Ecumenici, Torino 1970;
B. GHERARDINI, La Madonna in Lutero, Città Nuova, Roma 1967;
R. MEHL, Du Catholicisme romain, Delachaux et Niestlé, Neuchàtel 1957;
G. MIEGGE, La Vergine Maria, Claudiana, Torre Pellice 1950;
M. THURIAN, Maria Madre del Signore, immagine della Chiesa, Morcelliana, Brescia 1965.

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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