Del buon uso di un ortodosso
di Vladimir Zelinskij
“Spiegateci, quando il Papa andrà finalmente a Mosca?”; “Perché la Chiesa Russa parla sempre di proselitismo? Davvero il problema è così grave?” “Qual’è la politica religiosa di Putin?” E così via. Mi sono abituato a queste o simile domande. Le conosco a memoria. Conosco anche le risposte a questi “perché?” e “quale?”, che possono essere semplici, un po’ taglienti e... poco interessanti. Non sapremo proprio un bel niente dell’ortodossia con queste visite-lampo in un’altra realtà, un'altra mentalità, un'altra visione del mondo.
Un'escursione nel campo della politica ecclesiale, per dire la verità, è proprio l’ultima che mi piacerebbe fare. Non è qui il nostro punto di gloria. Ma il destino dell’ortodosso in Occidente è prima di tutto di essere chiamato come il rappresentante di turno di un certo enigma psicologico d’Oriente; poi, di servire da guardiano di un museo un po’ esotico che tutti ammirano dall’esterno (i canti, le icone, i Padri...), ma che pochi aspirano a penetrare sul serio. Al di fuori di questi due incarichi (aggiungiamo anche lo scarso lavoro nelle comissioni miste, che è roba da teologi), il “polmone orientale” non è particolarmente invitato a respirare accanto a quello occidentale; tutti i grandi problemi del cristianesimo di fronte al mondo contemporaneo di solito sono discussi in altre compagnie.
Ammetiamo di praticare anche noi analoghi atteggiamenti: il guardare con un po' di superiorità, dall’altezza della nostro torre d’avorio, sulle piccole faccende della storia e di proclamare con l’aria un po’ offesa che siamo quasi vittime di una nuova crociata. (Non facciamo il paragone, però, fra i russi convertiti al cattolicesimo e gli occidentali che sono attirati dall’ortodossia). Forse, tutto questo proviene dal fatto che culturalmente gli “orientali” rimangono fuori uso; in questi ultimi anni, centinaia di migliaia di loro sono venuti in Italia (clandestini ieri, regolari oggi, cittadini dopo), ma dove si può sentire la loro voce? Certo, il loro imperativo vitale è la sopravvivenza fisica e l’aiuto alle famiglie; ma il bisogno della soppravvivenza dell’anima segue sempre ad esso e quasi gli è inseparabile. Non si tratta solo del luogo del culto o di un club della canzone popolare; anche il pensiero venuto dall’Est potrà chiedere un giorno lo spazio per sè.
La saggezza antica e sempre rinascente della Chiesa d’Oriente è ancora in attesa di essere reclamata. E allora un amico cattolico prima di chiedermi sul viaggio sempre rimandato del Papa (io, da parte mia, credo che l’abbraccio fraterno fra la Prima Roma e la cosiddetta Terza sia più che indispensabile), mi interpellerà: quale è “il vostro” mistero del Cristo? Come è vissuto e celebrato proprio da voi, ortodossi? E che dice questo mistero oggi, alla famiglia umana?