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II. DIO VUOLE SALVARE TUTTI GLI UOMINI E TUTTO L’UOMO


don Marino Qualizza



 


3. Gesù Salvatore e la salvezza (i miracoli) Lc 7, 18-23


La fede cristiana non è caratterizzata da alcune verità astratte per quanto sublimi. Ci sono queste verità, ma legate a doppia mandata con la persona di Gesù, il Salvatore. E’ dunque, la sua persona a costituire il cuore, il centro della fede per orientarla poi in modo forte verso Dio Padre, che è l’origine, il principio, la sorgente come pure il punto di arrivo della fede. Attorno alla persona di Gesù deve concentrarsi la nostra attenzione di credenti e di cercatori della verità che salva. Per cui si impone come sommamente necessaria una buona conoscenza di lui, a cominciare da ciò che dicono i Vangeli, per arrivare anche ad una esperienza personale, che non può escludere la dimensione mistica, cioè quella profondità anche affettiva che cambia la vita.



Il nome Gesù indica salvezza divina


Che Gesù sia Salvatore lo dice il suo nome stesso, che in ebraico vuol dire: Dio salva. Nell’annuncio fatto a Giuseppe, nel racconto di Matteo, questo collegamento del nome con la salvezza è posto chiaramente in luce:<<Tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati>> (Mt 1, 21). In questo caso si verifica quanto era tipico della mentalità ebraica e semitica in genere: il nome indica il compito della persona, in modo tale che persona e nome formino un tutt’uno. Matteo ci ha richiamato il senso della missione di Gesù: salvare il popolo dai suoi peccati. Ora noi, almeno coloro che sono stati educati fin da piccoli nella religione cristiana ed hanno frequentato il catechismo, in particolare le persone dai cinquant’anni in su, hanno avuto una istruzione precisa su questa salvezza dai peccati. Ma per certi versi questa è stata anche riduttiva, in un duplice significato: concentrava l’attenzione sul peccato, e di esso aveva spesso una visione più moralistica che teologica, più attenta alla trasgressione di un comando che non alla perdita di un rapporto di amoredelle . Naturalmente queste sono solo sottolineature parziali, unilaterali anch’esse, ma fatte con l’intenzione di mettere in luce che la riflessione deve spostarsi anche in altre direzioni.



Riscoprire la piena umanità di Gesù


E’ sintomatico il fatto che solo da pochi decenni ci sia in teologia l’attenzione anche alla psicologia di Gesù, alla sua quotidianità, alla sua origine ebraica con quanto tutto ciò comporta. Non sono rivoluzioni, ma ne esce una immagine più concreta di Gesù ed una comprensione più ricca della salvezza.


Vediamo intanto che l’attività di Gesù non è fatta solo di parole, ma di incontri con le persone, con le quali sicuramente si parla, ma non sempre per fare ‘lezione’. Gesù è l’uomo che stabilisce rapporti; è l’uomo-Dio che entra in comunione viva con gli uomini, anche se li contesta nei loro atteggiamenti. Ed è fondamentale notare che quasi sempre gli incontri di Gesù, almeno quelli ricordati dai Vangeli, hanno come fine e risultato la salute, la guarigione delle persone. Qui per salute intendiamo non solo quella fisica, ma l’armonia della persona o addirittura la sua restituzione alla vita, nel duplice senso della parola: vita fisica e vita spirituale.



I miracoli segni ambivalenti che lasciano libero l’uomo


La citazione di Luca all’inizio del capitolo ci presenta un episodio cruciale nella vita di Gesù e di Giovanni il Battista. Questi si trova in carcere a motivo del rimprovero profetico fatto ad Erode Antipa, per il matrimonio con Erodiade, già moglie di suo fratello Filippo. Il carcere è il luogo del dubbio e del tormento. Non sono risparmiati neanche a questo coraggioso profeta. Per di più sente dire che Gesù non sta attuando il programma che lui, Giovanni, aveva annunciato: l’imminente giudizio di Dio con la condanna degli increduli. Su queste premesse, Giovanni manda i suoi discepoli ad informarsi direttamente da Gesù:<<"Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?". In quello stesso momento Gesù guarì molta gente da malattie , da infermità, da spiriti cattivi; e a molti ciechi ridonò la vista. Poi diede loro questa risposta: "Andate e riferite a Giovanni quello che avete visto e ascoltato: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri viene annunziata la buona novella. E beato colui che non si scandalizza di me">> (7, 20-23)



Resta sempre un margine per il dubbio, lo 'scandalo'


Abbiamo detto che l’episodio è cruciale, tanto per Gesù come per Giovanni, anche se in posizione molto diversa. Ma Gesù dà il senso e l’indicazione della coscienza della sua missione e la descrive chiaramente, come del resto aveva già fatto nel discorso inaugurale nella sinagoga di Nazareth (Lc 4, 14-21). Giovanni riceve la risposta che desiderava con l’indicazione dei segni messianici, anche se le sue aspettative personali erano diverse, a cominciare dalla liberazione dal carcere. Con questa risposta Gesù si colloca nelle attese messianiche, le porta a compimento, ma traccia delle linee di demarcazione tra le attese collegate ad un messianismo troppo localistico.


Ne viene dunque inevitabilmente la domanda sul significato dei miracoli compiuti da Gesù e sui quali egli stesso dà, in questo passaggio grande risalto. Essi sono visti nella linea della predicazione profetica, che già aveva anticipato qualcosa in questo senso: l’attesa del messia futuro che avrebbe riportato le cose alla armonia degli inizi. Ma nella risposta di Gesù c’è anche un avvertimento importante: i miracoli non sono il toccasana per evitare o superare lo ‘scandalo’ delle scelte operate da Gesù. In questo senso la risposta di Gesù è volutamente enigmatica, e l’enigma sarà sciolto solo con la resurrezione. Viene dunque scartata una linea di interpretazione dei miracoli, che comunemente viene definita ‘miracolistica’: il miracolo toglie ogni dubbio, scioglie ogni difficoltà, elimina ogni equivoco. Non è così e n on è andata così.



I miracoli segni della presenza di Dio


Fatta questa doverosa precisazione, ci sono però alcuni aspetti che vanno evidenziati, perché i miracoli dei vangeli non siano considerati archeologia religiosa.


In primo luogo essi sono il segno di un avverarsi delle promesse profetiche, come verità della fedeltà di Dio alla sua parola. I miracoli dunque sono il segno visibile della presenza invisibile di Dio. E la percezione che l’uomo non è solo, abbandonato al suo destino di morte e fallimento. C’è una prospettiva, che richiede ancora pazienza e speranza, perché il Dio della speranza è ancora un Dio invisibile. Ma per colui che nel segno miracoloso scorge la presenza del mistero, questa speranza veramente non delude. E’ segno efficace di un Dio che rimane vicino all’uomo ed a questi dimostra il suo amore.



E di un mondo diverso


Essi sono ancora segno di come dovrebbe essere il nostro mondo, fondato sulla fede in Dio e sull’amore del prossimo. Il mondo non è secondo il progetto di Dio, perché noi uomini poniamo continuamente i bastoni fra le ruote. Siamo ‘satana’ nel senso etimologico del termine: impediamo l’azione di Dio. Dove invece, come nel Cristo, l’uomo è aperto a Dio, il mondo, almeno per un attimo, acquista il suo volto ideale e gli uomini sono restituiti alla loro dignità. I miracoli allora diventano segno di un impegno fra gli uomini in vista della eliminazione degli ostacoli più grandi che impediscono a tutti di essere veramente se stessi. Non dobbiamo essere ingenuamente ottimisti, ma è certo che un mondo diverso è possibile già da adesso. Non sarà perfetto, come le riserve di Gesù ci dicono, ma potrebbe essere migliore. Proviamo solo a pensare che cosa significhi annunziare il vangelo ai poveri, anche nel senso più elementare del termine e vedremo delle prospettive inedite. Ma ci rendiamo conto quanto, oggi, sia difficile questo annunzio; pur con tutta la grazia di Dio!



E del mondo futuro


Infine c’è un ulteriore aspetto, non soggetto a verifica, ma oggetto di fede viva ed impegnata. I miracoli sono segno del mondo che verrà. Risposta semplice o semplicistica, non importa, ma è indubitabilmente vero che nelle azioni di Gesù è reso presente, in anticipo, il mondo definitivo. Allora veramente , come dice l’Apocalisse, non ci saranno più lutto né morte, né lacrime, perché queste appartengono al mondo presente (Apoc 21). Ma il mondo futuro non è un’utopia, non è un’illusione, è veramente anticipato nelle azioni di Gesù. Ed è un mondo concreto, non rarefatto, dove gli uomini saranno e sono veramente se stessi, dopo aver raggiunto finalmente la meta dei loro desideri. Il desiderio di Dio non è una indebita proiezione, ma l’orientamento sicuro di una fede che trova in Gesù e nei suoi miracoli sostegno e ispirazione e dalla sua grazia la forza di non cedere alla delusione ed allo scandalo.

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II. DIO VUOLE SALVARE TUTTI GLI UOMINI E TUTTO L’UOMO


don Marino Qualizza



 


2. Incarnazione, redenzione e salvezza integrale


La fede cristiana si caratterizza per una verità di estrema ed insostituibile importanza: afferma l’incarnazione del Figlio di Dio, nel vangelo di Giovanni chiamato anche Verbo di Dio. E’ questo il dato veramente originale e costitutivo della fede cristiana. L’incarnazione afferma che il Figlio di Dio, unico Dio con il Padre e lo Spirito Santo, è diventato uomo. Per coloro che sono stati abituati a sentire da sempre questa affermazione e a non riflettere mai sul suo significato, la cosa non impressiona più di tanto. Dire che lascia indifferenti forse è troppo, ma poco ci manca. Ma coloro che cominciano veramente a domandarsi che cosa tutto ciò significhi, la cosa si presenta subito complicata e, al limite, incredibile.



2.a. L’incarnazione del Figlio di Dio non è un dato ovvio


Cerchiamo di capire le cose. Che il Dio infinito ed onnipotente si faccia finito e debole, limitato e soggetto alle debolezze umane, anche se escludiamo il peccato, non è la cosa più ovvia e semplice. Diciamo che è addirittura abbastanza incredibile. Ed è il caso di insistere su questo aspetto, se non vogliamo che tutto finisca nella banalità. Qui è importante quell’atteggiamento che troviamo all’origine o perlomeno come accompagnamento del sentimento religioso: la meraviglia. E’ meraviglioso che il Dio di Gesù Cristo si sia rivelato a noi e si sia donato a noi nel Figlio suo fatto uomo. Qui sta il punto: se noi consideriamo l’incarnazione ancora una volta come una verità astratta, allora la cosa ci lascia del tutto indifferenti. Ma se la vediamo nella luce del dono di Dio a noi, le cose assumono un altro significato e noi siamo direttamente interpellati. Non si tratta di un gioco intellettuale o mitico, ma della nostra stessa vita, della riuscita della nostra esistenza. Entriamo in gioco in prima persona. Dio entra nella nostra vita mirando a noi, alla nostra salvezza.



2.a. L’incarnazione del Figlio di Dio non è un dato ovvio


Cerchiamo di capire le cose. Che il Dio infinito ed onnipotente si faccia finito e debole, limitato e soggetto alle debolezze umane, anche se escludiamo il peccato, non è la cosa più ovvia e semplice. Diciamo che è addirittura abbastanza incredibile. Ed è il caso di insistere su questo aspetto, se non vogliamo che tutto finisca nella banalità. Qui è importante quell’atteggiamento che troviamo all’origine o perlomeno come accompagnamento del sentimento religioso: la meraviglia. E’ meraviglioso che il Dio di Gesù Cristo si sia rivelato a noi e si sia donato a noi nel Figlio suo fatto uomo. Qui sta il punto: se noi consideriamo l’incarnazione ancora una volta come una verità astratta, allora la cosa ci lascia del tutto indifferenti. Ma se la vediamo nella luce del dono di Dio a noi, le cose assumono un altro significato e noi siamo direttamente interpellati. Non si tratta di un gioco intellettuale o mitico, ma della nostra stessa vita, della riuscita della nostra esistenza. Entriamo in gioco in prima persona. Dio entra nella nostra vita mirando a noi, alla nostra salvezza.



2. c. Il peccato è perdizione


Tuttavia la redenzione ci richiama al fatto che la storia del mondo,per quanto dipende dagli uomini, non è storia di salvezza, ma di perdizione. E Dio, che da sempre è salvezza dell’uomo, entra nella storia degli uomini anche come redentore, del tutto immeritato e quindi del tutto gratuito; questa volta a titolo anche speciale. Redenzione infatti, in senso stretto significa che gli uomini hanno bisogno che qualcuno li tiri fuori da una situazione di perdizione. E questa non riguarda aspetti secondari o qualche episodio veniale; riguarda la possibilità stessa di una realizzazione umana, che in quanto tale non può essere confinata a questo tempo e a questo spazio. Se la redenzione fosse limitata a questa nostra esistenza e alla soluzione dei problemi che la caratterizzano normalmente: il mangiare, il bere, il vestirsi, il riprodursi, non ci sarebbe bisogno di scomodare Dio, anche se la soluzione di questi problemi quotidiani è tutto fuorché pacifica, proprio in questo nostro mondo. La FAO insegna.



2. d. La salvezza riguarda l’uomo nelle questioni fondamentali


Il problema diventa drammatico quando noi ci interroghiamo sulle questioni fondamentali dell’esistenza, non tanto in senso orizzontale quando nella dimensione verticale: da dove veniamo e dove andiamo? Sono domande che prima o poi a tutti si presentano ed alle quali non siamo in grado di rispondere, non in senso teorico, ma in quello pratico, che qui conta sommamente. E perché questo? Per una duplice ragione, che qui ricordiamo nuovamente, dopo averne già accennato nel primo capitolo. L’uomo è creatura che realizza la sua vita nel rapporto con Dio. L’uomo è peccatore e in quanto tale si trova nella condizione di non potersi realizzare, di non raggiungere lo scopo della sua vita, che è Dio, appunto perché con il peccato si è precluso a Dio. E per definizione non è in grado di raggiungere Dio senza di lui. Qui c’è il dramma della nostra umanità, ma anche l’intervento misericordioso di Dio, il Dio che salva e redime.



2. e. Dio è prima del peccato


Ma questo Dio è da sempre la salvezza dell’umanità. Questa non ha ‘bisogno’ di Dio perché è peccatrice, ma perché è creatura. La sua verità, la sua felicità è data dal rapporto con Dio. Il peccato è un ostacolo a questo rapporto creaturale con Dio, dunque un ostacolo alla realizzazione ‘normale’ dell’uomo. Qui dunque, avviene il fatto straordinario e doppiamente gratuito: Dio interviene a salvare l’umanità da questa condizione di peccato e di alienazione, perché possa ritrovare se stessa in Dio. Egli dunque non è un di più, doppiamente: in quanto creatore e in quanto redentore.


Tutto questo ha trovato la sua piena e concreta attuazione nella vita di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio fatto uomo. Ora la sua esistenza contiene in sé e opera qualcosa di straordinario e di semplice allo stesso tempo. Egli in sé, è pienezza di vita e di verità, come i testi del NT ci documentano, in particolare il prologo e il capitolo 14 del vangelo di Giovanni. E questa pienezza la dona a noi, perché diventiamo partecipi della sua vita, ricevendo da lui grazia su grazia. Gesù è l’uomo veramente realizzato e perfetto, l’uomo riuscito per la semplice ragione che è il Figlio di Dio, unito al Padre con un amore indissolubile ed eterno. E’ l’unione con il Padre, che egli vive in quanto Dio e in quanto uomo, la radice della sua perfezione. Che è quanto dire: in Dio si trova la piena realizzazione della nostra vita. Non che non essere ostacolo alla nostra piena umanità, ne è la radice stessa ed il compimento infinito, aldilà di ogni desiderio umano.



2. f. Gesù salvatore di tutto l’uomo


Da Gesù ci viene dunque la salvezza totale ed integrale. Essa si riferisce tanto all’anima che al corpo e non è limitata a qualche aspetto o episodio della vita, ma riguarda la vita in quanto tale e per sempre. C’è stato un tempo in cui si insisteva unilateralmente sulla salvezza dell’anima, magari con qualche citazione biblica adatta allo scopo:<<Che cosa giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? >> (Mc 8, 36). Questa non è l’unica traduzione possibile, ma è una traduzione che ha trovato stabile dimora fra i predicatori, con l’accentuazione di una salvezza che riguardava l’anima e non, come suggerisce il testo, letto in prospettiva più fedele, la vita. E’ della vita che si tratta, dell’uomo intero, della persona concreta, anima e corpo. Del resto questo è in linea con l’incarnazione. Non affermiamo che Gesù è un uomo a metà, e soprattutto, dopo con la risurrezione diciamo che è stato glorificato nella sua piena e integra umanità: corpo e anima.



2. g. Anima e corpo


La salvezza è dunque integrale, perché riguarda la verità dell’essere umano, ma è integrale anche per un altro aspetto, anch’esso degno della più grande attenzione. La salvezza che Dio ci dona in Cristo, nella grazia dello Spirito, riguarda il destino finale dell’uomo e quindi non un episodio della vita, e neanche l’ultimo istante della vita stessa. Ma si riferisce al valore della vita nel suo rapporto con Dio.ora questo non viene in questione solo quando si è giunti al traguardo fisico della vita. Questo riguarda tutta la vita ed in ogni tempo. San Tommaso d’Aquino ha espresso in una formula efficace la verità di questa vita che si vive nella fede, intesa come rapporto con Dio: la fede è l’inizio della vita eterna a cominciare da questa vita.



2. h. Nella vita e oltre la morte


In altri termini, la fede illumina tutti gli aspetti della vita, orientandoli al loro fine e dando agli uomini la possibilità di valutare, giudicare, scegliere, rinnovare, impegnarsi, avendo di mira non questioni secondarie, ma il bene assoluto. Da qui anche quella certa serenità che caratterizza la vita del credente, che lo aiuta a relativizzare ciò che va relativizzato e a dare importanza a ciò che veramente conta. Non bisogna tacere il fatto che la vita del credente può essere una vita felice, non necessariamente allegra, anche in mezzo alle difficoltà, che non sono proprietà privata dei credenti.

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II. DIO VUOLE SALVARE TUTTI GLI UOMINI E TUTTO L’UOMO

 

don Marino Qualizza

 

 

 

 

1. Dio è fedele al suo progetto originario di salvezza. Ef 1,3.

 

Nel panorama della riflessione teologica attuale, c’è un punto molto bello: la riaffermazione del progetto unitario in ordine alla salvezza o alla realizzazione di questo nostro mondo. Era invalsa infatti l’ affermazione che esistesse un duplice progetto di Dio: uno si riferiva alla creazione e l’altro alla redenzione, dopo il peccato dell’umanità. Questo modo di presentare le cose aveva un vantaggio nel mettere in luce la novità della redenzione in Cristo, ma conteneva uno svantaggio ancora più grave, quello di dividere il progetto di Dio in due direzioni, che non si incontravano più. Il progetto di Dio si articolava in due fini, uno chiamato naturale,l’altro soprannaturale; uno limitato alla conoscenza indiretta di Dio, come origine e fine di tutte le cose; l’altro aperto alla conoscenza personale di Dio, mediante l’adozione a figli.

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L’UOMO: LIBERTA’ FERITA E LIBERTA’ DONATA

don Marino Qualizza

 

A. 3. Carne e Spirito: l’uomo secondo san Paolo, Romani 7

Il binomio che incontriamo tanto frequentemente nelle lettere di san Paolo, soprattutto in quelle ai Galati e ai Romani, rappresenta la sua visione dell’uomo, la sua antropologia, secondo categorie in vigore ai suoi tempi. Poiché questo binomio ha dato luogo anche a fraintendimenti sia di carattere linguistico che contenutistico, è necessario qualche precisazione iniziale.
Non basta intanto confrontare un vocabolario della lingua italiana corrente per avere delle indicazioni esatte sul significato e sul contenuto di questo binomio e delle due parole che lo compongono. Carne e spirito appartengono ad un vocabolario semitico, non immediatamente traducibile nelle nostre categorie. In seguito hanno anche caratterizzato sistemi religiosi o filosofici, che nei due termini vedevano e leggevano una contrapposizione radicale ed inconciliabile fra materia e spirito, fra anima e corpo. Sono i sistemi che noi chiamiamo dualistici, quelli che hanno trovato una espressione storica nel manicheismo e nel Medioevo fra i Catari e gli Albigesi.

 

 

 

3.a. Una visione religiosa dell’umanità

Nel vocabolario paolino non ci sono queste contrapposizioni, anche se qualcuno ha voluto leggerle. Ed allora vediamo il significato delle parole. Con il termine carne san Paolo intende mettere in luce l’inclinazione umana all’egoismo, all’individualismo, intesi in senso religioso, quindi l’orientamento umano a scelte contrarie a Dio e all’amore del prossimo. Un  po’ nella linea di Genesi 3, che descrive la scelta dell’umanità in termini egoistici, coincidenti di fatto con la negazione di Dio
Con il termine spirito invece sottolinea l’orientamento dell’uomo verso Dio, in quanto è guidato dallo Spirito di Dio. Lo spirito umano può orientarsi a Dio, perché si lascia guidare dallo Spirito di Dio, perché si fida di lui. In questo senso la vita nello spirito è vita secondo la regola dell’amore per Dio e per il prossimo; l’essenza stessa della vita di fede. Nei due vocaboli dunque non c’è accenno alla dottrina filosofica che considera l’uomo come fatto di anima e di corpo, di materia e di spirito, in competizione fra di loro. Queste erano questioni attuali anche al tempo di Paolo, ma non facevano parte della sua visione culturale. Tanto meno c’è in Paolo l’idea di una dualismo antropologico, per cui le due componenti dell’uomo sono in lotta fra di loro. Non bisogna dimenticare questo, perché anche una certa spiritualità con evidente superficialità ha costruito le sue regole su questa presunta contrapposizione antropologica. Carne e spirito sono due dimensioni spirituali, riguardano cioè la vita spirituale, ed in quanto tali sono evidentemente contrapposte.

 

 

 

3.b. La divisione interiore dell’uomo

Questa contrapposizione porta ad una divisione nell’uomo, cosicché egli si sente profondamente in conflitto. Nel capitolo 7 della lettera ai Romani, san Paolo affronta proprio questo problema, in termini drammatici. Introduce l’argomento segnando quelle che sono le attività dello spirito e della carne. <<Quando infatti eravamo in balìa della carne , le passioni che inducono al peccato, rese efficaci dalla legge, agivano nelle nostre membra facendoci portare frutti degni di morte. Adesso invece siamo stati sottratti all’effetto della legge, morti a quell’elemento di cui eravamo prigionieri, affinché serviamo a Dio nell’ordine nuovo dello Spirito e non in quello vecchio della lettera>> (7, 5-6).

 

 

 

3.c. Il suo superamento in Cristo

San Paolo afferma qui, chiaramente che è passato, non c’è più il vecchio mondo costruito sull’egoismo ed è iniziato il nuovo mondo, guidato dallo Spirito di Dio. Ciò non significa ancora che sono sparite tutte le conseguenze del peccato o addirittura il peccato stesso. Vuole dire invece che ora il peccato non può essere una scusa per la pigrizia e per l’egoismo, perché la pasqua di Cristo l’ha obiettivamente vinto e superato. Dunque, ancora una volta, non l’automatismo della grazia, magari contrapposto ad un automatismo del peccato. In entrambi i casi, una situazione oggettiva non è nostra personalmente, se non la rendiamo tale con la nostra scelta libera. Ora la scelta del bene è data dalla grazia dello Spirito; la scelta del male, dal rifiuto dello Spirito. Ora noi viviamo nella felice condizione di chi ha a disposizione il dono di Dio per una vita nella libertà dei figli di Dio.

 

 

 

 3.d. La ripresa del tema

Ma san Paolo non si accontenta di quanto ha detto, perché continuando l’esposizione della vita nuova, vuole mettere in luce violentemente contrapposta le due condizioni estreme di vita, secondo la carne e secondo lo spirito. Non è che egli voglia rimettere in discussione quanto ha già detto; vuole illustrarlo compiutamente, drammatizzando la situazione di grazia e di peccato. Lo scopo è quello di far apprezzare di più il vantaggio di essere in Cristo. Egli così continua nel suo discorso: <<Sappiamo che la legge è spirituale, io invece sono di carne, venduto schiavo del peccato. Non capisco infatti quello che faccio: non eseguo ciò che voglio, ma faccio quello che odio. E se faccio ciò che non voglio, riconosco la bontà della legge. Or non sono già io a farlo, ma il peccato inabitante in me. So infatti che non abita in me, e cioè nella mia carne, il bene: poiché volere è a mia portata, ma compiere il bene no. Infatti non faccio il bene che voglio, bensì il male che non voglio, questo compio>> (7, 14-19).

 

 

 

3.e. Al male va riconosciuta la sua forza

Questo quadro così nitidamente contrapposto, con la sottolineatura della prevalenza della volontà di male sul bene, va debitamente inquadrato, per non trarre delle frettolose conclusioni. Il ragionamento di Paolo si può riassumere così: l’uomo che si basa solo sulle sue forze, anche se conosce il bene da compiere, non è in grado di compierlo, per due motivi fondamentali: uno è dato dalla situazione storica in cui ci troviamo, caratterizzata com’è dal peccato del mondo. Esso ci condiziona, anche se non è l’unica forza. Se ad essa però si aggiungono anche i nostri peccati personali, allora in quadro è completo: l’uomo nel peccato non è in grado di aiutarsi, perché è privo di energie spirituali, è dominato dal suo egoismo.
La descrizione degli effetti del peccato è tremendamente efficace ed è vera. Ma bisogna fare attenzione a non considerarla in modo unilaterale. L’io di cui parla Paolo non è il suo io soggettivo, ma è l’io generico di ogni peccatore. Chiunque è nel peccato, si trova a vivere questa profonda divisione interiore. Ma possiamo dire anche di più. Questa divisione interiore è in realtà già un effetto della grazia di Dio; un effetto cioè della bontà di Dio, che ci dà coscienza del male in cui ci troviamo. Può essere, anzi è, l’inizio della salvezza. Uno che rifiuta la grazia di Dio e vive ostinatamente nel peccato, vive in modo diverso questa divisione, e spesso con grande superficialità.

 

 

 

3.f. Ma non è l’unica forza né la più grande

Ma san Paolo non può fermarsi a questa visione così drammatica, quasi che non avesse uno sbocco. Ne aveva già parlato più sopra ed ora riprende il discorso portandolo alla conclusione tipica del Vangelo. <<Chi mi libererà dal corpo che porta questa morte? Grazie a Dio per mezzo di Cristo nostro Signore!>> (7, 24-25). Questo è dunque il Vangelo, la buona notizia: la nostra ansia di liberazione dal male che ci opprime e non ci fa vivere è data proprio dal Cristo Signore. Non è una risposta prefabbricata questa. È la verità vissuta e l’indicazione della identità umana. Il Cristo Signore non è venuto a liberare l’umanità da scrupoli religiosi, ma è venuto a portare a compimento l’opera di Dio, iniziata con la creazione.

 

 

 

3.g. Il Vangelo della salvezza

Da sempre Dio è la forza e la sorgente della realizzazione umana. Egli non è tale perché c’è il peccato, ma può liberarci dal peccato, perché è il Dio della libertà. Una visione troppo debitrice del peccato restringe anche l’operato di Dio, rendendolo funzionale al peccato. Abbiamo bisogno di Dio, perché siamo peccatori. Questa è la mortificazione del Vangelo e il suo accantonamento negli angoli di mentalità contorte e spiriti affranti. Il Dio di Gesù Cristo è il Dio della creazione buona,è il Dio in grado di riportare l’uomo sulla strada della vita, qualora l’avesse smarrita. Il vangelo predicato da Paolo, nonostante alcune sottolineature che possono sembrare esagerate ed unilaterali, è in verità a servizio di questo ampio orizzonte , in cui Dio è veramente il centro di tutto e l’origine del bene che c’è nell’universo, attraverso Cristo Signore.

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Sabato, 26 Giugno 2004 12:29

2) Il peccato Gen 2-3

L’UOMO: LIBERTA’ FERITA E LIBERTA’ DONATA
don Marino Qualizza



A. 2. Il peccato : Genesi 2-3


Come sa chi ha letto la Bibbia, del peccato si parla nel capitolo terzo della Genesi; ma per comprenderne la portata e valutarne le conseguenze è necessario collegarlo al secondo capitolo, dove non si parla di peccati, ma del progetto di Dio nei riguardi dell’umanità. Infatti, il peccato non fa parte del progetto di Dio, come qualcuno potrebbe pensare e di fatto ha anche pensato nel corso dei secoli. Alcuni, colpiti dalla diffusione e dalla forza del male e del peccato, hanno pensato di collegarlo in qualche modo a Dio, rendendolo responsabile di questa tragica situazione. La risposta della Bibbia è molto chiara al proposito: Dio ha creato gli uomini e li ha collocati in un posto ideale, nel giardino dell’Eden (2, 8). Ed a scanso di equivoci e di interpretazioni fantasiose, che mai sono mancate, si dice che l’uomo è stato posto in questo giardino, perché lo lavorasse e lo custodisse (2,13).



 2.a. Il progetto di Dio

Nessuna concezione romantica o arcadica, ma la coerenza con quanto si legge in Genesi 1: Dio lavora e crea e l’uomo è chiamato a partecipare a questo lavoro di Dio, portando a compimento l’opera della creazione. Del lavoro dunque, qui si dà una valutazione oltremodo positiva, perché esso viene associato al lavoro di Dio nella conservazione del creato. Tutti i discorsi che una volta si facevano, indulgendo alla fantasia, di un mondo irreale, perché libero dall’impegno di una vita degna di Dio, vanno abbandonati, appunto perché sono parto di fantasia e non corrispondono al contenuto del messaggio biblico.Ciò che resta è la nobiltà di una vita, fondata sul duplice valore del lavoro e della famiglia. Infatti il capitolo secondo termina con il richiamo alla famiglia. Si parla infatti della creazione della donna, perché il progetto di Dio sull’umanità sia completato. Senza la donna non c’è la normalità dell’esistenza umana, fondata appunto sulla famiglia.



2. b. Dio impegna gli uomini

Ma  questo progetto di Dio, così bello e armonioso, non si realizza automaticamente, per inerzia. Agli uomini vengono poste delle regole, viene indicato un criterio, che può essere anche considerato come limite e quando viene sentito come tale, allora cominciano i dubbi e i sospetti. <<Il Signore diede questo comandamento all’uomo:”Di tutti gli alberi del giardino tu puoi mangiare; ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiarne, perché nel giorno in cui tu te ne cibassi, dovrai certamente morire”>> (2, 16-17). È posta qui in evidenza una verità fondamentale dell’esistenza umana: la sua creaturalità, che non gli permette di essere fonte autonoma di ciò che è bene e di ciò che è male; cioè l’uomo non crea le regole morali, ma le trova.
Da qualcuno o meglio da tutti, questo è sentito come un limite o meglio ancora, come una limitazione. Il sentire questo non è nulla di sbagliato, ma può essere la fonte dei sospetti e dei dubbi nei riguardi di Dio. È così che si insinua la tentazione. In Genesi 3 essa è descritta in modo psicologicamente straordinario. Il cuore della tentazione, che questa volta viene dall’esterno – il serpente, da sempre simbolo ambiguo di vita e di morte – sta nella affermazione centrale che tutto spiega: <<Voi non morirete affatto! Anzi, Dio sa che nel giorno in cui voi ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e diventerete come Dio, conoscitori del bene e del male>> (3, 4-5).



 2. c. Il cuore della tentazione

Ecco il punto: voi diventerete come Dio! Qui è il cuore del problema ed anche la sua soluzione. Il peccato del primo uomo non è solo il primo peccato, ma è quello esemplare e specifico della creatura, di ogni creatura intelligente, perché solo gli essere intelligenti possono peccare. Esso viene posto all’origine della storia, non solo in senso cronologico, ma anche in senso teologico: ogni peccato umano, se è peccato, porta in sé questa connotazione fondamentale: il rifiuto di essere creatura e il desiderio di essere Dio. La storia umana è determinata da queste due scelte o aspirazioni umane. In tal senso la storia umana, in tutti i suoi risvolti, ha come spiegazione finale la natura religiosa dell’uomo, rifiutata o accolta.
Questa pagina biblica è dunque una pagina che si sta scrivendo continuamente, senza sosta. Qui non ci troviamo di fronte a verità arcaiche, ma alla fonte stessa dell’attualità, anche nei suoi aspetti più tragici. Genesi 3 è una delle pagine più attuali della Bibbia, non solo, ma della civiltà in assoluto. Infatti il rifiuto della creaturalità, cioè del fatto di essere creature e quindi di non avere in noi il fondamento dell’esistenza e della sua realizzazione, provoca in noi un senso di rivolta contro il Creatore. È un dato istintivo, che è non peccato se non quando diventa rifiuto. Non dobbiamo pensare che sia stato inserito in noi dopo il peccato. Perché questo renderebbe addirittura impossibile fisicamente il peccato. Questo dipende dal fatto che siamo creature limitate, perché creature. Ma questo limite è anche la nostra identità, che chiede di trovare in Dio il suo punto di riferimento, ed anche la sua attuazione. Diventare noi stessi nel cammino storico della nostra libertà, richiede proprio l’impegno della libertà e la scelta positiva di Dio, che si pone come indispensabile in ogni situazione. La nostra esistenza è determinata positivamente dalla scelta di Dio come lo spazio infinito della nostra libertà. C’è qualcuno a cui questa condizione non piace e la rifiuta; questo è il peccato.



2.d. Il peccato, rifiuto e pretesa

Ma c’è un secondo aspetto. Il rifiuto della nostra condizione di creature è accompagnato dal contemporaneo desiderio di essere come Dio. Le due cose si toccano e in pratica sono la stessa cosa. Le aspirazioni umane non possono essere limitate, ma sono infinite per se stesse. Si identificano con il desiderio di essere Dio stesso. Anche in ciò nulla di male, per sé, perché questo desiderio viene in noi da Dio stesso. E’ il segno che siamo sue creature, è il riflesso della nostra origine ed anche del nostro tendere a lui. Ma se si rifiuta la nostra creaturalità, il desiderio di essere Dio è vissuto in modo sbagliato ed irriverente: si vuole diventare dio a prescindere da lui, quasi sostituendosi a lui. È in pratica le negazione di Dio.
Vediamo allora, nuovamente, in questa pagina della Bibbia, qualcosa di estremamente profondo, serio e semplice ad un certo tempo. C’è solo da lamentare una certa dispersione della spiegazioni teologiche che fino al recente passato hanno allontanato l’attenzione dei credenti e non dalla semplice verità di questo testo, per sbizzarrirsi in ipotesi e motivazioni assolutamente fuori tema. Qui si gioca il tema formidabile della vera autonomia e libertà dell’uomo, di ogni uomo. La libertà umana si vive nella gioiosa accoglienza del nostro rapporto con Dio. E’ in questa luce che ci si apre alla prospettiva di un Dio che è Padre e non padrone, libertà e non dispotismo.



2.e. Luce sulla storia del mondo

Tornando al tema e ribadendo l’attualità di questa pagina biblica, vediamo anticipata in essa la storia dell’umanità, soprattutto del mondo occidentale, proprio quello più legato al mondo biblico. Proprio in Occidente, si è verificato un distacco progressivo da   Dio, a motivo della impostazione culturale di questo nostro mondo. In esso si è imposta una contrapposizione esclusiva, un aut aut assoluto che non promette nulla di buono: o Dio o l’uomo, questa è la pericolosa alternativa del mondo occidentale. Ed ha avuto la sua attuazione con i danni che ne sono seguiti. Perché se Dio e l’uomo sono in competizione, i risultati nella storia umana sono sempre e solo negativi, perché arrivano a questa assurda contrapposizione: quanto più si afferma Dio, tanto più si deprime l’uomo e viceversa.
Questa non è la visione biblica, ma il segno di quel peccato che divide e turba il cuore dell’uomo e la sua storia intera.



 2. f. L’uomo non è abbandonato da Dio

Il Dio della Bibbia è il Dio dell’armonioso incontro fra Dio e l’uomo. Dio come la forza che rende possibile la storia umana della libertà. Non un Dio invidioso della libertà umana, ma suo artefice. Il contrario è peccato, in quanto dà corso alla tentazione che mette in dubbio la verità di Dio e la bontà dell’inclinazione del cuore umano a lui. Ma non possiamo dimenticare un altro aspetto, che in Genesi 3  non è di poco peso. La storia umana non è segnata solo dal peccato e mai il peccato è stato l’unica forza che ha retto i destini dell’umanità. Dio non ha abbandonato gli uomini.la Bibbia lo registra in modo chiarissimo. <<Io porrò una ostilità fra te e la donna e tra il lignaggio tuo ed il lignaggio di lei: esso ti schiaccerà la testa e tu lo assalirai al tallone>> (3, 15)
La storia dell’umanità anche nel peccato, è guidata da una forza più grande, quella della bontà di Dio che si esprime nella misericordia e nel perdono. Questa forza ha sempre accompagnato gli uomini fino alla venuta di colui che il mondo ha aspettato come salvatore, il Cristo Signore.

Pubblicato in Teologia
Sabato, 26 Giugno 2004 12:13

1) Bontà e creazione Gen 1

L’UOMO: LIBERTA’ FERITA E LIBERTA’ DONATA
don Marino Qualizza


A. 1. Bontà della creazione: Genesi 1


Il racconto biblico della creazione è il risultato di una lunga riflessione e soprattutto di una esperienza, alla cui origine e radice si trova la grande epopea raccontata nel libro dell’Esodo. E’ in questa luce infatti che si può parlare a ragion veduta della bontà della creazione. Qui si intrecciano due questioni: il racconto della creazione precede o segue l’esodo? E se lo segue in che modo questo è alla base della narrazione di Genesi 1?



1.a.  La fede biblica è storicamente determinata

La risposta a questa domanda importante è data dalla qualità della fede biblica. Essa non è il risultato di riflessioni filosofiche, importanti o meno, ma di una serie di eventi che hanno cambiato la storia dei credenti di cui ci parla la Bibbia. E il centro e il cuore della Bibbia è proprio l’esodo, cioè la liberazione dalla schiavitù. Essa è l’evento positivo che proietta una luce su tutta la storia e antecedente e successiva. Di più, è la storia nella quale i credenti hanno incontrato Dio in modo concreto e tangibile e ne hanno tratto la convinzione che la fede in Dio è esperienza e dono di libertà. E’ questa la grande verità su cui tutto si fonda e da cui promana quella luce che illumina tutti gli avvenimenti della storia, a cominciare dal suo inizio.
Ma in che modo i credenti sono arrivati tanto alla conoscenza di Dio come alla affermazione della bontà della creazione?  Semplificando al massimo le cose, possiamo dire così. Nel vivere la grande avventura della liberazione – essa è grande in sé, per quel  che contiene, i contorni letterari sono meno significativi- gli Ebrei e con essi tutti i credenti successivi, hanno scoperto due verità fondamentali e straordinarie allo stesso tempo: il Dio in cui credevano era più forte delle forze della natura, spesso avverse, e più forte dei poteri politici ostili, rappresentati dal Faraone.



1.b.   Il Dio della storia e del creato

Queste due verità acquisite per esperienza sono verità che trasformano il credente, perché trasformano la storia e cambiano il corso degli avvenimenti e collegano la fede in Dio alle vicende della storia, da cui Dio non è estraneo ed al creato, visto come il teatro delle vicende umane e divine. Il Dio che si manifesta nella storia degli uomini è anche colui che guida e governa questa storia in favore degli uomini, anche se in modo non sempre chiaramente percepibile. Ma nel caso dell’esodo questa percezione diventa evidente: il Dio dell’esodo è più potente dei principi di questo mondo e degli dèi ai quali si affidano questi principi. Dunque, la storia può avere un esito positivo, perché è nelle mani di Dio.
Ma questo Dio della storia e quindi legato alle vicende umane, è anche il Dio del creato ed è più forte delle potenze naturali, che spesso si manifestano come potenze ostili, tanto da mettere a repentaglio la vita umana. Il passaggio del Mare Rosso come viene epicamente evocato in Esodo 14-15,  segna un momento decisivo nella fede degli Israeliti. Se Dio può dominare le forze della natura, la spiegazione è una sola: egli ha fatto tutte queste cose e perciò gli obbediscono. Così la natura non è qualcosa di generico ed indistinto, ma è il creato, qualcosa che è stato fatto da chi ne ha il potere, cioè dall’Onnipotente.



1.c.   Dio vide e tutto era molto buono

A questo punto si inserisce in modo del tutto logico il racconto di Genesi 1, che termina con la famosa affermazione:<<Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco che era molto buono>> (1,24). Come sappiamo il racconto del primo capitolo della Genesi è articolato sul periodo di una settimana e termina con il sabato, a cui viene dato tanto rilievo, perché su di esso è basata tutta la vita di Israele, fino ai nostri giorni. In realtà questo riferimento al sabato e questo schema della settimana è un indizio importante dell’origine stessa del racconto biblico e quindi del suo significato.
Il contesto in cui è nato il racconto è la liturgia del tempio di Gerusalemme, scandita sul ritmo della settimana. Questa a sua volta è una fase lunare. In una sola proposizione abbiamo due verità importanti. Il racconto biblico è essenzialmente religioso, di una religiosità che riduce a orologi cosmici le divinità principali del mondo semitico: il sole e la luna. Si tratta dunque di una operazione di grande significato, tanto da costituire una autentica rivoluzione e culturale e religiosa. In essa appaiono nuovamente le note caratteristiche della fede biblica: il suo collegamento agli eventi della storia.



1.d. La liturgia come contesto del racconto biblico

Che il racconto della creazione si svolga in un contesto liturgico offre degli spunti interessanti. L’opera di Dio è la prima liturgia, il primo lavoro in favore dell’uomo. Infatti il racconto di Genesi 1 è contrassegnato al termine di ogni giorno con l’espressione: <<E Dio vide che era buono>>. Il lavoro di Dio, nella creazione è cosa buona ed è in favore degli uomini. Ma il lavoro di Dio diventa l’ispirazione del lavoro degli uomini. La liturgia divina diventa liturgia umana. In essa si coglie la bontà della creazione, perché questa, nel nostro mondo così com’è storicamente, non è tanto evidente. Ma dove la creazione è vissuta come liturgia e quindi come lode, là non ci sono dubbi sulla bontà della creazione: sulla bontà iniziale e sulla bontà finale.
Su questo punto c’è un’altra osservazione da fare. Il racconto biblico è religioso, quindi non ha nessuna intenzione scientifica, nel senso univoco che oggi ha assunto. Esula dalla intenzione biblica, la quale invece ha un’altra finalità molto più rilevante. Quando si dice racconto religioso, si vuole mettere in risalto un dato fondamentale: il mondo è tutto relativo a Dio e nel rapporto con lui trova consistenza e comprensione. L’aspetto religioso non è un’aggiunta alla realtà, ma è la verità profonda della realtà stessa. E non è neanche una diminuzione della libertà e dell’autonomia del creato, perché relazione non vuol dire limitazione, ma possibilità e concretezza stessa di vita.


1.e.   Religione e libertà

In verità, questo ultimo aspetto è fra i più delicati ed i più contestati nella cultura contemporanea, come se il rapporto con Dio fosse il principio di ogni limite e di ogni privazione della libertà. Al contrario, per la Bibbia proprio il rapporto con Dio costituisce il punto massimo della libertà, perché il rapporto con Dio è l’incontro con la libertà infinita. Dunque, la visione religiosa della Bibbia è affermazione eccezionale della dignità dell’uomo e del fondamento della sua libertà. In questa linea si impone nuovamente l’affermazione della bontà della creazione.
Inoltre, se il racconto della creazione è caratterizzato dal contesto  liturgico, ne consegue che la liturgia fondamentale per le creature umane sarà proprio la vita. Ed a ragion veduta. Il racconto di Genesi 1 raggiunge il suo vertice con la creazione dell’uomo e della donna. Essi sono l’immagine vivente di Dio e partecipano della sua signoria, tanto dominando da signori il mondo, quanto servendo la vita con la fecondità della loro unione. Inserendo in quest’opera tutte le altre opere umane, abbiamo l’indicazione di che cosa significhi fondamentalmente questa liturgia e di come essa sia legata alla vita, che qui si manifesta in tutta la sua bontà.



1.f.  Fede, estetica e contemplazione artistica

Infine, una annotazione sulla conclusione del racconto, che nella divisione attuale viene collocato all’inizio del secondo capitolo, ma in realtà fa parte del primo. Si tratta dell’origine del sabato. La storia tanto degli Ebrei come dei Cristiani, ne ha fatto una specie di tabù, per motivi chiaramente legati alla cultura del tempo passato. Non discutiamo di essa, ma cerchiamo di cogliere qualcosa di diverso. Il sabato può essere visto come il giorno della contemplazione estetica, il giorno della meraviglia, della ammirazione per quanto si è fatto. È dunque il giorno liberato dal ritmo di un lavoro che può opprimere ed è dedicato invece alla gratuità dell’estetica, dell’arte, della bellezza, della sensibilità. Non un giorno in cui è proibito qualcosa, ma un giorno in cui si pregusta la libertà definitiva, nella quale la dimensione della bellezza avrà una parte significativa. Anche questo si inserisce nel quadro della bontà della creazione, laddove si arriva alla contemplazione estetica, là si celebra la bontà del creato, della vita, dell’esistenza in tutti i suoi aspetti.

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Il concetto di Dio
dopo Auschwitz
a cura di Chiara Omassi

 

Scheda introduttiva all'opera Il concetto di Dio dopo Auschwitz di Hans Jonas (1).

 

Hans Jonas (1903-1993) ebreo tedesco, filosofo e storico delle religioni, studia filosofia e teologia seguendo i corsi di Husserl, Heidegger e Bultmann. Rifugiatosi in Inghilterra con l'avvento del nazismo, emigra nel 1935 in Palestina, insegnando in Israele, Canada, Stati Uniti.

Pubblicato in Teologia
Domenica, 20 Giugno 2004 17:12

Bailamme (Faustino Ferrari)

Bailamme viene qui preso come un simbolo per una ricerca, per un percorso sempre possibile. Per non fermarsi all’apparenza, ma scavare alla radice delle cose, per cercarvi di scoprire un significato.

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I seguenti brani sono tratti dal Volume "La vita in Cristo". In esso Nicola Cabasilas (Tessalonica 1321 - Monte Athos 1391) parla dei sacramenti, dei loro effetti e delle azioni umane per mantenere la grazia ricevuta.

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Domenica, 20 Giugno 2004 16:58

Ignazio di Antiochia (Lorenzo Dattrino)

I PADRI APOSTOLICI

di Lorenzo Dattrino

Ignazio di Antiochia

È chiamato Theòphoros ( portatore di Dio).

Terzo vescovo di Antiochia di Siria (dopo san Pietro ed Evodio) fu condotto a Roma sotto Traiano (98-113 ) ed ivi , probabilmente, dilaniato dalle belve nell'anfiteatro (forse nel 107). Durante il viaggio verso l'Urbe, benché prigioniero e ben scortato, scrisse sette lettere: ai cristiani di Efeso, Magnesia, Tralle, Roma, Filadelfia, Smirne e a Policarpo vescovo di Smirne. Il testo delle lettere presenta notevoli difficoltà esegetiche. I risultati sono i seguenti: sette sono le lettere autentiche, testimoniate e garantite da Policarpo ed Eusebio (il primo ne parla e il secondo ci fornisce notizie relative al contenuto e ai destinatari).

Gli studi recenti, tendenti a provare che le sette lettere ricordate da Eusebio (Storia Ecclesiastica, III, 36 ) siano opera di un falsario (cfr. R. Joly, Le dossier d'Ignace d'Antioche, Bruxelles 1979) o che esse siano state adulterate (cfr. J. Rius-Camps, The Four Authentic Letters of Ignatius the Marthyr, Roma 1979) non sono convincenti. Accetto la conclusione della controversia proposta da P. Nautin in DPACII, p. l744: sette lettere autentiche.

L'importanza delle lettere di Ignazio è grande sia sul piano storico che sul piano dottrinale. In esse noi leggiamo:

  • Notizie sulla prima costituzione della chiesa e sul ruolo del vescovo Roma;
  • Il Cristo è il fulcro dell'insegnamento apostolico;
  • Il cristiano deve essere immerso in Cristo, deve conformarsi a Cristo;
  • La chiesa è chiamata, per la prima volta cattolica;
  • L'Eucaristia è sacramento dell'unità della chiesa;
  • La chiesa di Roma è la maestra di tutte.

Ignazio è il primo teologo che abbia elaborato una dottrina sul ruolo e sul significato del vescovo nella comunità cristiana. Commovente è l'indirizzo rivolto ai cristiani di Roma perché non intervengano in alcun modo allo scopo di impedire la sua condanna al martirio. Egli vuole patire il supplizio, perché soltanto in questo modo potrà divenire sono parole sue -"vero discepolo " e" vero imitatore del Signore", offrendo se stesso come "frumento di Dio, da macinare sotto i denti e nelle fauci delle belve".

Trascrivo, qui di seguito un brano della Lettera ai Romani (capp. IV-VIII) nella traduzione in lingua italiana di A. Quacquarelli, cit. pp. 122-125.

L'eroismo di un martire

"Scrivo a tutte le chiese e annunzio a tutti che muoio volentieri per Dio, se voi non me lo impedite. Vi prego di non avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono il frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo e io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio. Non vi comando come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi, io tuttora uno schiavo. Ma se soffro, sarò affrancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in lui. Ora incatenato imparo a non desiderare nulla.

Dalla Siria sino a Roma combatto con le fiere, per terra e per mare, di notte e di giorno, legato a dieci leopardi, il manipolo di soldati. Essi, beneficati, diventano peggiori. Per le loro malvagità mi alleno di più. "Ma non per questo sono giustificato " (1Cor. 7,22 ). Potessi gioire delle bestie per me preparate, e mi auguro che mi si avventino subito. Le alletterò perché presto mi divorino e non succeda, come per alcuni, che intimorite, non li toccarono. Perdonatemi, io so quello che mi conviene. Ora incomincio ad essere un discepolo . Nulla di visibile e di invisibile abbia invidia, perché io raggiungo Gesù Cristo. Il fuoco, la croce, le belve, le lacerazioni, gli strappi, le slogature delle ossa, la mutilazione delle membra, il pestaggio di tutto il corpo, i malvagi tormenti del diavolo vengano su di me, perché io voglio trovare Gesù Cristo.

Nulla mi gioverebbero le lusinghe del mondo e tutti i regni di questo mondo. È bello per me morire in Gesù Cristo più che regnare sino ai confini della terra. Cerco quello che è morto per noi; voglio quello che è risorto per noi. Il mio rinascere è vicino. Perdonatemi, fratelli. Non impedite che io viva, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo né seducete con la materia chi vuole essere in Dio. Lasciate che io riceva la luce pura; là giunto sarò uomo. Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio. Se qualcuno l'ha in sé, comprenda quanto desidero e mi compatisca, conoscendo ciò che mi opprime.

Il principe di questo mondo vuole rovinare e distruggere il mio proposito verso Dio. Nessuno di voi, qui presenti, lo assecondi. Siate piuttosto per me, cioè di Dio. Non parlate di Gesù Cristo, mentre desiderate il mondo. Non ci sia in voi gelosia. Anche se vicino a voi, vi supplico, non ubbiditemi. Obbedite a quanto vi scrivo. Vivendo, vi scrivo che bramo di morire. La mia passione umana è stata crocifissa e non è in me un fuoco materiale. Un'acqua viva mi parla dentro e mi dice: qui al Padre. Non mi attirano il nutrimento della corruzione e i piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di Davide, e come bevanda voglio il suo sangue che è l'amore incorruttibile.

Non voglio più vivere secondo gli uomini. Questo sarà. Se voi lo volete. Vogliatelo, perché anche voi potreste essere voluti da Lui. Ve lo chiedo con poche parole. Credetemi, Gesù Cristo vi farà vedere che io parlo sinceramente; Egli è la bocca infallibile con la quale il Padre ha veramente parlato. Chiedete per me che io lo raggiunga".

(Lettera ai Romani, IV-VIII . Tr. di A. Quacquarelli, I Padri Apostolici, Roma 1978, pp. 122-125).

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