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Domenica, 20 Giugno 2004 16:58

Ignazio di Antiochia (Lorenzo Dattrino)

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I PADRI APOSTOLICI

di Lorenzo Dattrino

Ignazio di Antiochia

È chiamato Theòphoros ( portatore di Dio).

Terzo vescovo di Antiochia di Siria (dopo san Pietro ed Evodio) fu condotto a Roma sotto Traiano (98-113 ) ed ivi , probabilmente, dilaniato dalle belve nell'anfiteatro (forse nel 107). Durante il viaggio verso l'Urbe, benché prigioniero e ben scortato, scrisse sette lettere: ai cristiani di Efeso, Magnesia, Tralle, Roma, Filadelfia, Smirne e a Policarpo vescovo di Smirne. Il testo delle lettere presenta notevoli difficoltà esegetiche. I risultati sono i seguenti: sette sono le lettere autentiche, testimoniate e garantite da Policarpo ed Eusebio (il primo ne parla e il secondo ci fornisce notizie relative al contenuto e ai destinatari).

Gli studi recenti, tendenti a provare che le sette lettere ricordate da Eusebio (Storia Ecclesiastica, III, 36 ) siano opera di un falsario (cfr. R. Joly, Le dossier d'Ignace d'Antioche, Bruxelles 1979) o che esse siano state adulterate (cfr. J. Rius-Camps, The Four Authentic Letters of Ignatius the Marthyr, Roma 1979) non sono convincenti. Accetto la conclusione della controversia proposta da P. Nautin in DPACII, p. l744: sette lettere autentiche.

L'importanza delle lettere di Ignazio è grande sia sul piano storico che sul piano dottrinale. In esse noi leggiamo:

  • Notizie sulla prima costituzione della chiesa e sul ruolo del vescovo Roma;
  • Il Cristo è il fulcro dell'insegnamento apostolico;
  • Il cristiano deve essere immerso in Cristo, deve conformarsi a Cristo;
  • La chiesa è chiamata, per la prima volta cattolica;
  • L'Eucaristia è sacramento dell'unità della chiesa;
  • La chiesa di Roma è la maestra di tutte.

Ignazio è il primo teologo che abbia elaborato una dottrina sul ruolo e sul significato del vescovo nella comunità cristiana. Commovente è l'indirizzo rivolto ai cristiani di Roma perché non intervengano in alcun modo allo scopo di impedire la sua condanna al martirio. Egli vuole patire il supplizio, perché soltanto in questo modo potrà divenire sono parole sue -"vero discepolo " e" vero imitatore del Signore", offrendo se stesso come "frumento di Dio, da macinare sotto i denti e nelle fauci delle belve".

Trascrivo, qui di seguito un brano della Lettera ai Romani (capp. IV-VIII) nella traduzione in lingua italiana di A. Quacquarelli, cit. pp. 122-125.

L'eroismo di un martire

"Scrivo a tutte le chiese e annunzio a tutti che muoio volentieri per Dio, se voi non me lo impedite. Vi prego di non avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono il frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo e io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio. Non vi comando come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi, io tuttora uno schiavo. Ma se soffro, sarò affrancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in lui. Ora incatenato imparo a non desiderare nulla.

Dalla Siria sino a Roma combatto con le fiere, per terra e per mare, di notte e di giorno, legato a dieci leopardi, il manipolo di soldati. Essi, beneficati, diventano peggiori. Per le loro malvagità mi alleno di più. "Ma non per questo sono giustificato " (1Cor. 7,22 ). Potessi gioire delle bestie per me preparate, e mi auguro che mi si avventino subito. Le alletterò perché presto mi divorino e non succeda, come per alcuni, che intimorite, non li toccarono. Perdonatemi, io so quello che mi conviene. Ora incomincio ad essere un discepolo . Nulla di visibile e di invisibile abbia invidia, perché io raggiungo Gesù Cristo. Il fuoco, la croce, le belve, le lacerazioni, gli strappi, le slogature delle ossa, la mutilazione delle membra, il pestaggio di tutto il corpo, i malvagi tormenti del diavolo vengano su di me, perché io voglio trovare Gesù Cristo.

Nulla mi gioverebbero le lusinghe del mondo e tutti i regni di questo mondo. È bello per me morire in Gesù Cristo più che regnare sino ai confini della terra. Cerco quello che è morto per noi; voglio quello che è risorto per noi. Il mio rinascere è vicino. Perdonatemi, fratelli. Non impedite che io viva, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo né seducete con la materia chi vuole essere in Dio. Lasciate che io riceva la luce pura; là giunto sarò uomo. Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio. Se qualcuno l'ha in sé, comprenda quanto desidero e mi compatisca, conoscendo ciò che mi opprime.

Il principe di questo mondo vuole rovinare e distruggere il mio proposito verso Dio. Nessuno di voi, qui presenti, lo assecondi. Siate piuttosto per me, cioè di Dio. Non parlate di Gesù Cristo, mentre desiderate il mondo. Non ci sia in voi gelosia. Anche se vicino a voi, vi supplico, non ubbiditemi. Obbedite a quanto vi scrivo. Vivendo, vi scrivo che bramo di morire. La mia passione umana è stata crocifissa e non è in me un fuoco materiale. Un'acqua viva mi parla dentro e mi dice: qui al Padre. Non mi attirano il nutrimento della corruzione e i piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di Davide, e come bevanda voglio il suo sangue che è l'amore incorruttibile.

Non voglio più vivere secondo gli uomini. Questo sarà. Se voi lo volete. Vogliatelo, perché anche voi potreste essere voluti da Lui. Ve lo chiedo con poche parole. Credetemi, Gesù Cristo vi farà vedere che io parlo sinceramente; Egli è la bocca infallibile con la quale il Padre ha veramente parlato. Chiedete per me che io lo raggiunga".

(Lettera ai Romani, IV-VIII . Tr. di A. Quacquarelli, I Padri Apostolici, Roma 1978, pp. 122-125).

Letto 2577 volte Ultima modifica il Sabato, 26 Giugno 2004 11:34

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