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Sabato, 26 Giugno 2004 12:38

3) Carne e Spirito: l’uomo secondo S. Paolo (Rom 7)

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L’UOMO: LIBERTA’ FERITA E LIBERTA’ DONATA

don Marino Qualizza

 

A. 3. Carne e Spirito: l’uomo secondo san Paolo, Romani 7

Il binomio che incontriamo tanto frequentemente nelle lettere di san Paolo, soprattutto in quelle ai Galati e ai Romani, rappresenta la sua visione dell’uomo, la sua antropologia, secondo categorie in vigore ai suoi tempi. Poiché questo binomio ha dato luogo anche a fraintendimenti sia di carattere linguistico che contenutistico, è necessario qualche precisazione iniziale.
Non basta intanto confrontare un vocabolario della lingua italiana corrente per avere delle indicazioni esatte sul significato e sul contenuto di questo binomio e delle due parole che lo compongono. Carne e spirito appartengono ad un vocabolario semitico, non immediatamente traducibile nelle nostre categorie. In seguito hanno anche caratterizzato sistemi religiosi o filosofici, che nei due termini vedevano e leggevano una contrapposizione radicale ed inconciliabile fra materia e spirito, fra anima e corpo. Sono i sistemi che noi chiamiamo dualistici, quelli che hanno trovato una espressione storica nel manicheismo e nel Medioevo fra i Catari e gli Albigesi.

 

 

 

3.a. Una visione religiosa dell’umanità

Nel vocabolario paolino non ci sono queste contrapposizioni, anche se qualcuno ha voluto leggerle. Ed allora vediamo il significato delle parole. Con il termine carne san Paolo intende mettere in luce l’inclinazione umana all’egoismo, all’individualismo, intesi in senso religioso, quindi l’orientamento umano a scelte contrarie a Dio e all’amore del prossimo. Un  po’ nella linea di Genesi 3, che descrive la scelta dell’umanità in termini egoistici, coincidenti di fatto con la negazione di Dio
Con il termine spirito invece sottolinea l’orientamento dell’uomo verso Dio, in quanto è guidato dallo Spirito di Dio. Lo spirito umano può orientarsi a Dio, perché si lascia guidare dallo Spirito di Dio, perché si fida di lui. In questo senso la vita nello spirito è vita secondo la regola dell’amore per Dio e per il prossimo; l’essenza stessa della vita di fede. Nei due vocaboli dunque non c’è accenno alla dottrina filosofica che considera l’uomo come fatto di anima e di corpo, di materia e di spirito, in competizione fra di loro. Queste erano questioni attuali anche al tempo di Paolo, ma non facevano parte della sua visione culturale. Tanto meno c’è in Paolo l’idea di una dualismo antropologico, per cui le due componenti dell’uomo sono in lotta fra di loro. Non bisogna dimenticare questo, perché anche una certa spiritualità con evidente superficialità ha costruito le sue regole su questa presunta contrapposizione antropologica. Carne e spirito sono due dimensioni spirituali, riguardano cioè la vita spirituale, ed in quanto tali sono evidentemente contrapposte.

 

 

 

3.b. La divisione interiore dell’uomo

Questa contrapposizione porta ad una divisione nell’uomo, cosicché egli si sente profondamente in conflitto. Nel capitolo 7 della lettera ai Romani, san Paolo affronta proprio questo problema, in termini drammatici. Introduce l’argomento segnando quelle che sono le attività dello spirito e della carne. <<Quando infatti eravamo in balìa della carne , le passioni che inducono al peccato, rese efficaci dalla legge, agivano nelle nostre membra facendoci portare frutti degni di morte. Adesso invece siamo stati sottratti all’effetto della legge, morti a quell’elemento di cui eravamo prigionieri, affinché serviamo a Dio nell’ordine nuovo dello Spirito e non in quello vecchio della lettera>> (7, 5-6).

 

 

 

3.c. Il suo superamento in Cristo

San Paolo afferma qui, chiaramente che è passato, non c’è più il vecchio mondo costruito sull’egoismo ed è iniziato il nuovo mondo, guidato dallo Spirito di Dio. Ciò non significa ancora che sono sparite tutte le conseguenze del peccato o addirittura il peccato stesso. Vuole dire invece che ora il peccato non può essere una scusa per la pigrizia e per l’egoismo, perché la pasqua di Cristo l’ha obiettivamente vinto e superato. Dunque, ancora una volta, non l’automatismo della grazia, magari contrapposto ad un automatismo del peccato. In entrambi i casi, una situazione oggettiva non è nostra personalmente, se non la rendiamo tale con la nostra scelta libera. Ora la scelta del bene è data dalla grazia dello Spirito; la scelta del male, dal rifiuto dello Spirito. Ora noi viviamo nella felice condizione di chi ha a disposizione il dono di Dio per una vita nella libertà dei figli di Dio.

 

 

 

 3.d. La ripresa del tema

Ma san Paolo non si accontenta di quanto ha detto, perché continuando l’esposizione della vita nuova, vuole mettere in luce violentemente contrapposta le due condizioni estreme di vita, secondo la carne e secondo lo spirito. Non è che egli voglia rimettere in discussione quanto ha già detto; vuole illustrarlo compiutamente, drammatizzando la situazione di grazia e di peccato. Lo scopo è quello di far apprezzare di più il vantaggio di essere in Cristo. Egli così continua nel suo discorso: <<Sappiamo che la legge è spirituale, io invece sono di carne, venduto schiavo del peccato. Non capisco infatti quello che faccio: non eseguo ciò che voglio, ma faccio quello che odio. E se faccio ciò che non voglio, riconosco la bontà della legge. Or non sono già io a farlo, ma il peccato inabitante in me. So infatti che non abita in me, e cioè nella mia carne, il bene: poiché volere è a mia portata, ma compiere il bene no. Infatti non faccio il bene che voglio, bensì il male che non voglio, questo compio>> (7, 14-19).

 

 

 

3.e. Al male va riconosciuta la sua forza

Questo quadro così nitidamente contrapposto, con la sottolineatura della prevalenza della volontà di male sul bene, va debitamente inquadrato, per non trarre delle frettolose conclusioni. Il ragionamento di Paolo si può riassumere così: l’uomo che si basa solo sulle sue forze, anche se conosce il bene da compiere, non è in grado di compierlo, per due motivi fondamentali: uno è dato dalla situazione storica in cui ci troviamo, caratterizzata com’è dal peccato del mondo. Esso ci condiziona, anche se non è l’unica forza. Se ad essa però si aggiungono anche i nostri peccati personali, allora in quadro è completo: l’uomo nel peccato non è in grado di aiutarsi, perché è privo di energie spirituali, è dominato dal suo egoismo.
La descrizione degli effetti del peccato è tremendamente efficace ed è vera. Ma bisogna fare attenzione a non considerarla in modo unilaterale. L’io di cui parla Paolo non è il suo io soggettivo, ma è l’io generico di ogni peccatore. Chiunque è nel peccato, si trova a vivere questa profonda divisione interiore. Ma possiamo dire anche di più. Questa divisione interiore è in realtà già un effetto della grazia di Dio; un effetto cioè della bontà di Dio, che ci dà coscienza del male in cui ci troviamo. Può essere, anzi è, l’inizio della salvezza. Uno che rifiuta la grazia di Dio e vive ostinatamente nel peccato, vive in modo diverso questa divisione, e spesso con grande superficialità.

 

 

 

3.f. Ma non è l’unica forza né la più grande

Ma san Paolo non può fermarsi a questa visione così drammatica, quasi che non avesse uno sbocco. Ne aveva già parlato più sopra ed ora riprende il discorso portandolo alla conclusione tipica del Vangelo. <<Chi mi libererà dal corpo che porta questa morte? Grazie a Dio per mezzo di Cristo nostro Signore!>> (7, 24-25). Questo è dunque il Vangelo, la buona notizia: la nostra ansia di liberazione dal male che ci opprime e non ci fa vivere è data proprio dal Cristo Signore. Non è una risposta prefabbricata questa. È la verità vissuta e l’indicazione della identità umana. Il Cristo Signore non è venuto a liberare l’umanità da scrupoli religiosi, ma è venuto a portare a compimento l’opera di Dio, iniziata con la creazione.

 

 

 

3.g. Il Vangelo della salvezza

Da sempre Dio è la forza e la sorgente della realizzazione umana. Egli non è tale perché c’è il peccato, ma può liberarci dal peccato, perché è il Dio della libertà. Una visione troppo debitrice del peccato restringe anche l’operato di Dio, rendendolo funzionale al peccato. Abbiamo bisogno di Dio, perché siamo peccatori. Questa è la mortificazione del Vangelo e il suo accantonamento negli angoli di mentalità contorte e spiriti affranti. Il Dio di Gesù Cristo è il Dio della creazione buona,è il Dio in grado di riportare l’uomo sulla strada della vita, qualora l’avesse smarrita. Il vangelo predicato da Paolo, nonostante alcune sottolineature che possono sembrare esagerate ed unilaterali, è in verità a servizio di questo ampio orizzonte , in cui Dio è veramente il centro di tutto e l’origine del bene che c’è nell’universo, attraverso Cristo Signore.

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