Vita nello Spirito

Venerdì, 19 Novembre 2004 01:37

Il volto nero di Dio (Marcelo Barros)

Vota questo articolo
(0 Voti)

Il volto nero di Dio
di Marcelo Barros




Un aspetto fondamentale del cammino di fede delle comunità cristiane di base latinoamericane è stato il loro riappropriarsi della Bibbia. Oggi i poveri meditano la Parola di Dio e l'avvertono non più come una legittimazione dell'oppressione e della sofferenza (come durante il passato colonialista), bensì come chiamata di Dio alla libertà e alla pienezza di vita. Questa diversa lettura aiuta a comprendere che - come diceva il vescovo Oscar Romero parafrasando Sant'Ireneo di Lione - «la gloria di Dio è garantire la vita e la dignità dell'oppresso» e non solo celebrare belle liturgie.
Nel continente latinoamericano, i più poveri tra i poveri - e anche i più esclusi dalla società -sono i discendenti degli schiavi africani, vittime tuttora di una triplice discriminazione: l'emarginazione sociale provocata dalle conseguenze della schiavitù, il razzismo più o meno camuffato, e i pregiudizi nei confronti delle loro espressioni religiose e culturali.

Di recente, a Goiània, capitale dello Stato di Goiàs (180km a sud-est di Brasilia), il ministero della cultura ha patrocinato un'esposizione di statue di Orixà (spiriti che tutelano la natura e le sue forze, siano esse magnetiche, minerali, vegetali e animali) in un parco centrale della città. Lo stesso giorno dell'inaugurazione, gruppi di protestanti pentecostali e di cattolici carismatici hanno organizzato manifestazioni religiose «in riparazione all'offesa recata Gesù Cristo» e «contro i demoni del Candomblè».
Pur abitando a 140 chilometri di distanza, mi sono sentito in dovere di partecipare all'apertura della mostra e di scrivere due articoli su quotidiani nazionali in difesa della religione degli Orixà. Così facendo, mi sono tirato addosso la rabbia di vari pastori protestanti e di sacerdoti cattolici.
In Brasile e in altri paesi dell'America Latina, alcuni esponenti del movimento per la coscienza nera sono molto critici nei confronti di una Bibbia ritenuta colpevole di aver fornito ai cristiani le giustificazioni teologiche della schiavitù dei neri. Secondo il testo sacro, infatti, gli africani sarebbero discendenti di Cain, il figlio maledetto di Noè. Il mito è noto: offeso dal comportamento di Cam, padre di Canaan, Noè avrebbe esclamato: «Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli». (Genesi 9, 25).

Si sa che gran parte delle famiglie afro vivono un sincretismo religioso fatto di cattolicesimo popolare e di credenze derivate dalle religioni tradizionali africane (Candomblé o Umbanda). Soprattutto in passato, hanno mostrato un profondo risentimento nei confronti di un'interpretazione della Bibbia secondo cui qualsiasi rito diverso da quello ufficiale sarebbe proibito e le religioni afro-brasiliane sarebbero idolatriche e demoniache. Si tratta. purtroppo, di un'interpretazione non del tutto scomparsa, come il caso di Goiània ha chiaramente dimostrato.
Leggendo la Bibbia partendo dal contesto storico, le comunità ecclesiali di base hanno però appreso che non è possibile paragonare il culto degli Orixà agli antici riti cananei e babilonesi. Li si dovrebbe invece associare ai culti pre-jahvisti. El Shabbaoth ("il Dio degli eserciti"), El Shaddai ("il Dio altissimo"), El Olam ("il Dio Eterno") e altre potenze celesti furono dapprima considerate vere divinità, poi, gradualmente, finirono con l'essere accettati come nomi dell'unico Dio. Altri dèi, quali Baal, Moloc e Astante, non furono invece accettati. Similmente, furono accolti alcuni culti di popoli associati all'Esodo e all'alleanza, mentre si rifiutarono altri, considerati idolatrici perchè legittimavano l'oppressione (Salmo 82).
Non c'è dubbio che le religioni afro riconoscono l'unico Dio e che gli Orixà (o Inquice) altro non sono che sue manifestazioni nelle forze della natura e nella memoria degli antenati.

Le comunità afro possono aiutare le chiese ufficiali a leggere la Bibbia in modo nuovo. Esse scoprono nel testo sacro quanto la Federazione dei vescovi cattolici dell'Asia ha affermato in un recente documento: «Il fondamento principale del dialogo tra le religioni è la certezza dell'universalità della grazia di Dio. Dio si dona, e su questo noi, esseri umani, non possiamo avere nessun controllo (...) Dobbiamo perciò conoscere quello che Dio ha detto e continua a dire in mille modi diversi. Aderire a questo con tutta la dovuta attenzione è un modo di rendere omaggio alla grazia divina. Dovremmo vedere le religioni come risposte all'incontro con il mistero divino o con le realtà ultime. Solo così le tradizioni religiose dell'umanità avranno il loro posto nel progetto divino di salvezza».

(da Nigrizia, febbraio 2004)



Letto 1473 volte Ultima modifica il Venerdì, 28 Gennaio 2005 19:07
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search