EUCARISTIA E UNIONE CON CRISTO
E’ con tutto il «realismo» possibile che noi dobbiamo comprendere le parole di Gesù al momento dell’istituzione dell’Eucaristia: «Prendete, mangiate, questo è il mio corpo» (Mt 26,26). Ilsoggetto «Questo» (il pane) si identifica con l’attributo «il mio corpo» (la persona di Gesù). Se crediamo che Gesù è il Figlio di Dio, di quel Dio che non può e non vuole ingannare né ingannarsi, è necessario concludere che il pane e il vino consacrati sono il Cristo realmente presente. La fede della Chiesa è sempre costante e unanime su questo punto.
L’Eucaristia è soprattutto sacramento della presenza, poiché essa è sacramento della Pasqua e della salvezza che, è Cristo stesso in persona. È per questo che i nostri primi fratelli cristiani parlavano della «mensa del Signore», della «cena del Signore» (1 Cor 10,21; 11,20). Colui che aveva mangiato con gli Apostoli si rendeva presente a essi e presiedeva la «cena». Il racconto dei discepoli di Emmaus è una testimonianza chiara di questa realtà: Gesù si manifesta loro nello spezzare il pane. Ancora oggi Gesù ci dice: «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui e lui con me» (Ap 3,20).
Noi celebrando l’Eucaristia rendiamo attuali le apparizioni del Risorto; tali «apparizioni» sono il compimento della sua Parola: «Ritornerò a voi» (Gv 14,18-22). E soprattutto noi crediamo che Lui ritorni come «venne» il primo giorno della settimana, e «venne» la seconda volta il primo giorno della settimana seguente (Gv 20, 19,26).
È soprattutto e fondamentalmente nel corso dell’Eucaristia che ognuno di noi entra in comunione reale con Gesù Cristo morto e risorto per noi. Ogni volta che noi celebriamo l’Eucaristia il Signore si rende presente a noi in diversi e molteplici modi.
- Prima di tutto, per mezzo della comunità stessa riunita nel suo Nome e raccolta e «rivolta» a Lui. Quando il Cristo risorto appare in mezzo ai suoi discepoli chiusi in casa per paura dei Giudei, noi possiamo credere che Egli non veniva da fuori ma dall’interno dell’unico cuore che li riuniva, (cioè era in «mezzo a loro»).
- Il Cristo si rende pure presente quando viene proclamata la Parola del Vangelo. È per questo, che all’invito del diacono: Parola del Signore, noi rispondiamo: Gloria a Te Signore Gesù!
- Il Cristo si rende presente soprattutto nel pane e nel vino consacrato: Lui stesso (il medesimo Cristo), nascosto sotto le specie del pane e del vino allo scopo di essere mangiato e bevuto. La Sua stessa persona divina fattasi uomo nella storia e nella cultura umana, crocifissa e risorta e splendente della gloria divina, si rende presente a noi per mangiare noi lasciandosi Lui stesso mangiare.
- Noi lo consumiamo per essere trasformati (convertiti) nel suo stesso corpo, noi l’assimiliamo per essere da Lui assimilati.
- Tutte queste forme di presenza rendono sempre presente Colui che è sempre presente, il Presente!
La nostra vita contemplativa può essere compresa in questa chiave di ricerca-incontro. Gesù si rende presente a noi nell’Eucaristia perché Egli ci cerca e ci incontra, Egli ci invita, a nostra volta, a cercarlo e incontrarlo. La nostra vita orientata alla contemplazione consiste nel cercare la Presenza e renderci ad essa presenti. La vita contemplativa cristiana mi sembra inconcepibile senza l’Eucaristia e senza una profonda partecipazione ad essa.
Lo Sposo e la Sposa
L’Eucaristia è la venuta del Signore in Persona. Il desiderio di questa visita motiva la nostra celebrazione quotidiana dell’Eucaristia. Con lo Spirito e la Sposa noi invochiamo: Maranatha! Vieni Signore Gesù (Ap 22,20). Noi ci riconosciamo Chiesa-Sposa e, desiderando prolungare la presenza e la comunione, noi non esitiamo a conservare dopo la Celebrazione il Pane consacrato. Noi facciamo uso del nostro diritto sul Corpo già glorioso del nostro Sposo e Signore: «Lo Sposo non dispone del suo corpo, bensì la Sposa» (1 Cor 7,4).
Ma quale relazione possiamo stabilire tra l’Eucaristia e l’unione nuziale, riferendoci all’unione di Cristo e la Chiesa?
Molti Padri della Chiesa hanno fatto l’accostamento tra l’Eucaristia e l’unione tra il Cristo e la Chiesa basandosi sul testo agli Efesini 5,22-23. La celebrazione delle nozze tra il Cristo e la Chiesa ha luogo durante il banchetto dell’Eucaristia: qui il Signore Sposo fa sua la Chiesa e la incorpora a Lui come suo corpo e sua carne; ed è per questo: «Egli Li nutre e si prende cura di lei, poiché nessuno ha mai odiato la propria carne,) (Ef 5,29).
La chiesa dal canto suo, come nuova Eva, diviene «carne della sua carne e ossa delle sua ossa». Difatti, nell’Eucaristia, «il Cristo ama la sua Chiesa e si dona ad essa» (Ef 5,25). A questo dono totale di sé fatto dal suo Signore e Sposo corrisponde l’abbandono totale della sua Sposa, la Chiesa.
L’«alleanza nuziale nuova ed eterna», che ogni Eucaristia è, si trasforma per noi nella realtà in ogni nostra consacrazione monastica. Questa alleanza e questa consacrazione avvengono puntualmente nel banchetto di nozze dell’eucaristia e siamo chiamati a rinnovarle in ogni celebrazione della Cena del Signore. Solo così noi possiamo manifestare il Cristo unito alla sua sposa, la Chiesa, con un legame indissolubile. Solo così noi potremo perseverare nella fedeltà dell’amore fino a quando il Signore ritornerà.
Preghiera e mistica
In virtù della celebrazione eucaristica la Chiesa è una comunità orante. E precisamente parlando dell’eucaristia Paolo dice ai Corinzi: «Quando vi riunite in ekklèsia... » (I Cor 11,18).
Se la preghiera consiste nell’entrare in comunione con Dio, si comprende perché l’Eucaristia favorisce la preghiera. Anzi, possiamo dire che l’eucaristia fu istituita per fare della comunità ecclesiale un corpo orante.
La celebrazione eucaristica raggiunge il suo apice nelle parole del Signore: «Prendete e mangiate, prendete e bevete». Prendere è accogliere, ma non solamente accogliere, è anche essere accolti. La preghiera eucaristica è comunione in un abbandono mutuo di se stessi e nella mutua accoglienza. In tal modo ha compimento la parola del Signore: «Voi in me e Io in voi» (Gv 14,20).
Il Cristo eucaristico è il Cristo glorioso e in piena comunione con il Padre nello Spirito. Questo «mangiare» il Cristo è entrare (comunicare) nel seno della comunione trinitaria. Quando noi preghiamo mangiando e comunicando, noi diveniamo dimora di Dio. Quando chiunque tra noi s’accosta all’Eucaristia con fede amorosa, Gesù gli dice: «Il Padre e Io siamo Uno» (Gv 10,30): «E subito, mediante lo Spirito Santo, l’amore l’assume in Dio, e lui stesso riceve Dio che viene in lui e pone la sua dimora in lui non solo in maniera spirituale, ma anche corporalmente mediante il mistero del corpo e del sangue, santo e vivificante del nostro Signore Gesù Cristo (Guglielmo di S. Thierry, Preghiera meditativa, X 10,8).
È forse troppo dire che la comunione eucaristica è la porta reale per entrare nel mistero ed essere misticamente trasformati? Possiamo affermare che il mistero eucaristico è il luogo privilegiato dell’esperienza mistica? Se il Cristo è un fuoco divorante, non è affatto normale che i nostri cuori ardano nell’oscurità della fede quando il pane che spezziamo viene distribuito e mangiato?
EUCARISTIA E COMUNIONE FRATERNA
La semplice lettura dei testi eucaristici del Nuovo Testamento ci dice chiaramente che l’Eucaristia è il sacramento della comunione con il Cristo e i fratelli, il sacramento della vita comunicata. Essa esprime e produce la comunione solidale con la vita di Gesù e con tutti i credenti che partecipano dell’unico Pane, e allo stesso tempo, ci impegna a condividere la vita.
Se la comunità monastica è soprattutto una comunità di fede, allora l’Eucaristia, sacramento di unità, ha al suo centro una funzione suprema da compiere. Celebrare insieme il sacramento dell’unità ci permette di manifestare l’unità già esistente e di alimentarla perché essa possa crescere fino alla sua pienezza escatologica.
Uniti verso il Signore
In Matteo 18,20 parlando della ricerca e dell’incontro con il signore nella liturgia, l’Evangelista dice: «Là dove due o tre sono riuniti “verso” (eis) il mio Nome, io sono in mezzo a loro».
Avrete notato che coloro che sono riuniti non lo sono semplicemente «nel» ma «verso», e cioè in una ricerca intensa del Nome, vale a dire della Persona. Ciò spiega una volta di più perché nell’assemblea eucaristica, lo Spirito e la Sposa esclamano: Vieni! Maranatha!
Nell’Eucaristia, cerchiamo comunitariamente Gesù Cristo, protesi verso il tempo escatologico, verso il fine ultimo e definitivo. In Essa viviamo il primo comandamento dell’amore verso Dio nel contesto concreto del secondo comandamento dell’amore verso il prossimo, nelle persone dei nostri fratelli e sorelle della comunità.
Il vangelo di Giovanni è pieno di riferimenti all’eucaristia (Cf. soprattutto il c. 6). Ma quando si tratta di parlare dell’istituzione dell’Eucaristia, Giovanni sorvola. Sapete invece cosa fa? Egli mette al suo posto il comandamento nuovo: «Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 13,34-35)! Per mezzo di questo mutuo amore Gesù ci dice: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e Io in lui» (Gv 6,56).
Alla fine della sua Regola S. Benedetto ci lascia il suo testamento spirituale: amatevi ardentemente gli uni gli altri. Poi esprime il suo ultimo desiderio: che il Cristo ci conduca tutti insieme alla vita eterna. L’Eucaristia è un vulcano d’amore incandescente che rende possibile l’amore ardente. In ogni celebrazione eucaristica il Signore «ritorna» per farci entrare tutti insieme nella sua vita glorificata ed eterna.
Il Corpo del Kyrios
Nell’Eucaristia Gesù immolato e risorto, cioè il Kyrios, è presente. Perciò Paolo parla della «cena del Kyrios», «del calice del Kyrios» e della mensa del Kyrios. Ora il titolo Kyrios comporta il riferimento alla comunità. Si tratta del Kyrios-Signore dell’universo, del mondo, della Chiesa, della comunità: «Nessuno di noi vive per se stesso, come non muore per se stesso; se viviamo, viviamo per il Kyrios. e se moriamo, torniamo per il Kyrios. Perciò, sia che viviamo sia che moriamo, siamo del Kyrios. Perciò Cristo è morto ed è ritornato in vita per essere il Kyrios dei morti e dei vivi» (Rm 14,7-9).
Quando S. Paolo scrivendo ai Corinzi dice loro: il pane che noi spezziamo è partecipazione e comunione al corpo di Cristo (1 Cor 10, 16-17), si riferisce pure al corpo di Cristo che è la comunità. Per questo poco dopo afferma che l’unità effettiva tra i cristiani tutti è costitutiva della celebrazione; in caso contrario «non è la cena del Signore» (1 Cor 11,21).
Più oltre, in 1 Cor 11,29 leggiamo: «Colui che mangia e beve, mangia e beve la sua condanna se non sa discernere il corpo». Cosa significa, in tale contesto, la parola «corpo»? Possiamo dire che Paolo si riferisce alla Chiesa, senza prescindere dal corpo eucaristico del risorto. Di fatto, è quanto dimostra la struttura stessa di tutto il brano citato; inoltre, già prima l’Apostolo aveva detto: «noi tutti siamo un solo corpo perché partecipiamo a un unico pane» (10,17); e poco dopo afferma: «voi siete il corpo di Cristo» (12,27).
S. Benedetto invita il superiore a recitare a voce alta, due volte al giorno, la preghiera del Signore. In quest’occasione tutti possono rinnovare il loro impegno al perdono reciproco e togliere le spine della separazione (scandalo). Soggiacente vi è il comando del Signore: «quando ti avvicini all’altare per presentare la tua offerta... ». Non senza un certo timore non posso evitare di domandarmi: quando il Signore si fa presente a noi, oltre che essere riuniti ci trova anche uniti? Non ci preoccupiamo forse più della forma esteriore della celebrazione (che deve essere secondo le norme liturgiche) che della sua autenticità (derivante dalla concordia dell’assemblea)?
Comunicare e condividere
La comunità primitiva di Gerusalemme ci ragguaglia sui frutti dello «spezzare il pane nelle case, prendendo cibo e lodando Dio» (At 2, 46-47); e cioè, “i credenti erano un cuor solo e mettevano tutto in comune” (At 2, 44), tutti non erano che un cuor solo e un’anima sola: niente di ciò che apparteneva loro dicevano essere proprio, ma era tutto in comune» (4,32).
Riferendosi a questo testo, l’abate di Ford, Baldovino, dottore dell’Eucaristia e della vita comunitaria, ci offre il frutto della sua vita e della sua meditazione con queste parole: «La carità ha in sé il potere di trasformare in comunione una proprietà personale; non distruggendo una tale proprietà, ma facendola concorrere (convergere) nella comunione, non lede una tale comunione, non mette ostacoli al bene della comunione. La divisione o la proprietà personale che pone ostacolo al bene della comunione, è estranea alla carità»
«I beni spirituali divisi sono ricondotti alla comunione in due modi: prima di tutto quando i detti beni i quali vengono distribuiti a questo o a quello sono posseduti in comune mediante la comunione dell’amore; poi per mezzo dell’amore della comunione, essi sono amati in uno spirito comunitario. La grazia è comune a colui che la possiede e a colui che non ce l’ha. Quando chi la possiede, la comunica all’altro e la possiede così anche per l’altro e colui che non ce l’ha la possiede nell’altro poiché egli lo ama» (Trattato XV, sulla vita cenobitica).
Inoltre, il senso profondo di questo cibo partecipato si comprende solamente quando noi siamo solidali con i membri più poveri e senza alcuna dignità del corpo di Cristo. Infatti, Lui stesso ce lo dice: «Quando dai un banchetto, invita i poveri, gli storpi, gli sciancati, i ciechi; beato sarai quando essi non hanno di che contraccambiarti! Perché ti sarà reso alla risurrezione dei giusti» (Lc 13,13-14).
La nostra povertà evangelica e monastica ci invitano inoltre, alla solidarietà con i poveri e a preferire quegli esseri umani distrutti dalla nostra inumanità. La risposta generosa a questo invito non è opera della carne e del sangue; è un dono del Padre che ci rende compassionevolmente solidali con loro per mezzo del corpo e del Sangue del suo Figlio.
di Dom Bernardo Olivera o.c.s.o.