Vita nello Spirito

Mercoledì, 07 Marzo 2018 10:01

Prepararsi alla prova (Antonino Rosso)

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Figlio mio, se ti presenti per servire il Signore prepara l'anima tua alla prova. Mettiti sulla strada giusta e mostrati deciso, per non smarrirti nel tempo dell'avversità (Siracide 2, 1-2).

Prepara l'anima tua alla prova! Ogni professione esige un severo tirocinio di preparazione perché l'uomo non si improvvisa mai. Si può anzi dire, con un paradosso, che neppure quando nasce egli è già uomo: possiede, sì, tutte le facoltà umane, ma non le esercita ancora.

Uomo si diventa, professionista si diventa, anche artista si diventa e non è affatto vero che «artista si nasce». poiché oltre ai precetti dell'Accademia l'artista assimila la mentalità del suo tempo e subisce l' influsso dell'ambiente in cui vive.
Così è nel dolore. È pessima cosa esser presi alla sprovvista: non si sa come comportarsi, che partito prendere: la confusione è enorme e si fanno mosse sbagliate e contraddittorie. La mossa più pericolosa infatti la fa sempre chi si trova improvvisamente sprovveduto davanti all'enigma della sofferenza.

Imparare a soffrire

Come prima norma allontaniamo da noi quel senso esagerato di sicurezza che ci fa considerare i beni, di qualsiasi genere essi siano, come stabili e inalienabili e non rimarremo sorpresi quando ci verranno tolti.
Così si comportava Seneca: «Mentre attendo che le cose si volgano in mio favore, per essere più certo, sto pronto ai mali che mi possono accadere» (Epistulae, 88, 14).

Per saper soffrire, esercitiamoci alla sofferenza. I Santi si davano alla mortificazione anche per questo motivo: per esser poi disposti ad accettare qualunque prova. Scrivendo s'impara a scrivere, parlando a parlare, soffrendo a soffrire. Con l'esercizio la professione diventa connaturale all'uomo, poi subentra la natura che è sempre con le sue risorse il migliore ausiliario.

«Quando stiamo bene, ci domandiamo con meraviglia come faremmo se fossimo malati; quando poi lo siamo, ci pieghiamo di buona voglia a prender le medicine: il male ci persuade a farlo. Non abbiamo più le passioni e il desiderio di passeggiate e di svaghi che la salute suscitava in noi e che sono incompatibili con le necessità della malattia. La natura c'ispira allora passioni e desideri conformi al nostro stato» (Pascal, Pensieri, 278).

Ad esempio Cristo patì. Il patire per Lui era una necessità imposta da un decreto divino che lo lanciava nella missione redentrice. Bisogna che il Figlio dell'uomo patisca molto (Lc. 9, 22). Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato sulla croce, affinché chiunque creda in Lui abbia la vita eterna (Gv. 3,14-15). Perciò rigetta Pietro da Sé e lo chiama tentatore (Mt. 16, 23) perché cerca di distoglierlo da questo improrogabile dovere e, nel Getsemani, lo rimprovera quando tenta di difenderlo dalla cattura (Gv. 18, 11).

A questa professione dolorosa Cristo si preparò per tempo. La sua vita si sviluppò all'insegna del dolore. Ogni istante la Vittima santa si andava agghindando per l'immolazione del Venerdì santo. Nel Vangelo sono inesorabilmente segnate le tappe della marcia: la stalla, la mangiatoia, l'esilio, la bottega del carpentiere, la strada polverosa e solatìa, la contraddizione, l'insulto, la persecuzione.

Poté così percorrere fino in fondo, senza arresti, il tragico itinerario segnato dal Padre.

Il rovescio della medaglia

Non vi siete mai domandato perché gli apostoli, sempre così vicini al Maestro con ammirabile fedeltà, nel Getsemani, dove comincia a sibilare vento di tragedia, abbandonandolo solo, se la svignarono tutti (Mt. 26, 56)?
Mancavano di preparazione. I loro sogni puntavano ad un regno messianico terreno, ricco di felicità; delle severe lezioni sul dolore, propinate loro dal Maestro, non avevano capito nulla.

Erano rimasti sordi anche agli ultimi avvertimenti, opponendo una baldanza e una presunzione assurde.

Pietro disse a Gesù: «Ancorché tutti si scandalizzassero, io non lo sarò giammai». E Gesù gli dice: «In verità ti dico, che oggi stesso, questa notte, prima che il gallo abbia cantato due volte, mi avrai rinnegato tre volte». Ma egli replicava ancora con più forza: «Ancorché dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano anche tutti gli altri (Mc. 14. 29-31).

Guai se anche il nostro corpo, come il nostro spirito, si rifiutano di allenarsi in questa specie di ingrato atletismo. Sarà la sconfitta più umiliante! Ci toccherà la sorte degli apostoli ben raffigurata nel granello di seme, caduto in terreno roccioso, che non ha in sé radice, è instabile e venuta la tribolazione e la persecuzione subito si scandalizza e si secca (Mt. 13, 21).

Antonino Rosso

(da Missione Salute, n. 4, 2015, p. 79)

 

Letto 1567 volte Ultima modifica il Mercoledì, 07 Marzo 2018 10:16
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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