Scontroso, burbero, dal carattere proverbialmente difficile, Beethoven celava in sé una ricchezza interiore che troviamo in tutte le sue opere, le quali uniscono ad un perfetto equilibrio formale una carica emotiva travolgente.
Ha scritto di lui G. R. Marek: «La grandezza di Beethoven è tutta qui. Egli tolse la musica dal piedistallo della sua bellezza formale e la immerse nel turbine della vita. La strapazzò, la agitò e la scosse fino a farle esprimere i problemi che abbiamo tutti, a evocare le emozioni che tutti sentiamo, a farla muovere e lottare con esuberanza come facciamo noi. Nelle Sinfonie egli ha messo in musica il dolore di tutti e la gioia di tutti... Malgrado i dubbi, egli crede nella vittoria travolgente della vita».
A tanto; ha contribuito la tormentata esistenza del Grande musicista, ricca di pene fisiche e morali, di aneliti e di prostrazioni, di sconforti e di speranze.
Tutto intriso di dolore
Ludwig van Beethoven, come nessun altro, ha trasfuso parte di se stesso nelle sue composizioni. Anche se non è il caso di scorgervi sempre l'elemento autobiografico, è però certo che senza il dolore tanta parte dei suoi spartiti immortali non sarebbero mai stati scritti e, in ultima analisi, rappresentano il trionfo della fiducia, della speranza, perfino della gioia sul dolore.
Ad esempio, nel Terzo Concerto per pianoforte e orchestra, nella Seconda sonata dell'opera 31, nella Sinfonia Eroica, nella Sonata Aurora affiora la disperazione cupa del Maestro, ma purificata da una gioiosa elevazione spirituale. Il dolore dà ineguagliabile forza espressiva all'arte beethoveniana: soprattutto nell'aspetto eroico, nella titanica lotta contro le forze avverse del Fato e della Natura, nello slancio irresistibile verso le vittoriose affermazioni del proprio, io. Così il Beethoven appassionato, o eroico, o patetico, o demoniaco, prevale nettamente su quello elegiaco. Sappiamo che la vita del "Genio di Bonn" fu attraversata dalla sofferenza, che per lui porta un solo nome terrificante: sordità. Il disturbo comincia a manifestarsi preoccupante nel 1798, a soli 28 anni. Quindi peggiora inesorabilmente.
Una vita infelice
Il 29 giugno 1801 versa la sua pena nel cuore di un amico di Bonn: «Devo confessarti che conduco una vita infelice. Sono almeno due anni che evito qualsiasi compagnia, perché non mi è possibile dire alla gente che sono sordo. Se avessi un'altra professione la mia sordità non sarebbe cosa grave, ma nel mio caso è una menomazione terribile! Per darti un'idea di questa spaventosa sordità ti dirò che a teatro, per sentire gli attori, devo mettermi accanto all'orchestra, perché se sono un poco più lontano non odo le note acute degli strumenti e delle voci».
Nell'isolamento della cittadina di Heiligenstadt, poco lontana da Vienna, la crisi tocca il parossismo e nel Testamento di quell'epoca compaiono pagine amare e desolate dove affiorano velleità suicide. Beethoven ha ormai la certezza che la sua malattia è inguaribile: sarà condannato a non più udire le sue composizioni che nell'intimo dell'animo.
Eppure con uno sforzo titanico vince la crisi; sente che sta «mettendosi su di una via nuova» (sono parole sue). In pochi mesi compone la Sonata Kreutzer e ha in progetto l'Eroica, uno dei maggiori capolavori musicali di tutti i tempi, paragonabile, nel suo genere, agli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina. Udendola, «ci si trova al centro di un uragano di emozioni che travolge il cuore. Ma la meta di questo uragano non è la tomba; la fine non è fredda sottomissione, ma vampa di gloria» (G. R. Marek). E il trionfo, la risurrezione dello spirito immortale sulla fragile materia.
Sinfonie: canto di dolore
Principalmente nelle Sinfonie il dolore di Beethoven trova il suo legittimo sfogo e subisce meravigliose trasformazioni. Per ricordare solo le più note: nella Terza, l'Eroica, la sofferenza si trasforma in gloria e trionfo. Nella Quinta, Il Fato che bussa alla porta (come .la definì lo stesso Maestro) in trionfo dello spirito dell'uomo sul destino inesorabile. Nella Sesta, la Pastorale, in rilassante contatto con la natura, in freschezza di vita e contemplazione. Nella Settima, in movimento e ritmo, tanto che Wagner poté chiamarla L'apoteosi della Danza. Nell'Ottava, in umorismo, ricca dei più attraenti scherzi musicali.
Finalmente Beethoven ci ha offerto, con il suo dolore, la Nona Sinfonia, che è fratellanza universale e gioia nell'eterno. La poderosa e insuperabile composizione termina con il coro composto sui versi del grande Friedrich von Schiller:
«Gioia, vaga, eccelsa luce,
scesa dall'Eliso a noi,
ebri il nostro ardor ne adduce,
diva, ai sacri altari tuoi.
Nel tuo nodo riaffratelli
chi disgiunse vanità;
tutti al mondo son fratelli
dove l'ala tua ristà.
Gioia può ciascuno in dono
da natura madre aver;
ognun segue, tristo o buono,
il suo roseo sentier.
Baci diede all'uomo e vino,
e all'amico fido cor;
voluttà diede al verme insino;
presso è l'angiol al Signor.
Chi per sorte avventurosa
ha un amico in cui fidar,
chi conquise dolce sposa,
con noi resti ad esultar.
Sì, chi pure solo vive
suo il mondo può chiamar!
E lontan da noi, furtivo
piange chi non seppe amar.
Siate avvinti, milioni!
Bacia Amor il mondo inter!
Genti, sopra gli astri, inver,
regna un Padre caro ai buoni.
Vi prostrate, milioni?
Mondo, senti Iddio tu?
Volgi il guardo a lui lassù,
nell'eterne sue regioni.
Va, sì come sole radioso
per l'azzurra immensità
e cammina umanità,
lieta come eroe glorioso».
Antonino Rosso
(tratto da Missione Salute, n. 6, 2004, pp. 14-15)
Una vita tormentata e solitaria
Ludwig van Beethoven nacque a Bonn nel 1770 da una umile famiglia di tradizioni musicali. Ebbe un'infanzia difficile. Suo padre pressato da ristrettezze economiche, finì alcolizzato, mentre la madre morì quando ancora era ragazzo, lasciandogli la responsabilità di curare i due fratelli minori. Si mantenne negli studi suonando come organista presso l'arcivescovo di Bonn. Nel 1792, spinto da amici e mecenati, il giovane Ludwig si trasferì a Vienna, dove agiati borghesi erano interessati a promuovere attività musicali: il compositore poté così svincolarsi dal "servizio" presso un aristocratico per lavorare come "libero professionista". A Vienna, città che non abbandonerà più fino al termine della sua vita, diede concerti, pubblicò le sue opere e insegnò, animato da una forte carica di ottimismo e di amore per l'umanità. Ma qui iniziò anche a manifestarsi un male "impossibile" per un musicista: la perdita dell'udito. Questa malattia lo rese cupo e poco socievole, fino a meditare di suicidarsi (Heiligenstadt 1802). Isolatosi dal resto del mondo, si tuffò allora nella composizione, guidato solo dal suo “orecchio interiore". Nacquero in questo periodo le sue opere più profonde. Tra queste ricordiamo le Sinfonie numero 5,6,9, la Messa Solenne, le ultime sonate e i quartetti. Il prestigio e l'ammirazione che gli vennero tributati non modificarono però la sua vita, che continuò monotona, isolata, piena di frustrazioni. Nel 1827, colpito da polmonite, la sua salute precipitò: dopo tre interventi chirurgici morì a Vienna. La sua scomparsa suscitò profonda emozione. La città gli tributò solenni onori. Beethoven ha vissuto in un'era trasformata dalla Rivoluzione francese. La sua musica - alla quale infuse nuova vitalità e un impeto interiore - ha preso forma dai suoi conflitti interiori mettendone a nudo le passioni e i dolori.