Pentecoste significa cinquanta giorni, che, nella nostra esperienza, sono quelli intercorsi dalla Risurrezione alla manifestazione vivente dello Spirito nella persona dei discepoli riuniti nel Cenacolo.
Gesù Cristo aveva più e più volte parlato dello Spirito e dichiarato che se non fosse tornato al Padre non avrebbe potuto inviare lo Spirito.
Noi abbiamo una qualche nozione dello Spirito appresa o dal catechismo o da una più elaborata conoscenza teologica; ma ne abbiamo un’esperienza? E in noi vivente e operoso lo Spirito?
Il giorno della Pentecoste segna l’ingresso dell’eternità nel tempo, di ciò che dura in eterno nel mondo dell’effimero e del transitorio. Ripassiamo con la mente il poco o molto che ci è stato insegnato sullo Spirito Santo. Sappiamo che Dio è uno, ma sappiamo che è trino; non tre dei, ma una sola essenza, una sola sostanza in tre persone: il Padre, l’Immanifesto per eccellenza, Colui che È; essendo e non essendo È, Colui che non esiste, ma È, dal quale ogni cosa ha origine, nel quale ogni cosa troverà la sua pace. Il Padre si manifesta mediante il Verbo, il Verbo è mosso dall’Amore.
Un’analogia potrà aiutarci a comprendere: ognuno di noi è una mente capace di pensare; fino a che essa rimane nel suo pensiero è immanifesta, velata. Il pensiero può venire tradotto in un’immagine, in un concetto, e formulato in un’espressione esterna: parola o gesto; la forza che muove la mente immanifesta a esprimersi è l’Amore. Così l’infinita bellezza di Dio, racchiusa nella sua perfetta e solitaria forma, ha voluto che il non-esistente partecipasse alla sua pienezza. Il Verbo eterno formula le infinite parole creatrici che si condensano nella materia, manifestando la sapienza e l’amore della mente divina per le creature chiamate a essere.
Il mistero divino esprime e rivela se stesso mediante una parola che è rivolta per amore dal Creatore alle creature; alla coscienza umana si rivela, per amore, come Legge che non viene impressa con prepotenza, perché Dio ha voluto l’uomo capace di pensiero, parola, azione, e quindi libero.
Cosa accadde il giorno della Pentecoste? Gesù aveva promesso lo Spirito, e aveva detto che lo Spirito avrebbe compiuto nei discepoli la trasformazione, il battesimo di fuoco, la seconda nascita.
I discepoli non erano degli eroi - come tali non si comportarono durante la passione del Maestro -, non erano neppure dei sapienti, e neppure dei credenti fanatici, ma dei buoni uomini, coi piedi radicati sulla terra e la testa ben piantata sul collo.
Avevano seguito Cristo, assistito ai suoi prodigi, inteso le sue parole; al momento in cui venne richiesta loro una testimonianza coraggiosa questo tesoro di esperienza svanì come fiocco di neve sull’apertura di un forno. Piangevano la morte del Maestro, soffrivano della sua separazione, ma continuavano a dimostrare di non aver capito molto.
Il Risorto torna in mezzo a loro, si manifesta in modo tale da non lasciar dubbi, passeggia con loro lungo le strade, con infinita pazienza torna a spiegare loro le Scritture, ma solo allo spezzare del pane lo riconoscono. Nel Cenacolo, l’apostolo del dubbio, Tommaso, crederà quando le sue mani incontreranno la carne del Risorto; a cosa crederà: alla carne che non era più carne perché trasfigurata, o a ciò che il Maestro aveva detto alle profondità abissali dell’anima umana?
Il giorno della Pentecoste, i discepoli erano riuniti con la Madre di Gesù nel Cenacolo. Mentre pregavano, un forte vento scosse la casa con rumore di tuono; apparvero delle lingue di fuoco che si posarono sulla testa di ciascuno. I discepoli si sentirono trasformati: da vili divennero coraggiosi; da ignoranti sapienti; da pavidi audaci. Aperto il Cenacolo, uscirono sulla piazza e cominciarono a predicare, e quanti li ascoltavano capivano nelle loro lingue quanto essi dicevano nella loro lingua aramaica (cfr. At 2, 1-11).
Cos’era avvenuto nei discepoli? Dio derogò, in loro e in quell’istante, alla legge di rispetto per la libertà delle loro coscienze. Con mano ferma annullò tutte le resistenze che la loro mente, la loro volontà, la loro emotività opponevano all’azione dello Spirito Santo. Furono uomini nuovi, rimasero sì nel loro corpo di carne, necessario per la necessaria testimonianza, ma tutte le loro energie e capacità interiori furono bruciate dal fuoco dello Spirito e trasformate in volontà di amore, in perfetta offerta alle forze santificatrici ed elevatrici di Dio. In essi rimase solo lo splendore di una vita immersa e illuminata da Cristo che è alla destra di Dio.
I discepoli divennero quello che noi tutti siamo chiamati a divenire: quello che Adamo era prima che il mondo fosse: un po’ di materia e un irraggiare e un folgorare dello Spirito.
Dopo la Pentecoste ognuno di noi deve convincersi che la folgorazione dello Spirito è in atto perennemente e che può manifestarsi in ognuno di noi, se le nostre energie interiori sono protese decisamente verso l’incontro con Cristo che siede alla destra di Dio.
Invocazione allo Spirito
O Spirito, fa’ che possiamo essere nella materia ciò che siamo in Te,
rompi le nostre barriere egoistiche, trasformaci in realtà di comunione.
Rendici coscienti che Tu dimori in noi, tuo tempio;
che la tua presenza illumini la nostra carne di compiuta bellezza.
Tieni lontano da noi l’orgoglio, l’arroganza della differenza,
dilata il nostro cuore nella comprensione della verità completa.
Infiniti e diversi sono i modi dell’esistenza:
in ognuno il principio di vita e di luce sei Tu.
Tu sei in ogni segno d’illuminazione, in ogni anelito di vita,
in ogni sogno di bellezza, in ogni rinuncia per un più grande amore.
Senza lingue di fuoco, senza rumore di vento,
qual intima presenza di grazia, quale principio di luce.
La tua venuta è nella certezza forte e inebriante
che nel cuore di ogni essere sei Tu, Amore e Luce crescente.
O Amore senza alba o tramonto,
libera noi tue creature in cammino da ogni intolleranza e durezza, da ogni incomprensione e chiusura.
O Amore che tutto nell’unità ricomponi,
libera noi tue creature in ascesa da ogni faziosità e separazione, da ogni ostilità e divisione.
La tua luce ci riveli sempre più oggetti d’amore,
manifesti le ragioni profonde della vita di tutti.
Sposti i termini del nostro io egoista fino alla comunione perfetta;
ci immerga nell’onda della tua casta ebbrezza gioiosa.
Svuota gli abissi interiori, crea sempre più dei cuori nuovi;
sottrai la natura dal male, battezzandola col tuo fuoco d’amore.
Per Te ritrovino in noi unità e canto il cielo e la terra,
l’altissimo e l’abisso profondo.
Il giorno e la notte, la tenebra e la luce,
la gioia e il pianto, la morte e la vita. Amen!
Giovanni Vannucci
(in La Vita senza fine, 1a ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte - ed. CENS, Milano 1985, pp. 97-101)