Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentre egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?». Nel loro compagno di strada, i due di Emmaus non avevano riconosciuto il Signore risorto, ma avevano sentito, dentro di loro, qualcosa che gli riscaldava il cuore. Che li toccava nel profondo.
Potremmo definire "evangelisti" involontari quegli artisti che si innamorano di Gesù di Nazaret, se ne appassionano e lo raccontano, lo raffigurano o lo cantano, pur senza appartenere alle Chiese che sul Gesù come Messia e Cristo si sono costruite. Anzi, magari polemizzando con quelle tradizioni.
Ma, proprio per questo, tali evangelisti involontari diventano i testimoni più credibili e convincenti per generazioni di dubbiosi e di cercatori. Il cuore contagiato dalle sconvolgenti novità e bellezza del messaggio di Gesù non riesce a tacere. E a sua volta contagia chi altrimenti non accetterebbe di essere coinvolto in un canonico "discorso su Dio".
Da Cohen a De André
«E Gesù fu marinaio / finché camminò sull'acqua / e restò per molto tempo / a guardare solitario / dalla sua torre di legno / e poi quando fu sicuro / che soltanto agli annegati / fosse dato di vederlo / disse: "Siate marinai / finché il mare vi libererà"».
Gli evangelisti involontari cantano liberamente «altre buone notizie», storie di Gesù che non ci sono nei vangeli, ma che loro reinventano e mettono in circolo nell'aria della contemporaneità.
Questo fa il canadese di ascendenze ebraiche Leonard Cohen nell'appena citata Suzanne (1967), una ballata che intreccia l'amore per una donna con l'innamoramento per il figlio dell'uomo. Il suo «Gesù marinaio» gli ha riscaldato il cuore, proprio come ai discepoli di Emmaus: «E lui stesso fu spezzato / ma più umano, abbandonato / nella nostra mente lui non naufragò. / E tu vuoi viaggiargli insieme / vuoi viaggiargli insieme ciecamente / forse avrai fiducia in lui / perché ti ha toccato il corpo con la mente».
È viaggiatore e marinaio il Gesù di Cohen, che dal PrimoTestamento trae linfa per le sue canzoni scolpite nella carne del mondo: basti pensare a Story of Isaac, o alla splendida Hallelujah, in cui immagina, lui in qualche modo discendente di Davide, di presentarsi davanti al Lord of Song, il Signore della canzone, «con niente sulla lingua che non sia Hallelujah».
Le parole italiane della canzone di Suzanne donna del fiume e di Gesù marinaio sono del nostro Fabrizio De André( 1940-1999), massimo cantautore italiano del Novecento, voce profonda sciamanica evocativa, testi densi limpidi e poetici che sono entrati nelle antologiescolastiche con la pura forza che hanno le parole antiche e sempre nuove.
L'unica infedeltà della traduzione è su un punto teologicamente sensibile: la natura di Gesù. Se Cohen scrive "almost human", «quasi umano», De André traduce «ma più umano» e non certo solo per ragioni metriche. Come dire che nell'uomo di Nazaret non cerca un inviato dei cieli, ma - appunto - un compagno di strada o di navigazione.
Gesù uomo-uomo
De André, agnostico ma non ateo, incontra Gesù fin dai tempi del liceo (come ricordava il suo insegnante di religione) come «il più grande rivoluzionario dell'amore», fratello, compagno di strada, ma anche modello di umanità. Non lo conquista il Gesù-Dio, lo prende il Gesù annunciatore dell'amore per gli uomini, così travolgente da spalancare la porta su altro e alto amore.
«Ma inumano è pur sempre l'amore / dichi rantola senza rancore / perdonando con l’ultima voce / chi lo uccide fra le braccia di una croce». Così si ascolta in Si chiamava Gesù, dal suo primo album del 1967, in cui De André esplicita senza possibilità di equivoci la sua posizione: «Non intendo cantare la gloria / né invocare la grazia e il perdono / di chi penso non fu altri che un uomo / come Dio passato alla storia». Se non altro perché «il male dalla terra non fu tolto». Ma resta il mistero di quell'amore «inumano», cioè di quel supplemento misterioso che non si spiega in termini razionali o storici. E che resta dentro ad «ardere il cuore».
Evangelista involontario dunque fin dalle prime canzoni (il suo celeberrimo Pescatore forse non «versò il vino, spezzò il pane / per chi diceva ho sete ho fame»?), il credente-non-credente Fabrizio De André: che nomina Dio o Gesù ben 88 volte nelle sue canzoni e che a Dio si rivolge direttamente, nella splendida Preghiera in gennaio per chiedere un posto in cielo per l'amico suicida Luigi Tenco: «Dio di misericordia, il Tuo bel Paradiso / lo hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso / [...] Ascolta la sua voce che ormai canta nel vento. / Dio di misericordia, vedrai, sarai contento».
La Buona Novella
Nel 1970, in piena bufera sessantottina, l'evangelista involontario diventa esplicito narratore, osando intitolare un disco monografico La Buona Novella, e dedicandolo interamente ai personaggi del vangelo: liberamente ispirato ai vangeli apocrifi, che l'avevano incuriosito - lui lettore/esploratore instancabile -proprio in quanto versioni «non ufficiali della storia di Gesù».
Una scelta che pochi compresero, al tempo dei fermenti della contestazione: ma come, l'anarchico De André, invece di narrare il presente delle lotte operaie e studentesche, si rifugia nelle parabole religiose? Scelta scandalosa e controcorrente, indice al tempo stesso della libertà intellettuale dell'artista e della fascinazione che suscitava in lui la sconcertante radicalità del messaggio cristiano. Anche come "allegoria" di ciò che la società potrebbe essere, se prendesse sul serio le parole del rabbi di Nazaret.
De André se ne è andato troppo presto ma sarebbe stato contento – lui che era rimasto turbato da un discorso di Paolo VI sul diavolo – dall'insistenza di Papa Francesco sul tema della misericordia. La sua Buona Novella si potrebbe infatti sottotitolare «In cerca della misericordia di Dio».
Coerente alla sua scelta di umanizzazione della storia sacra, l'artista sceglie come protagonista non l'uomo-Dio o inviato da Dio o creduto Dio, ma una donna, quella che sarà sua madre: Maria, narrata fin dall'infanzia come bambina prigioniera del potere sacerdotale maschile - «Avevi dodici anni e nessuna colpa addosso» - che le cerca un marito: «Si batte la campagna, si fruga la via /[...] del corpo di una vergine si fa lotteria».
Il sogno di Maria in volo con l'angelo, la delicatezza di Giuseppe nell'accettare la gravidanza misteriosa e scandalosa della sua sposa («E tu, piano, posasti le dita / sull'orlo della sua fronte: / i vecchi quando accarezzano / hanno il timore di far troppo forte»), l'umanità dolente che accompagna il condannato sulla via della croce («Perdonali se non ti lasciano solo, / se sanno morir sulla croce anche loro»), e il dialogo meraviglioso fra le tre madri sul Golgota, una specie di accorata gara del dolore. Dicono le mamme dei ladroni: «Lascia noi piangere, un po' più forte, / chi non risorgerà più dalla morte». Risponde la mamma di Gesù: «Non fossi stato figlio di Dio / t'avrei ancora per figlio mio»).
Al centro, la misericordia
Sono i momenti più alti di una Buona Novella che - oltre quarant'anni dopo - ancora oggi viene riproposta nei teatri, nelle piazze, negli oratori e talvolta nelle chiese, perfino con appassionato coinvolgimento di intere comunità (come nel caso di un paesino della Val di Gresta, in Trentino), perché riesce a parlare sia ai credenti sia ai cercatori sia ai curiosi di Dio. E se nel Laudate hominem, che conclude il disco, De André ribadisce: «Non voglio pensarti figlio di Dio / ma figlio dell'uomo, fratello anche mio», al cuore del suo Vangelo resta il (sacro) stupore per una capacità di amore che va al di là della misura umana.
La misericordia, solo la misericordia, la compassione converte Tito il ladrone, in extremis, dopo che ha imprecato, nel suo Testamento, contro il rovesciamento ipocrita dei comandamenti da parte dei potenti della terra. De André non si arroga il «punto di vista di Dio» per giudicare gli irregolari come i rom (come canta nella splendida Khorakhané nell'ultimo disco Anime salve) perché fin dall'inizio ha scelto la compagnia degli ultimi e dei disobbedienti che mai potrebbe condannare (come invece fanno i giudici e i borghesi): «Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo / se non sono gigli son pur sempre figli, / vittime di questo mondo» (La città vecchia).
Tito ha spergiurato ma non ne prova dolore, e lo rinfaccia con rabbia agli inflessibili custodi della Legge: «Lo sanno a memoria il diritto divino
e scordano sempre il perdono». Ma alla fine anche la sua rabbia crocifissa si scioglie, dinanzi allo spettacolo straordinario di un salvatore trafitto eppure capace di un sovrumano perdono: «Io, nel vedere quest'uomo che muore, / madre, io provo dolore. / Nella pietà che non cede al rancore, / madre, ho imparato l'amore». Il Vangelo secondo De André è tutto qui: in un condannato dalla giustizia umana che impara - per amore - di che cos'è fatto il cuore di Dio.
Paolo Ghezzi *
* inviato speciale del quotidiano L'Adige (che ha diretto dal 1998 al 2006), direttore editoriale casa editrice Il Margine
Bibliografia
De André F., Come un'anomalia. Tutte le canzoni, Einaudi 1999; Ghezzi P., Il Vangelo secondo De André, Ancora 2003, II edizione 2006; Ghezzi P., Per un bacio mai dato. L'amore secondo De André, Ancora 2011; Giuffrida R. - Bigoni B. (a cura di), Fabrizio De André. Accordi eretici, Euresis 1997; Salvarani B. - Semellini O., Dio, tu e le rose. Il tema religioso nella musica pop italiana da Nilla Pizzi a Capossela (1950-2012), Il Margine 2013; Salvarani B. - Semellini O., Il Vangelo secondo Leonard Cohen, Claudiana 2010.
(Da Vita Pastorale, n. 7, 2013, pp. 82-84)