Vita nello Spirito

Mercoledì, 12 Marzo 2014 20:53

La spiritualità dei padri monastici del XII secolo. Nicola di Chiaravalle (Giovanni Lunardi osb)

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Il suo esiguo corpus letterario, di squisita sensibilità poetica, ci sembra unire la devozione delle prime generazioni cistercensi alla teologia tradizionale. 

NICOLA DI CHIARAVALLE

(Francia - morto ca. 1178)

Nicola, monaco di Chiaravalle, è un autore sconosciuto al pubblico italiano. Abbiamo perciò pensato di inserirlo nella nostra serie, perché la sua voce può avere un'eco anche nella nostra epoca.

1. La vita

Nicola nacque all'inizio del XII secolo nella Champagne (Francia). Fece i primi studi nell'abbazia di Montiéramey, non lungi da Troyes. Alla fine del 1145 o all'inizio dell' anno successivo indossò l'abito monastico a Chiaravalle. Qui lavorò nello scriptorium copiando antichi manoscritti, ma soprattutto ricoprendo il delicato ufficio di segretario personale di san Bernardo, allora abate del monastero. Ciò spiega come egli ne abbia subito un forte influsso, nella dottrina e perfino nello stile letterario. Nel 1152 avvenne una dolorosa rottura tra il discepolo e il maestro, e il secondo lanciò pesanti accuse al primo (1). In queste circostanze Nicola abbandonò Chiaravalle. Dopo la morte di san Bernardo (1153), Nicola ebbe buoni rapporti con papa Adriano IV (1154-1159) e il suo cancelliere Rolando Bandinelli, anche quando questi divenne papa con il nome di Alessandro III (1159-1181). Nel 1160 lo troviamo priore di Saint-Jean-en-Chatel, dipendenza di Montiéramey. Morì verso il 1178.

2. Gli scritti

Nicola scrisse:
- 55 lettere, alcune delle quali indirizzate a Pietro Venerabile, abate di Cluny, e a Pietro, abate di Celle;
- 19 sermoni, alcuni dei quali attribuiti erroneamente a san Pier Damiani;
- alcune sequenze, responsori e lezioni per uso liturgico.

3. La spiritualità

Anche di Nicola, dalla personalità complessa e variamente giudicata già ai suoi tempi, tenteremo di cogliere e gustare, attraverso i suoi pochi e brevi scritti, qualche tratto della sua concezione sulla vita spirituale. Il suo esiguo corpus letterario, di squisita sensibilità poetica, ci sembra unire la devozione delle prime generazioni cistercensi alla teologia tradizionale. Ci soffermeremo solo su alcuni temi che sono di rilievo per la loro originalità.

3.1. Il disprezzo del mondo

Nicola ha un senso acuto della precarietà della vita terrena: qui tutto è transitorio, e in particolare l'uomo. «Il mondo passa e anche tu passi con lui; ma prima che esso passi, sarà lui a cacciarti via. Quando morirai, non prenderai nulla, mentre tutte le cose rimarranno e tu andrai alla tua strada» (2).
La breve esistenza terrena non conosce periodi di pace, ma solo di dura lotta! L'avversario è il mondo! Un anonimo, suo contemporaneo, affermava che «il monachesimo consiste nel disprezzo delle cose di questo mondo» (3). L'espressione può scandalizzare le nostre orecchie moderne. Ma bisogna precisarne il senso. Senza dubbio, Nicola ha del "mondo" un'idea molto negativa. Infatti lo vede cioè solo come l'insieme delle forze del male ostili al messaggio di Cristo, insomma come tutto ciò che stimola al peccato e che impedisce il progresso spirituale. Essere cristiano, quindi, vuol dire combattere e vincere il principe di questo mondo con tutti i suoi satelliti.
In concreto, «due mali ti assalgono violentemente e spesso ti vincono, la superbia nel pensiero e il piacere dei sensi» (4). «Da queste due fonti traggono origine tutti i vizi e sommergono tutta la terra» (5). «Niente distrugge la rocca della virtù e scalza il fondamento della disciplina, quanto la superbia. Per distruggerla e vincerla, si è dato da fare Colui (il Cristo) che con un solo cenno scuote l'universo» (6). Per quanto riguarda, poi, il piacere sensuale - continua Nicola -, il trascorrere l'esistenza unicamente nel «mangiare, bere, dormire, darsi ai piaceri sensuali (luxuriari), non è dell'uomo, ma delle bestie» (7). Il cristiano deve, perciò, combattere la superbia e i piaceri sensuali per conquistare la virtù dell'umiltà e il dominio dei sensi, attraverso l'imitazione di Cristo. In questo si riassume tutta la morale del Vangelo.

3.2. L'amicizia

Si sono scritte pagine e pagine sul modo di concepire l'amicizia nel monachesimo medioevale, considerata non solo come virtù umana, ma come strumento privilegiato della spiritualità cristiana. Sull' argomento potremmo ritenere Elredo di Rievaulx il sommo teorico e maestro (8).
Da parte sua, Nicola di Chiaravalle ci rivela il suo pensiero non mediante lunghi trattati, ma con semplici lettere, indirizzate ad amici che vorrebbe riabbracciare quanto prima. Egli prende così l'occasione per dipingere a vivi colori il ritratto dell'amico, quale si dovrebbe incontrare in regime cristiano. Questi scritti, brevi, particolarmente sinceri, perché non destinati al pubblico, ma solo all'amico,ci rivelano i sentimenti intimi dell'autore: è il cuore che parla al cuore!

- Innanzitutto, l'amicizia, quella autentica, non nasce né si conserva per le doti fisiche dell'amico, come la bellezza, l'intelligenza e la cultura. Essa va considerata piuttosto come una realtà soprannaturale, una grazia, suscitata e conservata dal Signore stesso.
- L'amore per l'amico è uno dei più alti valori, secondo unicamente all' amore che dobbiamo a Dio. Scrive Nicola: «Voi siete il solo ed unico che l'anima mia ama, e tenete nel mio cuore un posto privilegiato, dopo quell'Uno (cioè Dio) che l'anima mia ama» (9).
- L'amicizia non si spezza per la lontananza fisica dell'amico né per il "divorzio della morte", anzi essa raggiungerà la sua perfezione proprio dopo la morte, quando si avrà l'incontro definitivo in Cielo. «Solo la morte, che sa compiere un orrendo divorzio tra gli amici, potrà spezzare questa unione (intercidere unitatem), o meglio, nemmeno la morte, perché essa forse preparerà all'unità quando, e in maniera invisibile e migliore, ci incontreremo nell'unità della fede, in uomo perfetto, nella misura dell'età piena di Cristo (Cf. Ef 4,13)» (10).


Queste idee le vediamo ampiamente sviluppate in una lettera indirizzata ad un amico, di cui non ci è rivelato il nome, ma che sappiamo appartenere all'Ordine cavalleresco dei Templari (11), dislocato in Palestina. Ne trascriviamo la parte centrale e più caratteristica.
«Ho desiderato ardentemente di rivedere il tuo volto, ma purtroppo esso è molto lontano da me e al di là di ogni mia speranza. Infatti, spazi infiniti di terre e un mare sconfinato mi impediscono di vedere un amico che desideravo tanto. Inoltre tu sei impegnato per giuramento nella milizia di Cristo, mentre io ne sono impedito dalla penitenza dei poveri di Cristo, che ho giurato di osservare» (12).
«Noi infatti non ci amiamo come fanno coloro che si amano come uomini e che, in carne e sangue, bramano (affectant) la presenza della carne e del sangue. Il nostro amore, invece, ha origini pure (de puritate descendit), ha il profumo della spiritualità (spiritum redolet), non ha nulla di terreno. È lo spirito, che non ha nulla di terreno, che dà la vita, mentre la carne non giova a nulla (caro non prodest quidquam: Cf. Gv 6, 64). Che altro è la carne se non car ne? Un fragile corpicciolo, un vile schiavo (vile mancipium)! Perciò solo una piccolissima parte di me è lontana da te. Invece il tuo spirito buono è sempre nel mio spirito, rimane con me, mai si allontana da me (13). (...) L'amore di Cristo ti rende a me presente, sebbene tu sia lontano; e quanto più sei andato lontano, tanto più intensamente sei rimasto nel mio cuore (14) » (15).

Questa è la descrizione di una amicizia autenticamente cristiana, che, vista come dono di Dio, può considerarsi come il più forte antidoto per superare le inevitabili sofferenze e difficoltà della vita (16).

3.3. La devozione alla Madonna

Attraverso gli scritti di Nicola possiamo gettare uno sguardo sul clima mariano che si viveva a Chiaravalle, il cui primo maestro con la parola e con l'esempio era stato san Bernardo. Di Maria, Nicola sottolinea soprattutto il privilegio di essere stata associata a Cristo nell' opera di salvezza e, quindi, nella sua missione verso di noi. Con fine estro poetico si intrattiene, in particolare, sulla festa dell' Assunzione di Maria al Cielo. Le espressioni sono colme di tenerezza e di gioia.
«Questo - scrive - è il giorno che ha riempito di una gioia sublime le officine dei Cieli; giorno anniversario per il mondo, giorno senza fine per gli angeli; giorno che unisce gli uomini agli angeli e congiunge gli angeli con gli uomini in una felice alleanza».
E ancora:
«All'ascensione andarono incontro al Redentore solo gli angeli", ma "alla Madre che stava per entrare nei Palazzi Celesti, il Figlio stesso andò incontro con tutta la corte sia degli angeli che dei santi; la fece salire sul trono della dimora beatifica dicendo: "Tutta bella sei, amica mia; e in te non vi è macchia" (Ct 4,7)» (17).

È proprio dal momento dell'assunzione corporea al Cielo che Maria non solo è diventata signora e regina del cielo e del mondo, ma le è stato anche affidato il ministero di misericordia nei nostri confronti. Seguiamo il suo ragionamento, inserito in una preghiera a Maria. Potremmo considerarlo come uno sfogo filiale, forse ingenuo. Con una esegesi insolita e ardita, egli attinge, come altre volte, al Cantico dei Cantici (6,12), nella versione latina allora in uso. Maria è la Sulammita, che sembra essersi allontanata dall'umanità, perché assunta in Cielo. Ma solo in apparenza. Maria, al contrario, ci è ancora più vicina, perché ha avuto la missione di venirci in aiuto! I motivi sono vari e tutti importanti. Egli li passa in rassegna.
In primo luogo, chiede a Maria di tornare ad aiutarci, perché Ella appartiene ancora alla nostra stessa natura:
«o Vergine, Madre di Dio, la cui bellezza il sole e la luna ammirano; o Signora, vieni in aiuto di coloro che ti invocano senza sosta. Ritorna, ritorna, o Sulammita, ritorna, ritorna, affinché ti vediamo (18). Tu, benedetta e superbenedetta, ritorna, innanzi tutto perché condividi con noi la stessa nostra natura. Certo, tu sei stata divinizzata, ma, con questo, hai tu dimenticato forse la nostra umanità? No certamente, o Signora! Tu sai bene in quale condizione triste ci hai lasciati e dove stanno i tuoi servi e in quanti peccati cadono. La tua grande misericordia non deve dimenticare la nostra enorme miseria; anche se la gloria ti allontana da noi, la natura ti richiama a noi. Tu non sei tanto impassibile da rimanere indifferente di fronte alle sofferenze altrui. Tu hai la nostra natura e non un'altra. È giusto, quindi, che noi siamo irrorati più abbondantemente dalla rugiada della tua immensa compassione» (19).
In secondo luogo, chiede a Maria di ritornare a noi perché ha il potere di farlo:
«Colui che è potente ha fatto in te grandi cose (cf. Lc 1,19) e ogni potere ti è stato dato in cielo e in terra (cf. Mt 28,18).
Non c'è nulla di impossibile per te. (...) Come potrebbe, infatti, l'Onnipotente opporsi al tuo potere, se la sua carne ha tratto origine dalla tua? (...) quanto più potente tu sei, tanto più misericordiosa devi essere!» (20).
In terzo luogo, chiede a Maria di ritornare a noi perché ci vuol bene:
«So, o Signora, che sei oltremodo benigna e che tu ci ami di un amore invincibile, perché in te e per te ci ha amati con infinito amore il Figlio tuo e tuo Dio. Chissà quante volte tu calmi l'ira del Giudice, quando la virtù della giustizia si allontana dalla presenza della Divinità» (21)!
Infine, chiede a Maria di ritornare a noi perché questa è la missione che Dio le ha affidato:
«Nelle tue mani stanno i tesori della misericordia del Signore; solo tu sei stata scelta per ottenere una grazia così grande. Non sia mai che la tua mano cessi di cercare occasioni per salvare noi miseri e per effondere su di noi la tua misericordia. La tua gloria non diminuisce - anzi aumenta - quando i peccatori sono accolti per essere perdonati e i giusti per essere glorificati» (22).
E così Nicola conclude la sua accorata preghiera:
«Ritorna, dunque, o Sulammita, tu che sei stata disprezzata, tu che sei stata chiamata sposa del carpentiere, tu la cui anima è stata trafitta dalla spada (cf. Lc 2,35). (...) Ma perché? Perché possiamo vederti. È somma gloria vedere te, dopo Dio, unirci a te e rimanere al riparo della tua protezione. Ascoltaci» (23)!

4. Conclusione

Abbiamo raccolto qualche fiore da un piccolo giardino, finora rimasto quasi completamente ignorato. Nel suo linguaggio immaginifico esso parla anche a noi, otto secoli dopo che è stato pronunciato. Anche oggi possiamo accoglierlo, meditarlo e assaporarlo, perché ci rivela sentimenti nei quali il cristianesimo è penetrato in profondità, nonostante le debolezze di ogni giorno.

Giovanni Lunardi osb *

* Monaco dell' Abbazia "Madonna della Scala" in Noci (BA).

1) Ne abbiamo traccia in una lettera di san Bernardo al papa Eugenio III: cf. Lettera 298, PL 182, colI. 500-501.
2) «Cum transeunte pertransis; ante tamen quam transeat, emittet te» (Lettera 17, PL 196, col. 1614D).
3) «...monachatus igitur est mundanarum rerum despectio» (Rescriptum cuiusdam pro monachis, citato in: G. LUNARDI, L'ideale monastico nelle polemiche del secolo XII sulla vita religiosa, Noci 1970, p. 74.
4) Lettera 17, PL 196, col. 1615A.
5) Loc. cit.
6) È l'incarnazione del Verbo. Cf. Lettera 17, PL 196, col. 1615B.
7) Ibidem, col. 1615C.
8) Cf. G. LUNARDI, Elredo di Rievaulx, in La Scala 57 (2003) 12-21.
9) «... principalem in pectore mansionem habetis» (Lettera 10, PL 196, col. . 1606B).
10) Loc. cit.
11) L'Ordine dei Templari era stato fondato pochi anni prima da Ugo di Payens, con lo scopo di rendere sicuro il cammino dei pellegrini da Giaffa a Gerusalemme. San Bernardo redasse per loro un severo regolamento. L'Ordine sarà soppresso dal papa Clemente V nel 1312. Cf. G. MOLLAT, I Templari, in Enciclopedia Cattolica, XI, Città del Vaticano 1953, colI. 1894-1896.
12) Lettera 18, PL 196, col. 1616B.
13) «... spiritus tuus bonus semper est in spiritu meo, mecum manet, mecum perseverat».
14) «Charitas Christi, quamvis absentem, praesentem tamen te mihi reddit; et quanto longius recessisti ame tanto ardentius in visceribus meis remansisti».
15) Lettera 18, PL 196, col. 1616CD.
16) Era una dottrina comune nel monachesimo dell'epoca. Scrive Elredo di Rievaulx: «L'amico è dunque la medicina migliore della vita» (L'amicizia spirituale, 39).
17) Discorso nella solennità dell'Assunzione, PL 144, colI. 717-718.
18) «Revertere, revertere Sunamitis, revertere, revertere, ut intueamur te» (Ct 6,12). La traduzione attuale ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, suona: «Vòlgiti, vòlgiti Sulammita, volgiti, volgiti: vogliamo ammirarti».
19) Sermone 44 (Nella natività della Vergine), PL 144, col. 740B.
20) Loc. cit.
21) Loc. cit.
22) lbidem, col. 740C-D.
23) Loc. cit.

(da La Scala, n. 3, 2010, pp. 201-209)

 

Letto 6563 volte Ultima modifica il Mercoledì, 12 Marzo 2014 21:40
Fausto Ferrari

Religioso Marista
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