A conclusione di questo lavoro ci sembra di poter dire che dal quadro generale sopra presentato risulta evidente che la missione è in tensione escatologica, ma non è determinata solo dall’escatologia, né dal peccato, né dal male da vincere, ma dall’epifania, ossia la missione diviene manifestazione del mistero, del progetto, non più segreto ma rivelato, grande, affascinante, il progetto di Dio sul mondo: «Ecco faccio nuove tutte le cose» (202).
Perciò dobbiamo mettere da parte abitudini, schemi, pigrizie, paure, perché, se viviamo fedelmente la nostra vocazione, «che cosa abbiamo da temere?» (203) ci ricorda il Padre Colin. Discepoli di un uomo vissuto in un’epoca in cui la società civile cercava delle nuove forme di vita ed una sua autonomia dalla Chiesa, viviamo in un mondo secolarizzato che sta cercando un nuovo equilibrio e nuove dimensioni.
Per quanto forti possano essere in noi i desideri di potere, non è più tempo di restaurazioni o di clericalismo, anche se una struttura ecclesiale, soprattutto clericale, piace ancora a tanti ed anche se una ecclesiologia centralista prova ancora a soppiantare l’ecclesiologia della grande Tradizione. È piuttosto tempo di promuovere, riconoscere e valorizzare la molteplicità dei ministeri che viene suscitata da una chiamata divina ex ipsa fìdelium congregatione (204); è tempo di accompagnamento cordiale e rispettoso del nostro mondo, delle sue ansie e delle sue scoperte.
Oggi come allora dobbiamo percorrere le strade del mondo, quasi extorres et peregrini, ignoti et occulti, vivendo il primato dello spirituale, secondo lo stile della koinonia apostolica, sapendo conciliare contemplazione ed azione, nella nostra donazione a Dio, sommamente amato. Avendo ben fermo che fondamento della nostra vita è l’adempimento libero dell’Evangelo in primo luogo.
Il tutto, possibilmente, cercando di tornare ad essere, attraverso forme opportune, la «società» coliniana a più rami.
Fedeltà dunque a Colin nella sua visione della Società come «piccola Chiesa» in movimento per evangelizzare, secondo il modello apostolico della Chiesa primitiva, e secondo la spiritualità della missione che il Padre fondatore ha proposto.
Ma anche fedeltà ai nostri tempi.
Il tutto in una dimensione escatologica che ci spinge a costruire il nostro mondo oggi, in una città secolare che noi dobbiamo guardare senza paura, ma piuttosto con simpatia e con fede; cogliendovi i semina Verbi così che la Missione sia epifania e realizzazione del piano di Dio nel mondo e nella storia (205).
Accingiamoci con convinzione ed entusiasmo ad una più vitale adesione al nostro carisma ed ad un rinnovato studio della nostra spiritualità, che ci conduca ad una rifondazione di essa su basi bibliche, patristiche, teologiche, magisteriali. La nostra missione come maristi muoverà da questa base della nostra spiritualità, profondamente vissuta nella fede. Siamo chiamati a percorrere le vie del mondo non come dei preti pii, dalla regola facile, dagli orizzonti limitati. Certo l’impronta-Favre può esercitare il suo fascino ancora oggi. Ma Favre non era Colin.
Dobbiamo andare, deponendo ogni forma di clericalismo e rivitalizzando il nostro essere di religiosi, dando spazio e corresponsabilità ai laici nelle scuole, nelle parrocchie, nelle missioni; non possiamo e non dobbiamo pretendere di tenere tutto il potere nelle nostre mani; bisogna rifiutare l’immobilismo e le opere che non sono di nostra competenza, ad esempio non si può continuare ad essere parroci di parrocchie pie, buone, ferventi: questo è smantellare la vita religiosa e dimenticare il carisma di fondazione.
Occorrerà dunque non attendere ma andare, vivendo come Cristo nella sua kenosis, come Maria in silenzio, come Maria poveri ed in situazioni di precarietà.
Franco Gioannetti
Note
202) Apoc 21:5.
203) ES 176:4.
204) AG 15.
205) AG 9.