Il Concilio Vaticano II è stato la risposta alle trasformazioni ed alle crisi dell’epoca post moderna. Ci si deve chiedere: l’abbiamo accolto, vissuto e attuato con decisione? Oppure con tiepidezza, con timore di doverci impegnare di più? Il Concilio non ha reso le cose più facili, le ha rese più impegnative. Non è stato causa di crisi e di sbandamenti, questi avevano radici precedenti e talora sono stati facilitati dai vertiginosi cambiamenti del mondo contemporaneo. Il Concilio Vaticano II è stato la risposta puntuale e la presa di coscienza dei profondi cambiamenti in corso, di fronte ai quali la Chiesa non poteva tacere né rimanere estranea. La nostra pigrizia è facilitata dalla nostra debolezza.
Si tratta per noi, comunque, di evangelizzare tenendo presenti, secondo il nostro spirito, le situazioni di emergenza del nostro tempo. Cerchiamo di vedere quali sono.
È in generale sempre valida la prescrizione coliniana di andare dove gli altri non vogliano o non possono andare. Era la sua regola d’oro, come dice Padre Coste (186).
Andare dove non sempre è consentito parlare non sarebbe rassegnazione al nulla o al poco, ma a qualcosa di decisivo: testimoniare l’amore di Dio è già parlare. Viene da pensare al mondo islamico, ad un De Foucauld, alla presenza silenziosa di Maria, la seconda Signora del Paradiso musulmano, al suo silenzio nella Chiesa nascente.
Bisogna evangelizzare nel quotidiano, sfuggendo alle tentazioni dei gruppi con prospettiva più o meno millenarista. Il millenarismo trascura il quotidiano, provoca esaltazione, euforia, entusiasmo sterile e vuoto. Il quotidiano esige umiltà, assiduità, formazione permanente, incarnazione nell’ambiente dove si vive e si lavora. Dovremo dunque prestare attenzione alle forme di cristianesimo disincarnato, perché esso ignora le emergenze.
La nuova evangelizzazione non consiste nel rifare tutto da capo, quasi non avesse alcun valore il lavoro fatto nei secoli passati: dal Vangelo portato nei primi due secoli nelle diverse regioni occidentali dell’Europa, a quello portato in Oriente da Cirillo e Metodio, in Germania da Bonifacio, in Russia nel 988, in Lituania nel 1387, all’impronta lasciata da Benedetto e dai suoi seguaci in molte delle nostre terre, alle varie vestigia che il Cristianesimo e la sua tradizione hanno lasciato nelle nostre nazioni anche nell’arte, nella letteratura e nell’intera civiltà. Tutto questo immenso lavoro rimane un fatto fondamentale, che non può essere dimenticato o messo tra parentesi. La rinnovata opera di evangelizzazione che siamo chiamati ad intraprendere si pone, quindi, in continuità organica e dinamica con la prima evangelizzazione. Occorre essere consapevoli dell’importanza di innestare la rinnovata evangelizzazione nelle radici comuni dell’Europa.
Si tratta quindi di esprimere la nuova evangelizzazione in senso ecumenico. E forse la sfida più grande di fronte alla quale ci troviamo nel campo dell’ecumenismo: come parlare un linguaggio di evangelizzazione comune? Come evangelizzare insieme l’Europa? La risposta a queste domande sarà un test per l’ecumenismo europeo.
Ci vuole un nuovo rapporto fra Est ed Ovest. Quali sono i doni propri che le Chiese a oriente della ex-«cortina di ferro» di un tempo portano alle Chiese di Occidente e viceversa? Come sviluppare il reciproco scambio di doni tra Oriente e Occidente per la missione delle Chiese in Europa e per la evangelizzazione del continente alle soglie del terzo millennio?
Gli scambi dei doni potranno avvenire sul piano del patrimonio culturale, della vita spirituale, della riflessione teologica, dell’organizzazione pratica. Sappiamo tutti che di fatto fino a ieri le Chiese dell’Est sono state Chiese di catacombe. Adesso sono uscite all’aperto, ma mancano di personale, mancano di strutture, mancano di sussidi, di libri, di mezzi economici. Diciamo che hanno bisogno di tutto. Anche, per esempio, per quanto attiene alla ricerca teologica alla luce del Vaticano II. In ampia misura fino a poco tempo fa, e ancora adesso, il concilio era ed è quasi evento estraneo alla loro teologia; non hanno avuto modo di parteciparvi, di conoscerne i documenti, di assimilarli per varare piani pastorali. Non erano nelle condizioni di farlo. Su questo terreno noi potremo offrire l’apporto delle nostre esperienze per quanto si riferisce al lavoro delle Conferenze episcopali, della formazione del laicato, dell’attenzione al mondo giovanile, dell’opera della Caritas, del volontariato. Potranno far riferimento alle nostre realtà a proposito anche degli sviluppi delle relazioni tra Chiesa e Stato: ora si porrà anche per loro, nel contatto con l’Occidente, il problema di un’adeguata impostazione della presenza della Chiesa e dello Stato attraverso intese, concordati o altre forme giuridiche.
Emergerà sicuramente anche la questione del pluralismo, perché ora anche le loro società diventeranno complesse, e la Chiesa sarà chiamata ad articolarsi su tale realtà. L’Occidente potrà andare loro incontro a livello di organizzazione, di cultura, di varo delle attività.
Ma non solo sarà l’Occidente a dare. L’Est ha anch’esso molto da donare all’Ovest. Anzitutto la testimonianza del valore della Croce e Resurrezione; non possiamo dimenticare la dimensione fondamentale del cristianesimo che sta proprio nella Croce e nella Resurrezione. Su un piano totalmente diverso, potranno aiutarci a stare in guardia contro il rischio di ricadute in sistemi totalitari: loro hanno più sensibilità di noi, forse anche più esperienza. Inoltre dobbiamo ricordare che al di là del totalitarismo istituzionalizzato c’è un totalitarismo subdolo, che può venire dal primato dato all’economia invece che all’uomo, con tutto quello che ne consegue.
La Centesimus annus (187) può essere illuminante anche per questi aspetti. Noi potremo arricchirci grazie al loro patrimonio spirituale, liturgico, artistico, e grazie alle tradizioni della Chiesa orientale. Loro hanno un senso del mistero mentre noi siamo un po’ razionalisti. Una delle loro caratteristiche è la fedeltà alla nazione:
sono in genere piuttosto nazionalisti e molte volte intrecciano lo spirito cristiano, lo spirito religioso, lo spirito nazionale, perché, di solito, manca la distinzione netta tra ciò che è di Dio e ciò che è un valore che si tramuta nella piena osservanza delle leggi, nel pagamento delle tasse, nel sentire una solidarietà interna; è un diffuso senso dello Stato che, almeno per molti aspetti, loro hanno.
Specialmente però possono aiutarci a conservare la memoria del martirio: sarebbe un grave impoverimento se noi dimenticassimo tutto quello che quei martiri hanno sofferto sotto il regime comunista. Parecchi hanno dato la loro vita per la testimonianza della fede.
Per quanto riguarda più da vicino il problema, credo che potremmo definire il compito della nuova evangelizzazione come lo sfociare di un cammino dal silenzio contemplativo al primato della Parola, alla centralità dell’Eucarestia, all’impegno missionario, all’interpellanza missionaria del «farsi prossimo». E così che si passa da una fede consuetudine, pur apprezzabile, a una fede che sia scelta personale, illuminata, convinta, testimoniante. E una tale fede, celebrata e partecipata nella liturgia e nella carità, che nutre e fortifica la comunità dei discepoli del Signore e li edifica come Chiesa missionaria e profetica.
A livello di stile poi, la «nuova evangelizzazione» indica la pazienza di curvarsi, con amore e umiltà, sulla nostra società con tutte le sue miserie, fatiche e pesantezze per aiutarla a vivere in rinnovata e maggiore pienezza il messaggio profondamente liberante del Vangelo nella concretezza della storia e dell’attuale civiltà per tanti aspetti frammentata, complessa, tentata di autosufficienza con tutti i suoi progressi e la sua tecnicizzazione, e anche di disperazione. Non quindi il metodo delle minacce, delle accuse, delle deplorazioni, ma piuttosto il metodo dell’attenzione misericordiosa alle ferite di questa realtà che giace al margine della strada e deve essere risollevata.
Occorre privilegiare i poveri, ricordando sempre che la frase di Isaia, che Gesù applica a sé, dobbiamo riferirla a noi stessi: «Egli mi ha scelto per portare il lieto annuncio ai poveri» (188). Al di là di ogni superficialità e di ogni sterile spirito ipercritico, facciamo allora nostro il messaggio del Cristo e le aspirazioni di Colin, e quali ... ignoti... occulti... extorres ... peregrini... con gioia, mettiamoci in cammino. Deponiamo gli abiti vecchi ed andiamo verso ogni forma di povertà materiale, morale e spirituale; andiamo in primo luogo verso i poveri, ma non in modo da avallare né le situazioni di povertà, avendo invece cura della promozione umana e della giustizia, né le strutture del potere stabilito; cercando piuttosto collaborazione con i ricercatori e gli intellettuali non identificati con l’establishment, senza posizioni conservatrici ed evitando l’ammirazione acritica di tutte le conquiste della tecnologia; usando misericordia e sommo rispetto della dignità delle persone, soprattutto le marginali.
Sono tante, diverse secondo i continenti: i barboni, gli anziani, i minori abbandonati, gli ispano-americani, gli indios, i negri brasiliani e statunitensi, gli esuli, i disoccupati, gli alcoolisti, i drogati. La povera gente più difficilmente trova pastori generosi. In questa prospettiva di emergenza ci riallacciamo a Colin: l’attrazione verso i poveri (189), l’impegno effettivo verso di essi (190). I maristi debbono essere riconosciuti dal fatto che i poveri sono evangelizzati (191) per cui è bene preferire opere povere (192); tutte queste debbono essere le caratteristiche della nostra missione oggi.
Una ulteriore emergenza alla quale occorre essere attentissima è costituita dalle prossime nuove tensioni che sono e saranno provocate dai grandi movimenti migratori in atto: sono profughi, esuli, sottooccupati, moltissimi sono musulmani, in particolare in Francia, in Italia, in Germania, ecc. Dobbiamo lavorare per evitare che per costoro nascano ghetti religiosi, che li portino ad essere ribelli ad ogni forma di integrazione; lavorare per abbattere pregiudizi e rancori. Discepoli di Gesù Cristo dobbiamo fare i primi passi ed aprire un dialogo dato che siamo invitati ad imitare il Verbo Incarnato che venne nel passato e viene ancora oggi incontro a tutti gli uomini. Un’emergenza allora per la quale sarà necessaria non soltanto l’accoglienza, ma anche il dialogo, con i non cristiani, con le altre confessioni cristiane, con i non credenti. Il nostro mondo infatti è diventato un villaggio.
Anche la gioventù oggi costituisce una emergenza. Priva della memoria del passato e con percezioni confuse riguardo al futuro, ha smarrito molto spesso il senso del suo essere, il significato della sua esistenza e l’identità personale. Vive in una società che non ha nessun modello ideale, che non ha certezze, che produce e consuma nel breve volgere di qualche anno mode, costumi sociali, orientamenti culturali e politici. Il giovane non ha stabili punti di riferimento su cui costruire se stesso.
Nell’attuale contesto sociale, disorientato è soprattutto il giovane che subisce le conseguenze di una continua ricerca di sé, senza punti di fermi. Discepoli di quell’educatore nato che era Colin siamo chiamati a lavorare per i giovani, dando loro come una nuova creazione, formando le personalità e collaborando per questo con Dio (193) formando Gesù Cristo in loro (194), aiutandoli a costruirsi un’identità personale, insegnando l’arte di «guardarsi dentro» per sapere bene chi sono e che cosa vogliono.
Non ultima, la donna nel contesto attuale, è un’emergenza che non si può eludere. Il movimento contemporaneo di liberazione della donna si dirige a tentoni verso un rinnovato incontro dell’uomo e della donna. Ma la donna, è tentata dall’escludere l’uomo, da atteggiamenti ispirati a quelli maschili. La libertà della donna, al pari di quella dell’uomo, ha bisogno di essere salvata. Essa esige che si esplorino degli aspetti che troppo a lungo sono rimasti solamente impliciti nel Cristianesimo.
Diceva già il Concilio Vaticano II: «L’ora è venuta in cui la donna acquista nella società un’influenza ... finora mai raggiunta» (195) e continua Paolo VI: «Appare evidente che la donna è posta a far parte della struttura vivente ed operante del Cristianesimo in modo del tutto rilevante» (196) Più recentemente scriveva Giovanni Paolo II: «La dignità della donna e la sua vocazione [...] hanno assunto un rilievo tutto particolare negli anni più recenti» (197), esprimendo poi forti e fondate riflessioni sul tema dell’uguaglianza fra uomo e donna (198) attribuendo alla maternità una dimensione universale (199). «In effetti», scrive sempre il Papa, «la femminilità si trova in una relazione singolare con la Madre del Redentore [...] la donna guardando Maria, trova in lei il segreto per vivere la sua femminilità [...] (200).
Siamo chiamati allora ad impegnarci perché il terzo millennio sappia porsi sotto il segno del «genio» femminile, ciò significherà l’inizio di un cammino umano meno zoppicante, meno a senso unico. Il principio, forse, del realizzarsi di un’utopia.
Queste brevi segnalazioni sono degli stimoli che dovrebbero dilatare il nostro cuore per vivere quel quotidiano peragrare di cui parla Colin (201).
Dobbiamo portare il Vangelo dove non è mai stato annunciato, dove è stato dimenticato, dove trova difficoltà ad essere accettato. Senza discriminare nessuno e nessuna situazione e condizione emergenti, come la pace, il nucleare, la solitudine, l’ecologia. E infatti necessario saper incontrare tutti senza cadere nel generico e nel superficiale.
Franco Gioannetti
Note
186) J. Coste, Corso, p. 203.
187) Giovanni Paolo II, lettera enciclica Centesimus annus. Edizioni LDC, Torino Leumann, 1991 (= Collana Servizio dell’Unità 78), e. 4, nn. 30ss.
188) Lc 4:18.
189) ES 61:9-10.
190) ES 18:3.
191) ES 23; 92: 8; 157.
192) ES 188:14.
193) ES 13: 10-11.
194) ES 44:7.
195) Messaggio del Concilio Vaticano II alle donne (8 dicembre 1965), nel volume I Documenti del Concilio Vaticano II, Edizioni Paoline, Roma, 4a edizione 1966, pp. 621-622.
196) Paolo VI, Discorso alle partecipanti al Convegno nazionale del Centro Italiano Femminile (6 dicembre 1976), in Insegnamenti di Paolo VI, vol. XIV (1976), p. 1017.
197) Giovanni Paolo II, lettera apostolica Mulieris dignitatem, Edizioni LDC, Torino Leumann, 1989, (= Collana Servizio dell’Unità 66), e.1.
198) Mulieris dignitatem, cc. 1-16.
199) Mulieris dignitatem, cc. 19,30.
200) Giovanni Paolo II, lettera enciclica Redemptoris Mater, Edizioni LDC, Torino Leumann, 1988 (= Collana Servizio dell’Unità 58), e. 46.
201) «Constitutiones» del 1868-1870, B 4.1°, in ATC4, p. 56. 97