II mondo in cui viviamo non ci permette di considerare nulla ovvio, né di dare alcunché per scontato. Il lungo cammino della Chiesa del post-Concilio, spesso ostacolato con preoccupanti regressioni talora volute, è irreversibile perché opera dello Spirito e ci spinge a rivedere il nostro modo di essere e di fare. L'utilizzazione dei religiosi come singoli, al di fuori del carisma di fondazione dell'Istituto, l'utilizzazione dei religiosi in gruppo effettuata in modo acritico in attività parrocchiali, è un impoverimento della pastorale. La consacrazione di individui in un determinato istituto non è un fatto privato, quindi, indirizzare i religiosi, chiunque essi siano, nelle parrocchie, finisce per clericalizzare il carisma proprio delle fondazioni religiose.
Essere religiosi nel territorio significa infatti essere testimoni viventi di attenzioni che vanno oltre la territorialità, perché loro compito è richiamare ogni assemblea troppo chiusa a dimensioni più universali; noi maristi ad esempio dovremmo essere testimoni di una forte e continua disponibilità ad andare là dove si ha urgente bisogno della nostra collaborazione (163). Sfruttare il religioso come singolo per fargli fare quello che chiunque potrebbe fare, far divenire parroci i religiosi di qualsiasi istituto, è smantellare la vita religiosa. I religiosi sono veramente al servizio solo se rispondono alla loro chiamata specifica dello Spirito.
«E un errore far sì che il carisma di fondazione di un Istituto abbracci ogni cosa» (164). È perciò abbastanza probabile che dovremmo riflettere su quanto sopra esposto per evitare coraggiosamente la continuazione di una prassi diffusa che ignora il nostro carisma e le deformazioni che ne sono nate.
Rifondazione della spiritualità missionaria nel recupero del carisma marista
La Società di Maria, come tutti gli Ordini e Congregazioni religiose, nel periodo post conciliare è intenta a promuovere il proprio rinnovamento, per vivere in pienezza il carisma proprio dell'Istituto.
Lo stesso aggiornamento missionario di noi maristi non può effettuarsi che in una duplice fedeltà: alla spiritualità della missione così come era vissuta e inculcata dal Fondatore ed alle grandi prospettive missionarie della Chiesa contemporanea.
Nel gennaio 1849, il padre Colin vicino ormai alla sessantina, così esortava la comunità e specialmente i numerosi giovani presenti:
II mio tempo è passato, ma io voglio vivere in voi. Mi sento incoraggiato al pensiero che voi farete del bene nella Chiesa e che salverete delle anime; ed ecco perché vi esorto tanto al lavoro (165).
Il Colin-apostolo pensava di sopravvivere spiritualmente nei suoi figli, generosi operai del Vangelo e continuatori dell'opera evangelizzatrice della Società. La realizzazione di ciò offre un modo molto profondo di vivere la comunione di spirito con il Fondatore. La rifondazione della spiritualità missionaria deve partire dalla concezione coliniana della missione marista nella Chiesa e nel mondo. A questo scopo vanno tenute presenti due intuizioni fondamentali di Colin.
Il Fondatore vedeva chiarissimo l'innesto della Società di Maria nella Chiesa nascente, nella Chiesa apostolica. Egli accettava la forma organizzata che la Chiesa aveva assunto lungo i secoli, ereditata dall'Impero romano. Con un attaccamento straordinario e commovente, in una Francia ecclesiastica per tanti versi ancora molto gallicana, Colin aderiva alla dottrina del servizio petrino nella Chiesa universale, venerava i vescovi, rispettava i parroci. Era un assenso di fede che dava apertamente ed esigeva senza riserve dai suoi religiosi. Ma questa era una ecclesiologia riflessa, frutto di una «conclusione teologica», che esprimeva la sua ortodossia dogmatica.
In realtà l'ecclesiologia che il Colin aveva scelto per connaturalità e istinto interiore era un'altra: quella della Chiesa nascente, della Chiesa apostolica, della Chiesa della Pentecoste radunata attorno a Maria, madre di Gesù e testimone silenziosa.
Ancora una volta Colin si collocava nella linea della spiritualità antica dei Padri e del monachesimo, che avevano visto nella Chiesa apostolica il modello di ogni altra comunità cristiana (166). La «Chiesa di elezione» di Colin era la comunità piccola, nascosta, povera di strutture, senza forza di fronte ai potenti, perseguitata, martirizzata, ma confortata dall'azione dello Spirito e dalla presenza di Maria.
Ma la Chiesa che Colin sceglie come modello era anzitutto un movimento: i discepoli di Gesù, obbedienti al mandato di annunciare il Vangelo a Gerusalemme, in Giudea, in Samaria e fino ai confini della terra (Atti 1: 8) portavano il messaggio dappertutto, nonostante le difficoltà interne ed esterne. La Chiesa apostolica era anzitutto un movimento missionario che partiva dalla Comunione. Il padre Colin recupera proprio questa ecclesiologia, e non vuole imperla come formula alternativa alla Chiesa già esistente. Semplicemente cerca di attuarla nel suo istituto e nella missione marista. La Chiesa nascente continua, in quanto movimento missionario, nella Società di Maria, i cui membri partono dalla koinonia per portare l'annuncio di Salvezza.
La seconda intuizione coliniana, che determina sostanzialmente la missionarietà della sua Società, è la tensione escatologica anch'essa così viva nella Chiesa nascente. E una visione che il Fondatore tiene costantemente presente, secondo cui il tempo attuale della Chiesa è ormai la fine del tempo intermedio tra il «già» e il «non ancora»; un tempo di prova, di sofferenza, di crocifissione, mentre si prepara — attraverso l'evangelizzazione — la parusia imminente e la vittoria finale di Cristo. In questo ultimo eone della Chiesa, l'azione di Dio e il suo Regno avanzano di nascosto e all’insaputa del mondo: è una storia di salvezza che Signore conduce, servendosi di operai ignoti et quasi occulti in hoc mundo.
La fine dei tempi è già nell'aria. «La società sarà uno degli ultimi corpi [istituti religiosi] prima del giudizio finale» (167).
Maria è la presenza misericordiosa di Cristo, la guida tacita degli apostoli, la regina apostolorum colei che prepara i gesti di salvezza del suo Figlio prevedendone l'«ora». La missione dei maristi, sotto la guida di Maria, vuole preparare un popolo bene accetto, disponibile alla salvezza. Per questo «la Società deve ricominciare una nuova Chiesa» (168). Questa tensione escatologica coliniana non è millenarismo, ma tensione verso il Cristo ed umile cooperazione per il suo Regno.
Perciò questa tensione deve essere viva anche per noi Maristi della fine del secondo millennio. Non è né deve essere, per noi, un freno alla costruzione di un mondo più umano, anzi vi aggiunge nuovi motivi. Dice padre Schilleebeeckx nei suoi scritti, che l'attesa escatologica è uno stimolo più intenso verso la costruzione di questo mondo, attraverso la promozione di tutte le nazioni perché l'eschaton ci spinge a creare un futuro migliore su questa terra e questo è nella linea del Concilio Ecumenico Vaticano II (169).
In effetti l'attesa di una nuova terra e di un nuovo cielo, quindi di una creazione rinnovata e trasformata, e della «restaurazione di tutte le cose» (Atti 3: 21) si fonda sulla rivelazione sia dell'Antico che del Nuovo Testamento (Is 60, 65, 66; Ap 21-22). Le ultime cose, alle quali dobbiamo orientarci in piena disponibilità, pur essendo pienamente del futuro, ci sono già vicine nella vita terrena e già ci attendono. Sono cose già rivelate a noi in questo mondo, affinché possiamo riordinare daccapo la nostra vita secondo la volontà di Dio apparsa in Cristo; esse devono influire nella nostra vita, nel nostro impegno nel mondo. Perciò se potessimo sintetizzare l’escatologico coliniano potremmo dire che tutto il suo agire si fonda su una tensione a Cristo: «So in chi credo».
La visione della Società, il cui modello è la Chiesa dei tempi apostolici (170) che in quanto tale va imitata (171) ci porta a riflettere. Anche la tensione escatologica e quella missionaria che ne deriva ci danno degli stimoli in tal senso. Forse è arrivato per la famiglia marista il tempo di divenire ciò che avrebbe dovuto essere all'inizio: un albero a più rami che siano in rapporto di comunione e di collaborazione. Una koinonia in movimento per la missione, che potrebbe divenire possibile attraverso una forma federativa.
Inoltre c'è oggi una tendenza molto forte che fa sì che molte comunità religiose, di recente nascita, si configurino come micro-Chiese: sacerdoti e laici, uomini e donne, celibi e sposati che perciò accentuano in modo diverso la trascendenza e la incarnazione del mistero cristiano. Così anche noi maristi, che eravamo stati sognati in una forma diversa ma attualissima, dovremmo avere il coraggio di affrontare un cambiamento radicale delle strutture. La tensione escatologica poi, dovrebbe accompagnare la nostra missionarietà e farci lavorare senza paura perché Maria cammina con noi e ci conduce (172).
Quindi bisogna essere liberi dal timore di ciò che potrebbero pensare di noi, dire di noi, di ciò che ci potrebbero fare, liberi dagli schemi e dai pregiudizi; liberi grazie alla fede, di amare, siamo chiamati a lavorare per rendere il mondo, fin d'ora, partecipe alle promesse escatologiche; liberi per evangelizzare, liberi per realizzare nel mondo la giustizia, l'amore, la pace, che sono le tre premesse escatologiche fondamentali.
Tutto vissuto in una tensione gioiosa e fiduciosa, tensione che è connaturale con la nostra società, mentre non lo sono le situazioni angosciose ed asfittiche. Occorrono fedeltà a Colin e attenzione ai nostri tempi. Alle nuove generazioni, che hanno desiderio di donazione, dobbiamo offrire raggruppamenti più attuali, più entusiasmo, più mistica.
Franco Gioannetti
163) J. Coste, Corso, p. 203-204.
164) Lettera della S. Congregazione dei Religiosi ai vescovi USA, n. 22, in Regno Documenti 17, 1983.
165) ES 171:2.
166) P.C. Bori, Chiesa primitiva, Brescia, 1974.
167) ES 3: 2.
168) ES 120:1.
169) Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes, nn. 21, 32, 40; Decreto sul ministero e la vita sacerdotale, Presbyterorum ordinis, n. 22.
170) ES 42: 3; 117: 3; 159.
171) ES 159.
172) ES 176: 4.