Da questa concezione della vita apostolica, mirante essenzialmente a riprodurre nel Marista la consacrazione di tutto l'uomo alla causa del Vangelo nel mondo come fu vissuta dai Dodici e dai primi discepoli di Gesù, scaturisce di conseguenza un nuovo stile dell'apostolo: «vivere la vita di Gesù Cristo, la vita degli apostoli, vita di rinuncia e di croce». (71)
Le Costituzioni del 1872 indicano nello spirito di pietà e nella vita veramente inferiore la caratteristica propria dell'Istituto. (72) Perciò lo stile missionario marista si contraddistingue per una forte sottolineatura del primato della vita spirituale. Perfino nei periodi di intensa attività, la vita dello spirito deve restare la preoccupazione costante del missionario:
Nel corso delle predicazioni, mentre si prodigano per la salvezza degli altri, non trascurino se stessi... Si sforzino di tenersi con tutto il cuore uniti a Dio. (73)
Sembra qui sentire l'eco del timore di Paolo: «Perché non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato». (74) Ma va considerata con attenzione soprattutto la frase Deo ex toto corde adhaerere studeant. In essa si riflette una delle convinzioni più radicate nel Colin:
il punto essenziale, ciò che ci metterà nelle disposizioni più utili, è di tenerci saldamente uniti a Dio, in una grande diffidenza di noi stessi e in un sentimento di fiducia in Dio senza riserve. (75)
L'intima compenetrazione che si deve effettuare nel cuore del missionario tra ciò che predica e ciò che vive va implorata da Dio con la preghiera e con lo spirito di compunzione, sottomettendosi per primo - in un atto di fede - al giudizio di quella Parola che egli indegnamente annuncerà ai fratelli. (76)
Le Costituzioni di Colin conservano un altro tratto caratteristico, profondamente umano perché attento al recupero delle forze fisiche del missionario, e insieme profondamente evangelico, perché ricorda ciò che Gesù faceva con gli apostoli dopo i periodi di intensa evangelizzazione, quando li chiamava in disparte perché si riposassero un po':
Gli apostoli si radunarono presso Gesù e gli riferirono tutto ciò che avevano fatto e ciò che avevano insegnato. Egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco. Intatti quelli che venivano e andavano erano così numerosi che non avevano neppure il tempo di mangiare. (77)
Così Colin insiste:
Quando, passato il periodo delle missioni e delle predicazioni, i missionari tornano a casa, si riposino due o tre giorni; poi sarà ottima cosa che passino alcuni giorni come in maggiore raccoglimento per rinvigorire le energie dell'anima. (78)
Nell'esperienza spirituale del Fondatore, che costituisce la migliore ermeneutica delle norme da lui stabilite, il primato della vita spirituale del missionario porta il contrassegno della esperienza mistica, della dolce percezione interiore del Signore presente nell'anima, della unione con Lui in uno stato di preghiera, che trascende le singole pratiche di orazione. È possibile intravedere qualche barlume della sua unione mistica nei «consigli» dati al p. Eymard il 21 febbraio 1842:
Devi rivestirti di nostro Signore, fare tutto per lui, come se tu fossi il corpo del suo corpo, l'anima della sua anima. Poiché la tua è una vita di azione, rivestendoti di nostro Signore sarai sempre in pace e anche la tua anima sarà sempre occupata come in una dolce preghiera. Tu non puoi tare molti esercizi di pietà; ma tenendoti ben unito a nostro Signore, questo supplirà a tutto. (79)
Da guida spirituale dei suoi figli e da superiore della Società, Colin vuole infondere il gusto della preghiera, fame l'esigenza vitale:
Signori, siamo uomini di preghiera; senza di essa non combineremo niente. Vorrei tarmi sentire da tutti i mèmbri della Società e raccomandare a loro tutti la cura della preghiera, ai missionari in Oceania come ai missionari in Francia e ai professori. È lì il punto capitale, l'importante per noi tutti. [...] La preghiera è la linfa che nutre l'albero e gli fa portare frutto; è l'olio che fa durare la luce alla lampada. Chi non ama la preghiera rassomiglia ad un albero morto o, perlomeno, che languisce. (80)
La sua stima per la preghiera è somma; tuttavia, pur apprezzando gli ordini dediti alla contemplazione e l'efficacia missionaria della loro preghiera (81) egli pensa che la vocazione del Marista sia nell'unione intima di orazione e missione, proprio come gli apostoli, che avevano riservato per sé la preghiera e il ministero della parola:
Allora i Dodici, radunata l'assemblea dei discepoli, dissero: «Non sta bene che noi trascuriamo la Parola di Dio per servire alle mense. Cercate piuttosto in mezzo a voi, o fratelli, sette uomini di buona fama, pieni di Spirito Santo e di sapienza, che noi preporremo a questo servizio. Così noi ci dedicheremo alla preghiera ed al ministero della Parola. (82)
Colin riecheggia:
Per noi, signori, noi abbiamo la vocazione degli apostoli: spirito di preghiera e azione [...] ho voluto che la nostra Società avesse meno tempo consacrato alla preghiera vocale, per averne di più da consacrare alle anime e volare ovunque, dove il bene della Chiesa ce lo richiederà. (83)
Colin era dell'avviso che alla vita religiosa marista fosse necessaria una particolare esperienza spirituale, che egli chiama goùter Dieu, gustare Dio. Parlando ai confratelli della Capucinière, ove aveva sede il noviziato della Società, il padre Fondatore traccia in questi termini l'itinerario di formazione interiore dei giovani:
Cercherei soltanto di unirli a Dio, di portarli allo spirito di preghiera. Una volta che ci fosse l'unione con Dio, il resto verrebbe da solo. Quando il buon Dio è in un cuore, vi opera tutto [...] Quando un novizio ha gustato Dio una volta, ritornerà continuamente a lui; è un fondo che egli ha nell'anima, al quale è continuamente ricondotto come al suo centro; amerà intrattenersi con lui. (84)
Il noviziato, secondo il Colin, dimostra la sua efficacia decisiva se sa condurre a questa meta: «Se non si gusta Dio nel noviziato, non si è morti a se stessi». (85)
Nel «gustarlo», Dio si comunica e trasforma il religioso in autentico «uomo di Dio». (86)
Le pause di ricarica spirituale durante l'attività pastorale e il secondo noviziato dopo alcuni anni di ministero, avrebbero dovuto permettere al Marista di «occuparsi solo di Dio e ancorarsi nello spirito di Dio» (87), ritrovare il «gusto di Dio». L'espressione potrebbe apparire come risonanza del salmo 33, ma è anche esperienza personale, e ancora una volta Colin sembra debitore della «teologia dei sensi spirituali», caratteristica della tradizione contemplativa, che probabilmente ha conosciuto tramite letture o nella Trappa. E questo, indubbiamente, un modo tipico di esprimersi di S. Bemardo di Chiaravalle nel De diligendo Deo, XV,39, opera che comunica l'esperienza fondamentale della sua vita ed il centro della sua mistica. Il «gusto di Dio» è l'apice della ricerca mistica, in cui lo Spirito Santo, con il suo tocco, fa sentire la soavità di Dio:
Una forza spirituale per cui noi aderiamo a Dio e lo godiamo; una specie quasi di sapore divino [...] un gusto però, questo, che nessuno può sperimentare se non colui che si rende degno di gustarlo. (88)
«Gustare Dio»: non si tratta di un facile movimento della sensibilità o di una emotiva vibrazione del sentimento; è un'immersione, operata dallo Spirito, negli abissi dell'anima, ove si percepisce e si gusta il mistero santificante di Dio, che si è incorporato alla nostra vita interiore, diventando esperienza, presenza. Colin era convinto che, una volta fatta questa esperienza, il religioso acquisisca la certezza che è sempre possibile vivere unito a Dio; è un tesoro formato nell'anima, che attira sempre verso di sé. (89)
Franco Gioannetti
Note
71 ES 160:6.
72 CSM72, n. 37.
73 CSM72, n. 252.
74 1Cor 9: 27.
75 ES 182:37.
76 CSM72, n. 253.
77 Mc 6: 30-31.
78 CSM72, n. 260.
79 ES 45: 2.
80 ES 132: 5-8.
81 ES 132:13-14.
82 Atti 6: 2-4.
83 ES 132: 15.
84 ES 63: 2.
85 ES 121:2.
86 ES 121: 1-8
87 ES 121:6.
88 Guglielmo di St. Thierry, De Natura et dignitate amoris, PL 184:397D
89 ES 63: 3.