Il film si riferisce al periodo che precede il rapimento e poi l’esecuzione dei sette monaci trappisti di Tibhirine, durante la primavera del 1996, quando il cerchio si stringeva poco a poco intorno ai religiosi francesi.
Questo massacro è stato prima attribuito alla Gia, poi a una incresciosa conséguenza di un intervento della sicurezza militare algerina, destinata a discreditare gli integralisti islamici davanti all’opinione pubblica.
Risolvere l’enigma, non interessa il cineasta Xavier Beauvois che si concentra su questa comunità confrontando il suo isolamento, volontario, con la lotta d’un pugno di ribelli che si potrebbe qualificare “con fede, ma senza legge” essi stessi in rottura con la società che li ha generati.
Il titolo francese “Des hommes et des dieux” definisce con molta precisione la problematica messa in evidenza da questo film giustamente coronato dal Gran Premio del festival di Cannes, dal Premio dell’Educazione nazionale e dal Premio Ecumenico.
Il film ci introduce nell’interno del monastero e ci dipinge i suoi occupanti nelle loro attività quotidiane, prosaiche, un po’ come Philip Gröning nel suo magistrale documentario Grande Silenzio. Con la differenza che pur coltivando il proprio ‘giardino’ nel senso proprio del termine come in quello simbolico, poiché si raccolgono nella preghiera e nella meditazione, questi uomini di Dio intrattengono anche relazioni fraterne con gli abitanti della regione offrendo il contributo della parola.
Dei crociati della disperazione
Il successo del film di Beauvois riposa in gran parte sulla giusta ripartizione e sulle personalità dei suoi attori, cominciando da Lambert Wilson che rimette la sottana venti anni dopo aver impersonato il protagonista del film Hiver 54, l’Abbé Pierre (Denis Amar, 1989) Meritano tutti di essere citati dal più celebre fra di loro Michael Lonsdale, e così anche tutti i suoi compagni meno conosciuti: Philippe Laudenbach, Xavier Maly, Olivier Rabourdin, Jacques Herlin, Loïc Pichon et Jean Marie Frin. Gli uomini sono loro, con le loro reazioni di mortali impauriti o in collera, prudenti o in rivolta. Sono, però anche dei crociati della disperazione che pretendono combattere per un Dior opponendosi a quelli che ne venerano un altro. Questo messaggio sublimante, è presentato qui senza alcun manicheismo. Il percorso di Xavier Beauvois passe attraverso tre sequenze magistrali: nella prima il raccoglimento del monastero è turbato dal rumore degli elicotteri, omaggio sottile all’Apocalypse Now, che non costituisce altro se non un avvertimento; nella seconda il cineasta mette in scena un balletto, costituito da volti, quelli dei monaci che comunicano sulla musica del Lago dei cigni di Tchaikovsky; nell’ultima, egli filma una fila di monaci che solcano la neve in una processione che si comprende come la salita al Calvario, Des hommes et des dieux merita di figurare fra i film francesi più giusti consacrati alla fede accanto a Suzanne Simonin, la religieuse de Diderot di Jacques Riverte (1967) e di Thérèse d’Alain Cavalier (1986). Perché in essi si esprime la purezza del cuore.
Jean Philippe Guweand
(In Le Monde des Religions, settembre-ottobre 2010)
(Traduzione a cura di Immacolata Occorsio, SMSM)