Il terzo gradino
Il terzo gradino dell’umiltà consiste nel sottomettersi in tutta obbedienza, per amore di Dio, al superiore, a imitazione del Signore, del quale l’Apostolo dice: "Fatto obbediente fino alla morte" (RB 7,34).
Il secondo gradino dell'umiltà ci proponeva di accettare in spirito di obbedienza tutte le situazioni che condizionano la nostra libertà e di accettarle proprio nella libertà di chi vede in ogni cosa le disposizioni della volontà di Dio. Il terzo gradino fa un passo avanti e ci invita a sottometterci a un "superiore": è evidente che tale pratica è peculiare della vita monastica che è proprio caratterizzata da una simile obbedienza.
Ma chi, nel "mondo", non ha un superiore, vescovo, ufficiale di grado superiore, padre, capo d'ufficio, a cui deve rispetto e sottomissione? Obbedire a un uomo? a un uomo peccatore come me, ignorante come me, incoerente come me? Ma è proprio quella frasetta, inserita lì quasi per caso, che cambia tutto: per amore di Dio .
Dunque non più, come nel secondo gradino, un'obbedienza praticamente ineludibile, anche se accettata nella gioiosa consapevolezza di obbedire a leggi naturali predisposte da Dio in un suo disegno imperscrutabile, di inserirsi consapevolmente in un progetto divino, ma un'obbedienza volontaria, che potremmo anche rifiutare, ma che è prestata per amore, in una volontà concreta e voluta.
E ancora una volta: a imitazione di Cristo, ma del Cristo che accoglie la volontà del Padre fino alla morte. "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà" (Lc 22,41).
Certamente Dio non può volere la morte del Figlio, non può volere la violenza e l'assassinio, come non può volere alcun male e alcuna sofferenza per le sue creature amate e custodite. Ma col peccato la morte, il male, la violenza sono entrate nel mondo, nella vita dell'uomo e ormai la meta da raggiungere, la volontà finale e piena di Dio non può non passare attraverso la negatività del peccato e della croce. Ecco come parlano gli empi, secondo il libro della Sapienza:
"Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l'educazione da noi ricevuta.
Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara figlio del Signore.
È diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti; ci è insopportabile solo al vederlo,
perché la sua vita è diversa da quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade.
Se il giusto è figlio di Dio, egli l'assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione.
Condanniamolo a una morte infame, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà". (Sap 2,12-20)
A queste condizioni possiamo vedere l'obbedienza di Gesù che si è "fatto obbediente fino alla morte", per portare a compimento la missione affidatagli dal Padre, per compiere la volontà del Padre a costo della vita: "umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,5-8).
È questa la nostra libera scelta, quella che Paolo ci suggerisce in questo stesso brano: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Fil 2,5).
Non saranno certo così empi e disumani tutti i "superiori", ma questo terzo gradino dell'umiltà ci persuade ad accettare il rischio insito nella sottomissione a ogni umana autorità, per amore di Dio.
di sr Francesca osb