Vita nello Spirito

Mercoledì, 01 Settembre 2010 18:49

Quando l'esilio è casa: la biografia di Isacco della Stella (P. Elias Dietz, ocso)

Vota questo articolo
(2 Voti)

Il rinnovamento degli studi cistercensi nelle recenti decadi ha collocato l'abate di Stella tra le figure centrali della spiritualità monastica del XII secolo. Malgrado il risorgere di un interesse a proposito di Isacco come autore alcune nubi sono sospese su Isacco come uomo.

Quando l'esilio è casa:
la biografia di Isacco della Stella

di P. Elias Dietz, ocso *

 

Ad eccezione della Lettera sul canone della Messa i lavori di Isacco della Stella hanno avuto un piccolo impatto sul XII secolo, un rinnovato interesse sui suoi altri scritti è emerso nel tardo XIX secolo tra gli storici della filosofia (Coli 1958) 175-181).

Durante il XX secolo il valore delle sue intuizioni attirò l'attenzione dei teologi (Louis Bouyer, Isaac of Stella The cistercian heritage).

Le sue idee esercitarono anche una certa influenza nell'arco della teologia sacramentale, miologia ed ecclesiologia, tanto che questi testi di Isacco sono citati nelle note a piè di pagina della Lumen Gentium del Concilio Vaticano Il (LG 64)1 e sono usate come letture del Breviario Romano (LH sab Il Avv, Vn IV sett.. P, Sab 5 TO, vn 23 TO).

Il rinnovamento degli studi cistercensi nelle recenti decadi ha collocato l'abate di Stella tra le figure centrali della spiritualità monastica del XII secolo.

Malgrado il risorgere di un interesse a proposito di Isacco come autore alcune nubi sono sospese su Isacco come uomo.

Gli scarni dettagli della storia della sua vita sono stati oggetto di interpretazioni talmente divergenti e di congetture così selvagge che il riferimento standard ai suoi lavori spesso provvede solo un breve sketch biografico. Sfortunatamente alcuni tratti di questi sketch sono stati standardizzati: Isacco viene presentato come una figura marginale o emarginata che,per motivi ideologici, sia che lo abbia scelto o che sia stato forzato a vivere in esilio sull'isola di Re dove si presume sia morto nell'oscurità.

Questa versione della storia continua ad essere ripetuta malgrado studi recenti che l'hanno messa in questione e su certi punti l'hanno chiaramente disapprovata. C'è qualcosa di più in ballo qui che non piccoli motivi di accuratezza storica e della datazione delle attività letterarie di Isacco. Leggere un autore come Isacco attraverso le lenti di una biografia distorta, significa rischiare di fraintendere il suo significato e il suo messaggio.

Lungo l'ultimo secolo sette studiosi hanno dato dei contributi ad una biografia di Isacco. Il loro lavoro tendenzialmente ruota attorno all'episodio dell'Isola di Re e le loro conclusioni su questa questione hanno preso una traiettoria circolare. Il lavoro storico di base per raccogliere documenti e formulare ipotesi iniziali fu fatto da F. Bliemetzrieder (1941) e J. Oebran Mulatier (1959). L'affermazione di base di entrambi fu che il soggiorno di Isacco sull'isola di Re costituì una breve parentesi nei primi anni del suo abbaziato. Insoddisfatto dei risultati abbozzati di questi studi, Gaetano Raciti intraprese una lettura meticolosa dei sermoni di Isacco per estrarre da questi dei dettagli biografici (1961-62). Secondo la sua teoria Isacco fu esiliato a Re nel tardo 1160 a motivo della sua posizione teologica e per il suo coinvolgimento nella controversia di Becket2 funzionò come abate di Re e visse fino al 1170. Molte delle congetture e speculazioni usate nel formulare questa teoria furono chiamate in questione da Gaston Salet nel 1969 nell'introduzione alle sue traduzioni dei sermoni di Isacco, ma Salet accettò il profilo generale della teoria di Raciti. In uno status quaestionis riassuntivo basato sugli studi precedenti (1979) Bernard Mc Ginn espresse anche delle riserve su alcuni punti della teoria di Raciti, ma mantenne la sua cronologia generale.

Nel 1981 Raciti pubblicò alcuni frammenti di sermoni di Isacco recentemente scoperti (Coll.43) In uno di questi frammenti Isacco parla del suo ritorno da un esilio relativamente breve. Raciti modificò in qualche modo la sua posizione per adattarla a questa nuova evidenza, ma lasciò intatta la sua teoria globale su un esilio forzato e una partenza definitiva da Stella.

Nel 1986 Claude Garda pubblicò uno studio che scalzava seriamente questa teoria. Garda scoprì un considerevole deposito di materiale d'archivio che fu rimosso da Stella nel XVIII secolo.

Altri documenti sembrano supportare la datazione dell'episodio di Re nel 1150. Alla luce di questa nuova evidenza (Raciti 1987) continuò ad insistere che solo una datazione tardiva poteva render conto della natura forzata dell'esilio di Isacco. Finalmente Ferruccio Gastaldelli (1999) ha argomentato contro la nozione di un esilio forzato.

Nella prima parte di questo articolo cercherò insieme di provvedere uno status quaestionis datato, sulla biografia di Isacco e di chiarire alcuni punti chiave della discussione.

Nella seconda parte tratterò alcuni punti controversi ricorrenti e specificamente l'ampiezza e la misura secondo cui i limiti di Isacco possono essere usati come una fonte di informazione storica.

Nella terza parte toccherò un aspetto che ha ricevuto poca attenzione nei precedenti abbozzi biografici e cioè cosa può essere accertato del carattere di Isacco.

 

PARTE I

La biografia di Isacco: i pezzi del puzzle

Inglese - studioso - abate

Da Isacco stesso sappiamo che era inglese. Della sua vita precedente comunque non è sopravissuto alcun ricordo. La prima data solida di cui disponiamo è il 1147, l'anno in cui Isacco divenne Abate di Stella. Prima di allora aveva acquistato una notevole cultura teologica, filosofica e letteraria, evidente attraverso i suoi scritti. Nel sermone 48 parlò candidamente della sua esperienza delle scuole, ma senza dare informazioni dettagliate.

Sono stati fatti tentativi di verificare in base a criteri di evidenza interna sotto quali maestri abbia studiato e quando, ma non è stata trovata una evidenza basata sui documenti per sostanziare le varie ipotesi. Non si conosce esattamente quando e dove Isacco cominciò la sua vita monastica. Se è entrato a Stella la scelta iniziale fu per una comunità di monaci bianchi perché Stella divenne cistercense solo nel 1145. Un'altra possibilità è Pontigny, il monastero che divenne la casa madre di Stella al momento della sua incorporazione.

I primi anni di Isacco come Abate furono allora per la sua comunità anni di transizione e il consolidarsi dell'identità cistercense di Stella sarebbe stato l'aspetto più grande del suo abbaziato di vent'anni.

L'ultima evidenza documentaria di Isacco come Abate di Stella è data al 1167. Dal 1169 Stella ha un nuovo abate.

La data della morte di Isacco è sconosciuta. Una teoria dice che deve essere stato vivo dopo il 1174, data della canonizzazione di San Bernardo perché nel sermone 52 Isacco parla di "san" Bernardo.

Quest'argomento comunque è inaccettabile, è basato su una anacronistica comprensione delle procedure di canonizzazione e ignora il fatto che la letteratura cistercense del XII secolo offre numerosi esempi dell'applicazione di "sanctus" a personaggi non ancora canonizzati. Non ci sono documenti evidenti che Isacco vivesse oltre la fine della sua abbazia.

Due documenti, uno dei quali datato al1188, mostrano che Isacco era ricordato con venerazione a Stella. Una testimonianza attendibile del XII secolo riporta una tradizione locale secondo la quale Isacco era stato sepolto a Stella nella chiesa abbaziale ma che saccheggi e guerre avevano tolto ogni sostegno archeologico a questa affermazione. L'evidenza a nostra disposizione allora stabilisce la morte di Isacco attorno al 1169.

 

Isacco e la fondazione di Re

Il coinvolgimento di Isacco con la fondazione di N. D. de Chateliers sull'isola di Re è ben attestato.

Sono rimasti due atti: donazione e una lettera al donatore dell'Abate di Pontigny. Le divergenze nella datazione e nell'interpretazione di questi documenti sono stati riassunti altrove, così che la presente trattazione sarà limitata ai punti chiave che hanno bisogno di chiarificazione.

Questi tre documenti sottolineano tre stadi del processo di fondazione.

Stadio n. 1: la donazione iniziale fu fatta da Eblo di Manleon su richiesta di Isacco, Abate di Stella e John abate di Trizay (Trisagion!) una abbazia vicina che era stata incorporata all'Ordine cistercense circa nello stesso periodo di Stella.

Stadio n. 2: il loro progetto sembra comunque non essere andato molto avanti, perché Eblo scrisse più tardi una lettera all'Abate di Pontigny chiedendo a lui e al capitolo cistercense di fondare una abbazia sul luogo che aveva precedentemente donato a Isacco e a John. Aggiunse che entrambi sia Isacco che John erano d'accordo con questa proposta e anzi, supplicavano che fosse accettata.

Stadio n. 3: l'abate di Pontigny visitò l'isola e accettò la proposta; alla presenza dell'Abate di Pontigny, Abate Padre sia di Stella che di Trizay, di Isacco e di John furono stesi dei documenti che rinnovavano ed estendevano la donazione. I termini di questo documento indicano che la fondazione era stata ora regolarizzata e allargata per conformarsi alla legislazione cistercense e alla loro pratica agricola

A giudicare dalla loro prima documentazione (stadio n. 1) Isacco e John si erano imbarcati in un progetto che ignorava i punti basilari della legislazione cistercense sulle fondazioni: non c'era un'unica casa fondatrice, il Capitolo Generale non aveva approvato l'iniziativa, il monastero che si prospettava non aveva grange o animali, ed erano invece previste forme vietate di introiti e lavori secolari.

Anche se questo documento è stato oggetto di molte speculazioni è impossibile dedurre solo da questo le intenzioni a lungo termine di Isacco e John. Manca di informazioni ulteriori sugli inizi del nuovo monastero.

La breve lettera di Belo che chiede l'intervento di Pontigny (stadio n. 2) ha dato origine a un piccolo dibattito riguardo ai suoi contenuti. Il problema qui è l'identità del destinatario. La copia di questa lettera nel primo cartulario di Pontigny dà solo la prima iniziale (G) dell'abate cui era indirizzata. Gli editori di questo testo tendenzialmente pongono il nome Guichard3 basato sulla tradizionale data di fondazione di N.D. des Chateliers (1156). Se Guichard era il destinatario l'adozione da parte di  Pontigny della fondazione di Re ebbe luogo nel tempo del suo abbaziato e cioè prima del 1165.

Raciti comunque obiettò che le date tradizionali sono inaffidabili e che l'abate di Pontigny in questione era Garinus, abate dal 1165-1174. Prese la sua decisione malgrado il fatto che il documento finale che stiamo considerando nomini Guichard. La copia più antica VIDIMUS ... che Debray-Mulatier data al XV sec. non lascia dubbi. È una copia attestata da persone il cui unico scopo era riprodurre fedelmente un originale. E per di più, data da un periodo in cui i copisti non avrebbero avuto la conoscenza e le motivazioni di difficoltà con i nomi.

In aggiunta a questa evidenza documentaria la storia di Pontigny ha bisogno di essere presa in considerazione. Fu durante l'abbaziato di Guichard che Pontygny fece la maggior parte delle sue fondazioni e incorporazioni nel XII secolo (le ultime 9 di 15) L'adozione di N. D. de Chateliers Re è coerente con gli scopi dell'attività di Guichard a questo proposito.

Non si ricordano in Pontigny fondazioni o incorporazioni durante l'abbaziato di Garino4. Un dettaglio nella documentazione che segna il terzo stadio della fondazione ha ricevuto interpretazioni profondamente divergenti. Nella lista di testimoni alla fine del documento Isacco e John sono chiamati Monaci piuttosto che abati. Come ha sottolineato Mc Ginn nessun autore sembra essersi accorto che all'inizio del documento Isacco e John sono chiamati entrambi "i suoi monaci" (cioè di Guichard) e rispettivamente abati di Stella e di Trizay. Niente in questo documento garantisce la conclusione che lsacco o John abbiano cambiato di status come risulta dalla adozione di Pontigny della fondazione di Re.

Quali conclusioni possono essere tratte dalla evidenza verificabile che riguarda la fondazione di N.D. des Chateliers? Il piano iniziale riflette una forte posizione ideologica riguardo alla semplicità e una concomitante non considerazione per lo standard normale delle fondazioni cistercensi.

Ma prima di trarre conclusioni finali sul ruolo di Isacco nella questione bisogna ricordare che non agiva da solo e che il documento dà un rapporto di seconda mano sulle intenzioni dei fondatori.

Tutti e tre gli stadi di fondazione prendono posto al tempo dell'abbaziato di Isacco a Stella; non c'è una evidenza di interruzione del suo abbaziato a Stella, non c'è alcuna indicazione che sia mai divenuto abate di N.D. des Chateliers. Tutti e tre gli stadi di fondazione hanno luogo prima del 1165, data in cui l'abate Guichard di Pontigny fu nominato arcivescovo di Lione. La data tradizionale della fondazione corrisponde bene a questo lavoro di cornice e deve essere mantenuta fino a che non ci sia una prova contraria positiva.

 

La natura dell'esilio di Isacco

Nei suoi primitivi studi il ragionamento che condusse Raciti a vedere l'episodio di Re come un esilio forzato andò così: nei suoi sermoni Isacco parla di un tempo di "esilio" su un'isola, presumibilmente Re. L'episodio di Re fu allora qualcosa che Isacco fu costretto a vivere; dobbiamo identificare le ragioni dell'esilio e l'agente che lo impose ad Isacco.

Due aspetti potenzialmente controversi nella vita di Isacco furono la sua speculazione teologica e l'aiuto dato a Thomas Becket; Goffredo di Auxerre sia come segretario di Bernardo, sia in nome proprio fu un oppositore di teologi come Gilberto Porretano; Goffredo di Auxerre fu anche un leader del partito anti-Becket tra i cistercensi; allora fu Goffredo che perseguitò Isacco su entrambi i fronti, e lo depose da abate e lo mandò in esilio a Re.

Questa teoria manca di qualsiasi fondamento storico ed è basata su premesse che studi recenti hanno messo in questione. L'idea che autorità estere abbiano perseguitato Isacco sul tema della sua speculazione teologica è fondata su una cattiva interpretazione del sermone 48. In questo sermone Isacco parla del disappunto dei suoi monaci quando cominciò a dare i suoi sermoni in capitolo in uno stile semplice e più tradizionale. Nulla in questo sermone fa trapelare che Isacco sarebbe stato sotto una pressione esterna. AI contrario si dà pena di giustificare la propria scelta e di semplificare il suo discorso.

Come Gastaldelli suggerisce, Isacco può essere stato motivato da una difficoltà che era comune nei monasteri cistercensi, cioè l'abate doveva adattare il suo messaggio e il suo stile a un pubblico molto variato. I monaci si erano abituati ad una buona dose di latino eloquente e a stimolanti voli speculativi. I fratelli conversi d'altra parte avevano bisogno di un fare più semplice e di un linguaggio che potevano capire. La soluzione di Isacco era di semplificare il suo discorso quando era presente l'intera comunità e di parlare invece ad una grande profondità per una più piccola riunione (familiarior collatio) per i monaci più capaci (adepti) (S: 48,28). Com'è e stato menzionato prima, Stella era stata solo recentemente incorporata all'Ordine cistercense quando Isacco divenne Abate. Adattarsi ai fratelli conversi era necessariamente una motivazione sempre più urgente durante l'abbaziato di Isacco. Il contesto del sermone è una tensione interna non una persecuzione venuta dall'esterno. In più lo scopo del messaggio di Isacco nel sermone 48 è mettere in guardia quei monaci che erano avidi di novità a lasciarsi meno condurre dalla curiosità.

L'idea che Isacco fosse un attivo sostenitore di Thomas Becket è basata su una lettura un po' gonfiata di un passaggio relativamente insignificante in una lettera del 1164 a Thomas Becket di John Bellesmain, compagno inglese e amico di lunga data, ora vescovo di Poitiers.

In quella lettera Bellesmains fa pressione su Becket per cercare una più stretta conoscenza con l'abate di Pontigny. Ricorda che il loro comune amico Isacco, abate della Stella si unisce a lui nell'impegnare la comunità di Pontigny a pregare per la causa dell'arcivescovo. Prosegue dicendo che Pontigny avrebbe provveduto a sostenere Becket con un aiuto materiale se necessario. Da questa breve menzione Raciti conclude che Isacco fosse un amico personale di Becket e un leader di un partito pro Becket tra i cistercensi. Bisogna notare comunque che Isacco è uno dei tre menzionati in quella lettera come "comuni amici"e che non è mai nominato ancora nelle restanti otto lettere di Bellesmains a Becket. In più nella vasta documentazione messa a parte dell'affare Becket non c'è un'ulteriore menzione dell'abate di Stella. I suoi protagonisti qui sono Bellesmains e Guichard di Pontigny. In altre occasioni Bellesmains fa appello direttamente a Guichard perché lo aiuti con negoziati alla corte papale e per preparare un rifugio nell'eventualità che avesse avuto bisogno di una fuga. Bellesmains visitò anche Pontigny. Tutto ciò che noi possiamo con certezza concludere nella menzione di Isacco nella lettera di Bellesmains è che Isacco e Becket erano informati in alcuni punti e che Isacco cooperasse con Bellesmains nell'ottenere un sopporto da Pontigny, casa madre di Stella.

In realtà tuttavia Thomas Becket aveva poco bisogno di aiuto da Bellesmains o da Isacco per formare legami con Pontigny. Nel 1130 Pontigny era stata destinataria di privilegi da parte del trono inglese, privilegi che furono rinnovati sotto Enrico Il attraverso il servizio del suo cancelliere Thomas Becket. Questa connessione e la favorevole situazione geografica dell'abbazia al confine di diverse sfere di influenza rese Pontigny un attraente luogo di rifugio.

Non c'è dubbio che il supporto morale e pratico offerto dai cistercensi riformatori fu un fattore di grande importanza in tutto l'affare. È anche sicuro supporre che Isacco fosse del loro numero. Ma l'ipotesi di vederlo come un punto chiave nel complesso svolgersi degli eventi non ha sostegno. Vederlo come amico stretto e alleato di Becket solo sulla base della lettera di Bellesmains è un volo di fantasia. Becket ebbe pochi intimi, anche tra i suoi più leali collaboratori. Qualsiasi fosse il coinvolgimento di Isacco e quale posizione abbia tenuto nel famoso capitolo del 1166, e meglio situato nell'ombra e perciò sotto la protezione di due figure più influenti: Guichard, ancora abate della sua casa madre al momento dell'inizio della questione e John Bellesmains un leale ma attento sostenitore di Becket, che valutò (diede importanza?) a buone relazioni con Enrico Il ed esortò alla prudenza a un grado che Becket non avrebbe accettato. Ciascuno di questi uomini uscì dall'affare Becket con accresciuta pubblica stima e influenza.

Se simili figure in vista non soffrirono cattive conseguenze per il sostegno dato a Becket non c'è motivo di pensare che Isacco sarebbe stato scelto per rappresaglie, specialmente perché nessuna evidenza indica questa direzione. Cosa avviene allora dell'affermazione che Goffredo di Auxerre divenne nemico di Isacco durante l'affare Becket?

Come Gastaldelli sottolinea, la storiografia moderna ha usato Goffredo, una figura minore, che si muoveva tra i grandi del suo tempo, come un utile capro espiatorio. Gli è stata attribuita una responsabilità per la condanna di Gioachino da Fiore e per l'esilio di Isacco della Stella, ma in entrambi i casi mancano le basi di una solida evidenza. Con o senza un persecutore nella persona di Goffredo, Isacco non fu in pericolo maggiore di qualsiasi altro cistercense dopo l'aperto appoggio dell'ospitalità cistercense per Becket nel 1166. Inoltre recenti ricerche mettono in guardia contro una semplicistica valutazione del posto di Goffredo, del suo scopo e della sua azione nella questione.

Goffredo non era inglese, come qualcuno ha ipotizzato. La sua intenzione nemmeno ha a che fare con una opposizione ideologica a Becket, piuttosto intende contenere il danno potenziale che Enrico Il avrebbe causato alla chiesa e all'ordine. La sua posizione fu più tardi assecondata dalla maggioranza del capitolo Generale del 1166, ma egli lo pagò caro di persona in breve termine.

Anche se la forzata dimissione di Geoffroy come abate di Clairvaux nel 1165 fu una questione complessa, le sue manovre politiche nell'affare di Becket ne furono certamente il fattore più determinante.

Da questo momento in poi egli fu difficilmente in grado di impegnarsi in rappresaglie contro i sostenitori di Becket e in ogni caso non avrebbe avuto motivo per farlo. Passarono cinque anni prima che fosse completamente riabilitato. La sua successiva carriera mostra che mantenne confidenza e stima verso l'Ordine.

Fu abate di Fossanova a sud di Roma dal 1170 al 1176 e poi a Hautecombe in Savoia fino al 1188. I suoi ultimi giorni furono spesi a Clairvaux.

L'idea lontanamente avanzata che avrebbe attivamente perseguitato Isacco nel lontano Poitou durante questo periodo richiederebbe un'evidenza persuasiva per essere preso seriamente, evidenza che non è mai stata portata avanti.

L'idea dell'esilio forzato tiene conto di una ricostruzione drammatica e attraente di eventi ricordati in modo sparpagliato, frammentario. Come le migliori storie provvede a un cattivo e a un eroe. Ma se questi eventi sono ricostruiti nei limiti di dati verificabili la biografia di Isacco, spesso etichettata come misteriosa, non fornisce una storia particolarmente eccitante. Isacco non fu chiamato ad essere un eroe e Goffredo non si guadagnò la reputazione di cattivo

 

PARTE II

I limiti dei sermoni come fonti di dati biografici

Dal momento che la teoria dell'esilio ha avuto origine da una lettura letterale dei sermoni di Isacco e dal momento che la tendenza generale della decadi recenti è stata quella di leggere i sermoni alla luce di queste teorie è necessario uno sguardo più preciso sul valore delle informazioni storiche e di circostanza che sono state spigolate dai sermoni.

 

Dettagli di circostanze tratte dai sermoni

Isacco conduce inaspettatamente i suoi ascoltatori o lettori in modo caratteristico a terra, al termine di alte speculazioni. Nella Lettera sull'anima di Alcher di Clairvaux termina con la menzione della pena, fatica di un anno di peste e di carestia.

Nella lettera sul Canone della Messa a John Bellesmains termina con un lamento sulle incursioni a vicini vendicativi. Nei sermoni o comunque usa lo stesso meccanismo in un modo più letterario.

Quando Isacco menziona contemporaneamente eventi o dettagli accidentali delle circostanze in cui il sermone è dato c'è normalmente una stretta connessione tra queste informazioni e i dettagli del sermone.

In diversi punti Isacco situa la consegna di un sermone durante una pausa sul lavoro, o menziona di dover finire il sermone per non interferire con il lavoro della giornata. Come nel caso delle righe finali del sermone 7 l'allusione al lavoro è in realtà uno stratagemma per sintetizzare il suo tema:

"Ma noi carissimi, a questo punto dobbiamo tacere per alzarci per terminare il lavoro che ci resta della giornata. Forse anche là si troverà Gesù. Infatti Sara ha trovato fuori Isacco, cioè il sorriso; che a noi sia dato di trovare dentro e fuori, Dio stesso che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen" (Serm. 7,17).

Nel contesto di questo affascinante sermone la menzione del lavoro ha più a che vedere con l'arte di Isacco che non con l'orario di Stella. Un caso simile è la menzione del lavoro alla fine del sermone 17. Lo scopo di Isacco qui è di accoppiare lavoro e ozio, carne e spirito, azione e contemplazione. Una lettura letterale dei riferimenti al lavoro: i campi aperti o l'ombra di un albero, come uno sfondo nella montatura del sermone è soltanto risibile nel caso dei sermoni della Settuagesima che formano uno dei più esigenti trattati teologici della letteratura cistercense.

 

Informazioni storiche nei sermoni

I sermoni sono lavori letterari attentamente composti. Anche nei casi in cui vengono comunicati dati realmente storici, Isacco non sta facendo divagazioni incidentali. La menzione di un ordine militare e delle scuole nel sermone 48 non è un'eccezione. Isacco si trattiene dall'entrare in dettagli perché questi non sono introdotti per se stessi. Hanno piuttosto lo scopo di sostenere la sua argomentazione a proposito del pericolo che i monaci siano presi in trappola da una specie di curiositas che li spinge a ricercare sempre nuove e più esigenti esperienze.

Il sermone 18, è il sermone che riferisce in modo più pittoresco il soggiorno di Isacco sull'Isola di Re, anche questo subordina la descrizione della lontananza e della povertà del posto a un insegnamento sulla libertà dall'orgoglio e la preoccupazione della ricchezza.

L'inserimento dell'isola, evocato all'inizio del sermone 27 e alla fine del sermone 29 funziona come un mezzo per stabilire un'introduzione per questo piccolo gruppo di sermoni sull'ascetismo. Dietro questa esperienza c'è l'attuale esperienza di essere su un'isola, ma non c'è motivo di concludere che questi tre sermoni con la loro abile apertura e chiusura fossero necessariamente predicati a Re. Nel suo commento allegorico della tempesta sul mare in Mt 8 (Sermoni 15 e 14 che dovrebbero essere letti in questo ordine) l'immaginazione marittima è altamente metaforica. L'allegoria potrebbe essere ugualmente applicata all'ingresso di Isacco a Stella forse con parecchi compagni-studenti a rimorchio e alla esperienza sull'isola di Re.

Non è necessaria una accurata conoscenza dell'episodio di Re. Per percepire che fu un "dramma spirituale" che lasciò i suoi segni in Isacco, si diffuse nella sua immaginazione metaforica e divenne per lui un mezzo potente per esprimere profonde verità teologiche e spirituali. È allora rischioso assegnare qualsiasi sermone o gruppo di sermoni al periodo di Re come è spesso stato fatto, e in ogni caso fino a che questo episodio non può essere datato con sicurezza, l'utilità di una simile identificazione è minima.

 

Iperbole nei sermoni

Un altro punto da avere in mente è, che come "retorica scritta", i sermoni di lsacco contengono una buona misura di iperbole. La persona umana intaccata dal peccato è chiamata una bestia bruta (Serm. 6,9: "l'uomo è stato distrutto dall'uomo e mutato in bestia"). Il monastero è descritto come un "inferno di misericordia" dove l'abate funziona come un padre delle anime e un torturatore dei corpi (Serm. 17,17-18).

La lotta personale di Isacco con la debolezza della volontà è descritta come un demone che lo tormenta (Serm. 33, 11-14) e la sua lotta con i pensieri come un demone loquace che non lo lascia tranquillo, non gli lascia pace (Serm. 38.8). Simili esempi potrebbero essere moltiplicati. Lo stesso tipo di sottolineatura esagerata appare quando Isacco usa il termine "esilio" e termini associati a questo.

Nel sermone 29,8 chiama se stesso uno straniero (advenam) e pellegrino (peregrinum) in questo mondo, un figlio di genitori umani solo in apparenza, perché egli è soprattutto un figlio di Dio i cui fratelli sono i fratelli della comunità:

" ... E stendendo le mani verso di voi dico: "Ecco i miei fratelli" (Mt 12,49). Allo stesso tempo siamo tutti pupilli e orfani; non abbiamo un padre sulla terra, nostro padre è infatti quello del cielo e nostra madre è vergine ...

Noi non siamo affatto terreni in quanto originari della terra, ma celesti perché originari del cielo, vestiti però di un sacco terreno, per il quale siamo considerati terreni, fino a che possiamo dire al Padre nostro:

"Hai lacerato il mio sacco e mi hai avvolto di gioia" (Sal 29,12).

La menzione di un'isola di esilio nel sermone 19 dovrebbe essere letta in una luce simile: “Ma qui fratelli, per oggi dobbiamo fermarci, essendo stanchi per il lavoro e per il sermone. Ci nutriamo infatti di questi due pani nel sudore del nostro volto, mentre andiamo pellegrinando lontano da quella casa dove nel canto di esultanza e di lode risuona la festa. Qui ci conduca Colui per i quale viviamo da esuli in questa isola, lontani da quasi tutto l'universo. AmenI" (Serm. 19,24)

Chiaramente l'esilio in questione è il laborioso esilio dall'Eden, non il forzato esilio della persecuzione.

 

Esilio interiorizzato

Isacco evoca spesso l'esilio dell'Eden come un modo per descrivere la condizione umana.

"Ma quando l'uomo, si è allontanato da Dio per la colpa della disobbedienza, per una giusta vendetta la sua carne si è allontanata dal suo spirito, essa stessa è stata scacciata dal paradiso e così l'uomo si trova integralmente in esilio. L'anima infatti non è stata creata o posta in un corpo simile e il corpo non è stato creato o posto in un simile mondo. L'anima dunque è pellegrina in un tale corpo e il corpo in un tale mondo" (Serm. 54,14)

Questo uso dell'immagine sottolinea un senso dell'essere straniero, escluso o estraniato: "Ma noi che ancora siamo pellegrini lontani dal Signore (2 Cor 5,6), siamo accovacciati qua e là alle porte della casa del ricco che banchetta all''interno" (Serm. 37,18)

"Ma qui sulla terra, mentre siamo in esilio lontano dal Signore, le lacrime sono nostro pane giorno e notte così che ogni giorno ci sentiamo dire: dov'è il tuo Dio?" (Serm. 55,6).

Comunque non è un esilio privo di speranza. Di fatto può esser visto come una opportunità per impegnarsi nello sforzo ascetico del ritorno.

"Mangi l'uomo, che è povero e pellegrino, la sua misura piccola misura di fior di farina, perché rifocillato con tale viatico non venga poi meno nel cammino che ha iniziato" (Serm. 44,7)

Fino a quando siamo nel corpo corruttibile, e che appesantisce l'anima (Sap 9,15) noi pellegriniamo, appesantiti, lontani dalla mensa e dal piacevole nutrimento, banchetto del Signore, ma spendiamo il tempo esercitando i nostri corpi nell'osservanza e nell'obbedienza ai comandamenti, meditando la sua legge nel nostro cuore giorno e notte (Serm. 21,3)

Come mostra il vocabolario di questo ultimo esempio la vita monastica stessa si identifica alla fine con questo sforzo di ritorno dall'esilio. Isacco associa i termini peregrinatio et exilium, con un concetto come conversatio, disciplina o observantia:

"La misericordia di Dio per sua condiscendenza ha disposto per noi questo nostro esilio, in modo tale che pregare, meditare e leggere ci è concesso, ma il lavorare è necessario, di modo che non ci manchi la possibilità di dare qualcosa alle necessità di chi è nel bisogno con il corpo, che ha ancora una natura animale" (Serm. 14,3) "Sia dunque questa per voi fratelli la forma di vita, questa è la vera disciplina di questo santo modo di vivere: con il pensiero e con il desiderio di essere in compagnia di Cristo in quell'eterna patria, e in questo laborioso pellegrinaggio non rifiutare per Cristo nessun servizio di carità" (Serm. 12,6).

Questo tema gioca anche un ruolo significativo nel sermone 50 dove Isacco fa l'elogio delle osservanze cistercensi. Cita il lavoro penitenziale di Adamo in esilio come una motivazione per il lavoro manuale monastico: "Meglio la pena nell'esilio che la colpa nel paradiso" (Serm. 50,3)

Anche l'obbedienza è messa in relazione al dramma del paradiso perduto: "Per di più serba una giusta ricompensa a chi nel paradiso ha sdegnato di regnare da signore sottomesso al Signore nell'esilio serve ormai come servo sotto un suo compagno di servitù" (Serm. 50,10)

Allo stesso tempo Isacco usa il tema dell'esilio per mostrare i limiti della vita monastica in particolare e della vita umana in generale: "Cosa resta infatti dopo la vita attiva, se non la vita contemplativa, che trova il vertice nella visione e nel godimento di Dio? Però, siccome in questo pellegrinaggio pieno di affanni, dove tutto è parziale e non si trova niente che sia perfetto, nessuna di queste due cose arriva a perfezione" (Serm. 17,19)

Isacco più chiuso arriva a parlare dell'esilio in termini letterali in un passaggio del frammento n.3 dove parla di un ritorno alla sua comunità dopo un'assenza significativa. Nella nostra lettura di questo testo la parola exilium et peregrinatio ha bisogno di un trattamento attento.

Si è cercato di vedere in questo sermone le parole dell'abate ai monaci dì Stella al suo ritorno da Re specialmente nel momento in cui Isacco allude ad un'esperienza penosa che ha ripercussione sulla comunità. Comunque niente nel frammento permette una identificazione così precisa. Dato l'uso costante da parte di Isacco della metafora dell'esilio, il paragrafo di apertura di questo sermone si può concepire riferito ad una lunga assenza dal monastero.

"Il Signore scioglie i ceppi dei prigionieri. Lo so, fratelli, lo so e non ho alcun dubbio che la vostra carità non è stata inferiore nel sopportare la durezza del nostro esilio di quanto la stessa non si sia rivelata nella gratitudine con cui avete accolto il nostro ritorno, ho capito chiaramente che voi siete stati feriti con le stesse frecce che hanno colpito me, e con me siete stati legati agli stessi ceppi. Mi è, infatti, evidente la prova del vostro amore nel fatto che tanto siete stati turbati a causa della mia assenza quanto ora siete cosi felici per la mia presenza. E nella mia peregrinazione, solo questa era la mia consolazione più grande, il sapere che avevo nel mio esilio tanti compagni quanti amici avevo lasciato a casa" (Framm. 2,1-2).

 

Conclusione della seconda parte

In conclusione va contro la natura dei sermoni di Isacco cercare in essi informazioni storiche precise a proposito dell'esilio di Re, in nessun punto Isacco raccoglie dettagli di questo episodio con lo scopo di descrizioni accurate.

Anche se il fatto del soggiorno di Re è chiaramente sullo sfondo, Isacco ha così

interiorizzato e trasformato i particolari dell'episodio che è impossibile estrarne ciò che appartiene alla metafora e ciò che appartiene alla realtà. Il tema dell'esilio in particolare ha talmente tante lontane e complesse implicazioni nell'immaginario di Isacco che sarebbe una grossa semplificazione concludere che sta parlando di una rimozione forzata e molto meno di reali catene di prigionia.

 

PARTE III

Rapidi sguardi sul carattere di Isacco

Contrariamente alle rare informazioni che ha dato a proposito delle circostanze della sua vita Isacco rivela una buona dose di se stesso nei suo iscritti. Nei sermoni ci sono numerosi passaggi che rivelano, che danno dei rapidi sguardi sul temperamento di Isacco, gli ideali, la sensibilità e gli interessi. Anche se questi passaggi forniscono troppo pochi elementi per un ritratto del carattere del loro autore danno abbastanza luce sugli scarni fatti della vita di Isacco, tanto da meritare di essere studiati da vicino.

 

La sensibilità di uno straniero

Come Isacco ha rivelato nel post scriptum della sua lettera sul canone della Messa egli considerava Stella il suo luogo di esilio. Dal contesto è chiaro che egli si sta riferendo all'esilio culturale e sociale di un inglese che vive sul terreno francese. Altrove nei suoi ammonimenti ai suoi monaci mostra la sensibilità che ha dovuto fare i conti e lottare con l'esperienza di esser residente a lungo termine in terra straniera

"È un obbligo per chi non vuole né causare né subire scandalo il seguire le abitudini di coloro tra i quali abita, e soprattutto non condannarle; detto in altro modo bisogna o cambiar popolo o seguire i costumi del popolo in cui si è" (Serm. 7,2).

Sappiamo dal Serm. 38 dove Isacco parla lungamente delle tentazioni che lo tormentavano, che le origini della sua famiglia erano per lui una potenziale fonte di orgoglio:

"II mio demone è per me terribilmente loquace, e continua a in tessere favole lunghissime e menzognere circa la gloria, la bellezza e le delizie di questo mondo. Su questa e su quella sussurra mille suggestioni, promette cose incredibili, minaccia cose sorprendenti; e mille volte, mentendo, mi fa credere di poter fare molte cose che non posso fare; o di non poter fare cose che invece posso fare; mi riporta cose strane che si dicono di me in bene e in male; discorre con me di molte cose, ora circa la mia scienza, ora circa la mia pietà, ora sui i mie comportamenti, ora sulle mie origini familiari, ora sul mio fascino, o la mia eloquenza, o la mia raffinatezza. Devo dire altro? Spesso sequestra le mie orecchie e vi si installa casi bene che non mi è concesso neanche di leggere o di ascoltare uno che legge. La conseguenza è che, parlando con me, mi rende del tutto muto, stupido e sordo" (Serm. 38,8).

Da monaco e maestro di monaci considera un valore il resistere a questa tendenza di orgoglio familiare o di nostalgia; piuttosto considera se stesso uno "straniero e pellegrino ... non figlio dell'uomo, ma figlio di Dio" (Serm. 29,8). È evidente che ha avuto un certo successo nel vivere secondo questo valore. In queste parole a John Bellesmains, un compagno inglese, tradisce un grande distacco dalle sue origini: "Volesse Dio che io non fossi inglese! O almeno che qui, nel mio posto di esilio, io non abbia mai visto un altro inglese!" (Postscriptum al De Officio Missae). Qui non dimostra orgoglio nazionale, ma non di meno mantiene un profondo e radicato sentimento di essere "in esilio".

 

Candore e circospezione

Questo ultimo esempio sembra anche indicare che Isacco non era portato alla controversia; avrebbe preferito dimenticare le sue origini piuttosto che soffrire per tensioni politiche come un riconoscibile inglese nel Poitou. Questo medesimo tratto rivela in un altro passaggio dove Isacco commenta eventi contemporanei. Come un energico rappresentante degli ideali della riforma gregoriana egli è notevolmente schietto, anche un poco brusco, su temi importanti del giorno, ma cerca di trattenersi dalla polemica ed evita di prender parte. In diverse occasioni taglia corto con se stesso quando si accorge di star formulando un giudizio aspro. Riguardo all'avidità di terra e i litigi su questioni religiose Isacco scrive:

"C'è forse qualcosa di diverso, mi chiedo, da quello che vediamo ai nostri giorni, delle persone religiose, e soprattutto dei monaci, si azzuffano in rivalità e processi per terre, boschi, pascoli e bestiame, non avendo mai abbastanza terre per gli uomini, o uomini per le terre, pascoli per le greggi, o pecore per i pascoli? Si, tutto questo sale ai miei orecchi, dice il Signore degli eserciti. Che questo sia il motivo per cui il nome e la stima per vita religiosa hanno perso valore agli occhi degli uomini, se uno non lo sa, non sa proprio niente ... Sostenere, come dicono, che in queste cose è la causa di Dio che sta a loro cuore, e che per amore di Dio che, contro ogni proposito di Dio, tormentano il fratello per una pagliuzza, è tanto frivolo quanto estraneo alla professione di una vita perfetta ... Ma torniamo a quanto stavamo dicendo. Ciascuno infatti porterà il suo fardello e renderà conto a Dio di se stesso" (Serm. 37, 22-25).

In un luogo anche più delicato, la condotta dei superiori monastici, Isacco lascia che le sue osservazioni critiche ricadano addosso a se stesso:

"Scelti come maestri di spiritualità sono diventati negozianti degli affari del mondo. Si prendono cura dei loro corpi, mentre hanno in cura le anime degli altri; il detto:

"Fate quello che dicono, non fate quello che fanno" si applica loro. Così fratelli miei, una comunità il cui padre vaghi all'esterno occupandosi di questioni secolari, mentre costringe all'ordine i suoi sottoposti, mi pare come se io vedessi un uomo dal bel corpo che cammina a testa in giù. Voglia Dio che giudicando un servo altrui moderiamo a volte le parole che forse sarebbe stato meglio eliminare completamente!" (Serm. 1017-1)

Il tentativo di Isacco di mantenere nei limiti lo spirito critico può esser visto in un altro passaggio in cui egli rimprovera i cistercensi e i membri degli altri ordini per- ché si impegnano in dispute sulla proprietà che Isacco vede come una contro testimonianza sulla beatitudine della mitezza:

"I monaci di Grandmont capiscono queste parole anche meglio (dei certosini) essi non posseggono nulla. II monaco di Grandmont, pellegrino del cielo, canterà, privo e spoglio di tutto, davanti al ladrone del mondo e canterà nella gioia. Si dice tuttavia che essi salutano molti di quelli che incrociano per strada: ma questo è affare loro. Che cosa importa a noi giudicare il servo di un altro? (Serm. 2,7-8)”

In altri termini Isacco cerca di integrare la sua schiettezza e il suo riserbo in affermazioni franche ma sfumate su questioni di attualità. Il miglior esempio è il famoso sermone 48 in cui menziona due movimenti eminenti in questi giorni, cioè gli ordini militari e il sorgere della scolastica (Serm. 48,5-8). Ancora in gioco sono la mitezza e la pazienza che dovrebbero caratterizzare i seguaci di Cristo. Per citare solo la conclusione di queste note.

"Non condanniamo nessuno di loro, ma in questo non lodiamo né l'uno né l'altro. Li lodiamo sì, ma non li lodiamo in questo, non perché i loro atti siano male in modo assoluto, ma perché possono essere occasioni di mali futuri. In effetti è una vera miseria, quasi tutti i mali hanno preso origine da cose buone.

Anche le virtù nutrono i vizi e una volta sputate vengono soffocate e assorbite dai palloni dei vizi da loro generati, per poco che siano cresciuti. C'è dunque bisogno, carissimi, di una grande cautela e circospezione" (Serm. 48,9-10).

 

Convinzioni temperate da auto-conoscenza

In quasi tutti gli esempi precedenti, il reale oggetto delle critiche di Isacco è l'inconsistenza tra la parola e l'esempio. Vedeva monaci, superiori, cavalieri e studenti portare in alto grandi ideali e poi negare questi stessi ideali con il loro modo di vita

"Temo che oggi ci sia qualcuno che predica se stesso; che parlando di Gesù, brama farsi un nome; che dicendo le cose di un altro cerca la propria gloria o il proprio guadagno; che, proiettandosi al di fuori di sé, semina se stesso nel vento, così che rimane vuoto al di dentro, e non raccoglie niente al di fuori; propone la verità e porta la vanità; propina l'antidoto e beve il veleno. Nessuno è migliore di lui a discutere di umiltà, nessuno è di lui più superbo; predica la povertà, e ama le ricchezze; il disprezzo del mondo ed è avido; la misericordia, ed è avaro; la sottomissione, ed è ambizioso; e tante altre simili incongruenze" (Serm. 18, 5).

La piccola evidenza che possiamo ottenere sembra indicare che su questo punto di consistenza Isacco era tanto esigente con se stesso quanto lo era con gli altri. Il progetto di Re comprendeva misure concrete per trovare un monastero dove l'effettiva povertà fosse maggiormente in evidenza. Qualsiasi fosse l'attuale esito di quel progetto è chiaro che l'insistenza di Isacco sulla povertà non era semplice retorica. Due piccoli dettagli di documentati possono essere descritti della pratica di Isacco della semplicità. Sappiamo da una lettera del 1152 che Isacco, per il trasporto si accontentava di una muta. II suo sigillo era del tipo più semplice e non aveva iscrizione.

Anche se Isacco aveva convinzioni forti e viveva di esse possedeva un livello dì autoconoscenza che gli permetteva di non fare di queste convinzioni degli assoluti. C'è un commovente passaggio nel Serm. 33 dove ammette di soffrire per i rigori della solitudine che ha abbracciato con fervore come un ideale ascetico.

II contesto è un commento allegorico dell'episodio del vangelo della donna Cananea che prega Gesù di guarire sua figlia (Mt 5,21-28) Isacco vede la donna come la volontà, (voluntas) e la figlia come la capacità dì mettere in atto ciò che la volontà vuole (facultas).

" ... Prevenuto infatti gratuitamente dalla grazia di Dio, mi sono separato non solo dai peccati e da ogni occasione di peccato, ma anche, come si può vedere, da quasi ogni consorzio umano e dal mondo comune, per venire, con il cuore contrito, in questo deserto nascosto e arido.

L'ho fatto per punire i piaceri passati e le curiosità frivole e vane con le aridità, e insieme le privazioni e le desolazioni che ora presenti in me, per potere d'ora in poi, una volta soggiogata la materia ed eliminate le occasione di cose del genere, con più facilità e libertà protendermi in avanti, dopo aver dimenticato tutto quanto mi sta alle spalle (cf. FiI 3,13) (Serm.  3,13".

L'evidenza data dai documenti, dell'abbandono del progetto di Re può essere un'altra traccia della volontà di Isacco di permettere che difficoltà e fallimenti moderassero ideali non realistici.

Sembra che Isacco sia stato una persona esigente, questo non vuoi dire che sia stato intransigente.

 

Il valore dato da Isacco a Bernardo

Isacco è forse meglio conosciuto per l'equilibrio unico da lui raggiunto tra la sua formazione intellettuale nelle scuole e la spiritualità monastica cistercense che ha così bene articolato nei suoi sermoni. Qualcosa nell'uso carattere rende possibile per lui unire le tendenze che hanno polarizzato alcune delle figure chiavi del suo tempo. Questa capacità unificante si vede meglio nell'atteggiamento di Isacco verso Bernardo di Clairvaux.

Nel sermone 42,15 loda calorosamente Bernardo, e lo chiama anche santo. Isacco era un ammiratore dei sermoni di Bernardo sul Cantico dei Cantici, ma, cosa più importante, ammirava Bernardo per le qualità della sua presenza. Egli sottolinea che qualcuno mormorava per le azioni o per i rimproveri di Bernardo, ma che queste tensioni si dissolvevano subito quando qualcuno parlava con Bernardo in persona. Se anche lsacco stesso avesse mormorato per l'attacco di Bernardo contro uomini come Gilberto Porretano e Abelardo, come alcuni avevano supposto, chiaramente sarebbe poi stato sopraffatto dalla grazia e dal fascino di Bernardo. In più, dato il pensiero di Isacco stesso sul potenziale pericolo che le idee teologiche si prendano libertà eccessive (Serm. 48.7), non è impossibile che Isacco avrebbe compreso le motivazioni di Bernardo. Forse l'apprezzamento di Isacco per Bernardo è anche più notevole alla luce del suo acuto spirito critico verso la Nuova Milizia, che egli chiama Nuovo Mostro, che ricevette la sua Regola dal santo Abate di Clairvaux. Forte e indipendente nelle sue convinzioni Isacco era ciononostante un uomo capace di sfumature e ampie prospettive mentali.

 

Conclusioni

Queste considerazioni sul carattere di Isacco messe insieme con l'evidenza storica e letteraria discussa nelle prime due parti di questo articolo contribuiscono ad un quadro coerente della vita dell'Abate di Stella. Il tema dell'esilio negli scritti di Isacco è sufficientemente spiegato dalla sua situazione e sensibilità da straniero e dalla sua superiore dottrina spirituale.

In più l'idea che Isacco fosse oggetto di una persecuzione sia per le sue doti intellettuali che per il forte sostegno nella causa di Thomas Becket non collima con ciò che conosciamo del carattere di Isacco. Isacco aveva grandi doni intellettuali, ma il suo pensiero non era né abbastanza innovativo nel contenuto, né sufficientemente provocatorio nel tono per attirare rimproveri o misure punitive. Isacco era abbastanza idealista da sostenere il progetto di riforma dei primi cistercensi, ma la sua sottolineatura era sulle qualità morali di monaci e superiori, non su motivi canonici o politici. Non c'è indicazione che Isacco avrebbe preso una posizione meno sfumata nell'affare Beckett, una posizione meno sfumata di quella del suo vescovo locale e suo connazionale John Bellesmains. In più Isacco con la sua avversione del lusso, dell'ostentazione di ricchezze o del prendere le armi, era di una classe diversa sia da Bellesmaines che da Becket, le cui carriere per entrambi coinvolgevano potere, alta finanza, conflitti armati5. A parte il breve episodio della fondazione di Re, l'incursione di vicini aggressori, e la richiesta del servizio abbaziale sembra che la carriera monastica di Isacco si distendesse con relativa calma a Stella, sua casa d'esilio.

 

(da Cistercian Studies, 14-02-2006. Pubblicato con i dovuti permessi. Traduzione dall'inglese a cura di Sr.Maria Francesca Righi ocso).

Note

  1. Bernardo Olivera, lsaac of Stella Profhet of Vatlca Il CSQ (1969; 251.266)
  2. Tommaso (Thomas) Becket (Londra, 21 dicembre 1118 - Canterbury, 29 dicembre 1170) fu Cancelliere del Regno d'Inghilterra dal 1152 e venne nominato arcivescovo di Canterbury e primate d'lnghilterra nel 1162: ostile ai propositi Enrico Il di ridimensionamento del privilegi ecclesiastici, venne ucciso (forse per ordine del sovrano) nel 1170. È venerato come santo e martire dalle Chiese cattolica e anglicana.
  3. Guichard, abate di Pontlgny, arcivescovo di Lione (1181). Originario del Lionese Guichard prese l'abito cistercense all'abbazia di CTteaux. Nel 1136 fu eletto abate a Pontigny, dove si fece notare per la sua santità e le sue capacità di governo. Nel 1164 ricevette l'arcivescovo san Tommaso di Canterbury che davanti alle minacce del re Enrico Il Plantageneto era venuto a cercare rifugio in Francia e ad Incontrare a Sens il Papa Alessandro III Nel 1165 Guichard fu eletto arcivescovo di Lione, al posto di Drogone, deposto dal Papa. Fu consacrato dal Papa L'8 agosto 1116 a Montpellier ma poté prender possesso della sua sede solo nel 11 novembre 1167. Nel 1171 fu nominato legato della Santa Sede. Nel 1173 firmò un importante accordo con il conte di Forez Guigo Il a proposito del dominio della città di Lione. Dovette allora lottare contro l'eresia dei Valdesi. E costruì la cattedrale San Giovanni. Nel 1174 si recò a Clalrvaux il 13 ottobre per consacrarvi la chiesa che era stata ingrandita con un vasto chevet a déambulatorie. Allo stesso tempo fece levare Il corpo di san Bernardo che il18 gennaio era stato canonizzato. Morì nel 1181 e fu sepolto nel coro della chiesa di Pontigny. Abbiamo di lui una lettera a Sugero in favore del tesoriere della chiesa di Auxerre, chiedendo per lui la sua protezione presso il Re. Ep 137, PL 186, co1413; una lettera al re Luigi Il per ringraziarlo della grazia accordata a Clarembaud di Chalons sur Marne, suo amico e benefattore. Da arcivescovo di Lione una lettera In comune a Luigi VII al Card Pierre de Saint Crlsogono, a Jean de Sallsbury, vescovo di Chartres, a Maurizio, vescovo di Parisi, e a Thibaud conte di Blols dove certifica che un processo tra l'abbazia di Pontlgny e il vescovo I Troyes è terminato in modo amichevole, nel Cartulario di Pontigny . 5465, fai 47. Gli statuti, rinnovati, della chiesa di Lione.
  4. Il Dizionario di Autori Cistercensi di Garino riporta solo due righe con la data di abbaziato in Pontigny (12 secolo) e la menzione di una lettera da lui scritta a Etienen de Tornai.
  5. Ai suoi tempi l'ostentazione di Becket per le ricchezze era leggendaria. Come Il coinvolgimento militare condusse un esercito attraverso Poitiers sulla via di Tolosa nel 1159. Lungo la sua carriera mantenne stretti legami con I templari (Richard Winston, Thomas Bechet, New York Knopf, 1966, 73-74; 76-78;94-95. Riguardo a Bellesmains fra le ragioni del suo ritiro a Clairvaux alla fine della sua vita era Il tormento di coscienza che visse per giudizi che erano finiti in esecuzioni capitali e per la partecipazione a conflitti armati (Ponzet 11-17).

* Segretario del P. Abate Generale Emerito,Dom Bernardo Olivera, Casa Generalizia. Roma

Letto 7566 volte
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search