La visione benedettina del tempo
di D. Sandro Carotta osb
Quanti varcano la porta dello scalone centrale dell' Abbazia di Praglia, vengono a trovarsi davanti ad una scultura di Giovanni Bonazza (1654-1736) raffigurante l'Allegoria del tempo. Sulla soglia della domus Dei il passo del pellegrino è quindi invitato a sostare e riflettere, fosse pure per un breve istante, sul mistero del tempo, nel quale "l'intatta purezza dei contrari: riso e lacrime" (L. Santucci) accompagna il suo itinerare, carico di memoria spesso dolorosa, come anche di speranza per un futuro più sereno ed amico. Alla tradizione monastica non è perciò estranea la meditazione austera e confortatrice sul tempo. Un'altra testimonianza al riguardo ci viene offerta dal Monastero di Montecassino. Qui il tempo ha custodito e maturato l'intuizione iniziale del nostro Santo Padre Benedetto, edificando un Santuario di umanità, ove "l'uomo è recuperato a se stesso" (Paolo VI) attraverso la disciplina monastica, e altresì una Scuola di spiritualità che attraverso il Quaerere Deum ha plasmato una visione cristiana della vita.
Una mirabile architettura
San Benedetto articola il ritmo temporale seguendo la grande arcata dell'anno liturgico "aula temporis" come è stato definito, nel quale la Chiesa si lascia condurre e istruire dallo Spirito, e il cui fondamento irradiante è la Pasqua di Cristo. L'evento pasquale infatti è il centro dei tempi relativi all'Opus Dei (RB 8, 1.4: "usque in Pascha", e "a Pascha"), ai pasti (RB 41, l), al lavoro manuale e alla lectio, come pure, di non minor importanza, al riposo (cf. RB 48). Con la risurrezione anche il tempo è stato redento e il Risorto ne è diventato il cuore, l'ultima entelechìa, la sua energia segreta e intima.
Questo "novum" cristiano è bene evidenziato dalla Regola, e ricorda al monaco che il suo tempo, e quindi l'intera sua esistenza, appartengono al Cristo, vivono nella grazia della sua signoria salvifica, e che solo in Lui, Alfa e Omega, trova radice, senso e direzione quel piccolo e insostituibile frammento di storia personale chiamato ad accordarsi, nel grande fluire del tempo, nella Historia Dei. Archi minori di questo edificio, all'interno del quale sono stabiliti i lavori e i ministeri (RB 9, 5; 42, 3; 63, 4 ecc.) sono i cicli ebdomadari che si concludono e riprendono significativamente la domenica, il giorno Kyriale.
Infine l'alternarsi del giorno e della notte ritma l'arco minimo la cui cadenza viene data dalla celebrazione della liturgia Horarum.
San Benedetto inaugura la giornata nella memoria riconoscente di Colui "il cui volto assomiglia al sole" (come narra il veggente di Patmos in Ap l, 16): "L'ora della levata si regoli in modo che l'Ufficio notturno ... seguano subito le laudi che devono recitarsi al primo albeggiare" (RB 8, 4), e la conclude al tramonto, invitando a far tutto alla sua luce: "Ut luce fiant omnia" (RB 41, 9). Rischiara poi la notte con la lampada della vigilanza: "Infatti quanto alle vigilie notturne il medesimo Profeta dice: Nel mezzo della notte mi alzo a celebrarti" (RB 16,4).
Il tempo non è quindi un vuoto contenitore da riempire, ma una mirabile architettura, che sui ritmi dell'Eterno forma e alterna sapientemente l'Ora, il Labora e il Lege monastici. Il monaco è così liberato dall' assillo delle cose e allo stesso tempo invitato a riconoscere la dignità; è sottratto dall'usura del chronos e ad accoglierne il dono e il compito orientandone i germi verso la loro finalità. E' un grande insegnamento tuttora valido e attuale e per certi aspetti provocatorio.
TEMPO E VOCAZIONE
A. "Hodie si vocem eius audieritis ... "Prol. 10
«In Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo»
Desidero portare la vostra attenzione sulla vocazione, aspetto centrale nella vita di una persona. Nell'ottica credente nella quale collochiamo queste riflessioni è Dio che chiama all' esistenza, alla fede e secondo un carisma originale (che diviene ministero) espressivo e rivelativo dell'io "nascosto con Cristo inDio" (cf. Col 3, 3). Scoprire la propria vocazione e aderirvi è la grande obbedienza dell'essere uomini, il compito imprescindibile, la fatica e lo splendore nelle stillae temporum come poeticamente sant'Agostino definisce il tempo, la temporalità, parametro del nostro divenire e luogo di fabbricazione. San Benedetto nel Prologo, tracciando un itinerario della ricerca di Dio, parla al riguardo di "giorni della presente vita" (Pro!. 36), di un hodie nel quale "correre ed operare quel che giova per sempre" (Prol. 44). Riascoltando la sua parola percepiamo il senso dell 'urgenza, della fretta come pure la consapevolezza del tempo come grazia nell' hic et nunc, da non vanificare ma assumere con coraggio, fede e makrothymia. E' nell'oggi che Dio fa udire la sua voce ("divina cotidie clamans ... " Prol. 15), una qualità di vita in definitiva che non muore ma dura in eterno. Nell'oggi quindi il monaco deve rispondere a quel Dio che ad ognuno (cf. Prol. 1) e a tutti (cf. Prol. 9) fa udire la sua parola.
Parola che risuona non una volta soltanto (semel) ma continuamente, ogni giorno (cotidie) attraverso il sacramento, certo, della Scrittura (cf. Prol. 8; 21) ma anche degli avvenimenti e degli incontri che tessono il quotidiano e la storia. Nel suo magistero san Benedetto insistentemente invita ad essere consapevoli del tempo che ci è donato, e quindi attenti uditori della Parola la quale "indica la via della vita" (Prol. 20) e guida alla visione di Colui che chiama alla sua dimora, alla tenda del regno. là dove il giorno non più tramonta. "lnsegnaci a contare i nostri giorni - prega il salmista - e giungeremo alla sapienza del cuore" (Sal. 89, 12). Alla sapientia cordis che porta a gestire bene il proprio tempo in rapporto a Dio e agli uomini, si perviene nella misura in cui ci si esercita nell'ascolto, nell'ascolto dello Spirito in particolare, che parla alla Chiesa (cf. Prol. 11; Ap. 2.7). Lo Spirito dona l'intelligenza per operare con discernimento e rispondere appunto ai kairòi di Dio. Senza questo ascolto noi incorreremo in tre tentazioni:
- la paura,
- l'evasione,
- l'impazienza.
1 La paura
E' il rifiuto del futuro di Dio e del suo disegno su di noi e sulla nostra comunità. Sostanzialmente è chiusura allo Spirito, Colui che è la novità incessante, il maestro dell'umanamente impensabile e impossibile. La paura riflette la nostra poca fede (apistìa). "Chi incontra veramente Dio è condotto a morire alla propria storia, e al proprio passato per entrare in un mondo sconosciuto" (B. Forte), in una terra promessa, dono e non conquista.
2 L'evasione
E' la fuga dal presente umile in cui siamo posti, da un presente che può essere umiliante. Ogni fuga è abdicare alla speranza.
3 L’impazienza
Nega il passato. L'impaziente è uno smemorato che disprezzando le proprie radici non riconosce i passi che Dio ha compiuto assieme alla lunga catena delle generazioni. L'impazienza non brilla per riconoscenza e amore.
San Benedetto vede il cammino della vita del monaco come una risposta d'amore e nell’ amore a Dio, anzi una corsa da innamorato nell' inenarrabili dilectionis dulcedine (Prol. 49). L'amore è vittoria sull'egoismo, sul tempo autogestito, autodiretto arbitrariamente e idolatricamente, e quindi tragicamente chiuso in se stesso e su se stesso. Lungo il pellegrinaggio poi l'amore assume i contorni della fedeltà come adesione attiva al Signore e ai fratelli, perché ogni mattino si rinnova e ad ogni istante si ricrea; adesione costante perché è coerenza nell'amore; adesione, infine, creatrice, ove essere fedeli non significa recita di un copione o ripresentazione "della prima volta" ma riassunzione, nella ferialità, della spinta originaria e dell' opzione fondamentale, in modo creativo e quindi vivo e vivificante. la fedeltà salva dall'usura del tempo radicandoci alle perenni sorgenti dell'amore.
B. "Usque ad mortem in monasterio perseverantes ... " Prol. 53
Se la risposta a Dio va data nell'attualità del presente, come ho sottolineato, è evidente che questa si articola e matura lungo i tempi della perseveranza, dell' hypomoné. "Qual'è quell'uomo - si chiedeva Doroteo di Gaza -che volendo imparare un 'arte si accontentava di acquisirla a parole? Sicuramente comincerà per prima cosa a mettersi a fare, a disfare, a rifare, a demolire, e così perseverando nella sua fatica, imparerà a poco a poco l'arte, e Dio, vedendo la sua buona volontà e la sua fatica, lo aiuterà". E concludeva: "E noi vorremmo acquisire l'arte delle arti a parole, senza metterei all'opera?".
Il verbo "perseverare" caratterizza il vissuto cristiano: "Erano infatti perseveranti nella dottrina degli apostoli, nella comunione, nella frazione del pane e nella preghiera" (Atti 2, 42), ed implica due cose:
- la disponibilità
- la continuità
1 La disponibilità
La disponibilità rende possibile l'avvento dell'imprevedibile, di ciò che esce dai nostri schemi mentali e attese. Dio è l'imprevedibile, il "ladro" che viene nella notte (cf Mt. 24,42-43), il divino sovvertitore di ogni logica, colui che dilata le nostre sempre troppo grette e ristrette visuali. L'evangelista Luca ci offre in Maria di Nazareth l'immagine della disponibilità; la Virgo fidelis è tutta accoglienza dell' amore del Padre che chiede la sua carne perché il Verbo entri nel tempo degli uomini, e il suo cuore per una maternità sconfinata nell' ora della passione.
2 La continuità
La continuità è necessaria perché la vita cristiana e monastica sono un capolavoro che richiede pazienza, lotta, resistenza affinché il seme maturi - anche sotto il sole della tribolazione - in abbondante raccolto.
"Corriamo con perseveranza (per patientiam curramus) nella corsa che ci sta davanti, - esorta l'autore della Lettera agli Ebrei - tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede ... Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta ... " (Eb. 12,2-4). Le prove, come anche le ingiustizie (cf. RB 7, 35-43), non ci sono risparmiate; sostenerle rende saldi, forti, capaci di operare nella dynamis dello Spirito il miracolo della conversione del tempo diabolico in tempo parusiaco che rende "pasquale" l'oggi, spesso così sofferto, della nostra vita.
C “A Spiritu Sancto dignabitur demonstrare ... " RB 7, 70
Si, lo Spirito che porta Dio a "trasgredire" ed entrare così nella kénosis del tempo, è pure colui che consacra il tempo e trasfigura l'intero creato, transustanziandoli in nuova creazione, in spazio e tempo redenti. La sua azione è silenziosa ma continua, tenace e discreta. "Lasciatevi trasformare (metamorphoomai)", scrive consapevole di ciò l'Apostolo in Romani 12,2, perché l'arco dell'intera vostra esistenza giunga al suo telos. San Benedetto parla dello Spirito in relazione all'ascolto di Dio nell'oggi (cf. Pro!. Il), come abbiamo accennato; nella scala humilitatis ove appare invisibile compagno che conduce per mano verso la conformazione a Cristo; nel capitolo relativo al santo tempo della Quaresima ove nella gioia di soprannaturale desiderio il monaco aspetta la Pasqua (RB 49,7).
Lungo il tempo dell'assenza, tra il già e il non ancora, il monaco diviene così voce di tutta la chiesa che grida: "Maranà tha" (Ap. 22,20): è reso capace, come san Benedetto, di vedere il mondo fatto raggio di luce trasfigurato, e scorge oltre il velo della debolezza lo splendore delle cose nascoste e invisibili, "ministro profetico dell'escatologia".
Le Stagioni della Vita
Vorrei ora accennare alle stagioni della vita del monaco. Sappiamo che la Comunità è un organismo all'interno della quale si alternano e si avvicendano anche i tempi relativi all' esistenza umana. San Benedetto parla di giovani e di vecchi (cf. RB 4, 70-71; 37; 39, lO ecc.), di seniores che per maturità di costumi e saggezza edificano il corpo comunitario. All'interno del tessuto cenobitico vivono quindi le generazioni con le loro ricchezze e con i loro limiti.
A. Anziani
Gli anziani sono i fratelli che da lungo tempo sono nella scuola del servizio divino. La loro presenza è una vera grazia, un riflesso del Dio fedele. Da loro ci si aspetta la sapienza, frutto di una assiduità amorosa con il Signore. Qual'è la loro tentazione? Quella, credo, di assolutizzare la loro esperienza vista come la più completa, perfetta e sicura. E nell'assolutizzarla, anche con tutte le più sante intenzioni, imporla. A loro, presenza insostituibile, si può chiedere con sincera venerazione la serenità della fede, la fiducia nella provvidenza del Padre, la certezza quindi per l'oggi che Dio c'è e va accompagnando, in questo difficile momento, il nostro cammino. "Qualunque sia il modo in cui tu sei arrivato in questo monastero - diceva Serafino di Sarov ad un postulante - non scoraggiarti: Dio c'è". Ecco cosa abbiamo bisogno di sentire dal loro cuore e sulle loro labbra. Serafino ... il grande Serafino le cui rughe splendenti sul volto luminoso facevano dire alla piccola Lisa: "Padre Serafino fa solo finta di essere vecchio. In realtà è un bambino".
B. Età media
Abbiamo poi la cosiddetta età media, stagione del massimo vigore fisico e intellettuale. Normalmente questi fratelli sono i più impegnati nel concreto, attraverso i vari ministeri e servizi. Il loro rischio è quello di credere troppo in se stessi, di far pesare la loro efficienza e quindi condizionare pesantemente la vita comune. Cosa possiamo chiedere loro? La gioia di servire gratuitamente, la disponibilità senza riserve all'interno della loro fraternità, di essere fautori di comunione, un ponte fra il passato e il futuro.
C. Giovani
E veniamo ai giovani. Essi sono·i sognatori nel senso più bello del termine, i portatori di grandi utopie. Sono i più liberi, per certi aspetti, e quindi i più disposti a compromettersi nel dono totale. Qual'è il freno che può arrestare o rallentare la loro corsa? Il venir meno della tensione al domani, il lasciarsi sopraffare dal terribile démone dello sconforto e quindi cadere nella malattia della mormorazione, della critica sterile al presente. La loro forza? E' rimanere discepoli, desiderosi di capire, imparare e ascoltare quanti li hanno preceduti. Ogni vero futuro ha radici nel passato, anche negli errori del passato.
Conclusione
Concludendo questa nostra conversazione vorrei ricordare come l'attuale concezione del tempo della quale anche noi monaci ne respiriamo i contenuti e i modelli, sia di matrice illuministica. Il secolo dei Lumi, come è noto, ha celebrato la ragione fino a divinizzarla. "Cogito - esclama il filosofo -ergo sum!" L'io diviene il soggetto incontrastato della storia, gestore autonomo del tempo e del mondo. Dio? E' il Deus otiosus, una inutile e ingombrante presenza. Assistiamo ad una svolta radicale; al tempo imprevedibile della natura e della storia sacra, succede il tempo regolamentabile e prevedibile. E' l'uomo stesso a dominare il tempo, a dividerlo e impiegarlo secondo i suoi progetti. "Senso e signore del tempo non è più il disegno di Dio ma l'insieme dei disegni della società in evoluzione" (A. Rizzi). In siffatto contesto culturale riconoscere e abbandonarsi a una provvidenza risulta arduo per un credente, come pure vivere all'interno di un orizzonte escatologico che orienti alla Parusia: Quanti tra i cristiani attendono il Signore? Eppure la fede che professiamo non attesta che Egli è il Veniente? L’uomo di questa ultima ora di fine millennio, così tormentata ma pure gravida di speranza, è aiutato a riconoscere lo slancio d’amore del Deus viator? A vivere l’incontro dei due amori in quel frammento di eternità che è l’oggi? E i monaci sono quelle vigili e insonni sentinelle e quei profeti che vivendo l’incompiuto del tempo presente diventano “segno d’altro”, sacramentum futuri? A voi la risposta.
(in San Benedetto, n. 4, 1998, pp. 12-20)