Il rinnovamento attuale
dell'adorazione eucaristica
di Patrick Prètot, o.s.b.
Assistiamo da alcuni anni a un fenomeno nuovo, considerando la storia della liturgia del sec. XX: per i fedeli formati durante gli anni che hanno preceduto immediatamente il Concilio Vaticano II, ma anche per i più giovani che, invece, non hanno conosciuto altro che le pratiche postconciliari, si manifesta sotto i nostri occhi un cambiamento, in questo inizio del sec XXI.: si tratta di una riscoperta significativa del culto dell’Eucaristia al di fuori della messa e della trasformazione del rapporto dei fedeli sia con la celebrazione, sia con l’adorazione dell’Eucaristia che ne consegue. Si può d’altronde sottolineare che, nella storia, l’evoluzione del culto dell’Eucaristia non è avvenuta in maniera lineare e che se certi periodi sono stati contrassegnati da un fortissimo sviluppo (il sec. XVII o anche il XIX, per esempio), altri lo sono stati di meno. È dunque possibile che oggi noi siamo entrati in uno dei periodi di alta intensità di culto verso il santissimo Sacramento; e attraverso questa evoluzione si possa presentire, collegata con i segni di questo inizio di sec. XXI, l’apparizione di nuovi modi di affrontare il senso delle pratiche eucaristiche[1]
Infatti in un mondo segnato da una forte aspirazione all’immediatezza – si può pensare per esempio allo sviluppo recente e generalizzato del cellulare o dell’internet che sembrano abolire le distanze - , l’adorazione eucaristica si presenta talora come una pratica in cui il fedele si troverebbe in contatto diretto con la Presenza, un contatto la cui efficacia appare ad alcuni tanto più evidente in quanto attira le folle e specialmente i più giovani. In questo c’è del “nuovo” in rapporto a tutta una tradizione spirituale dell’adorazione che certamente valorizzava il cuore a cuore con il Cristo presente sotto le specie eucaristiche, ma che era al contempo assai sensibile al fatto che il mistero è “velato” e addirittura “nascosto”[2]. In altri termini il contesto in cui viviamo dà al culto eucaristico significati nuovi, e questo invita alla riflessione per evitare di allontanarsi, senza volerlo, dalla fede della Chiesa che ha guidato i “santi dell’Eucaristia”. Le formulazioni dei santi del passato devono essere ricollocate nel loro contesto: a ripeterle oggi in un contesto assai diverso si rischia di far dire loro una cosa diversa.
D’altronde in un mondo di pellegrini e di convertiti[3], in cui si scelgono – e talvolta con fedeltà successive – i propri luoghi di impegno e i propri modi di appartenenza, le pratiche e la relazione con l’Eucaristia sono influenzate da queste nuove condizioni con le quali i fedeli vivono la loro vita cristiana e celebrano la “cena del Signore”.Insomma, poiché i tempi cambiano, c’è un nuovo modo di appropriarsi dell’eredità e si tratta di fare discernimento affinché il popolo di Dio trovi in modo autentico in queste pratiche, nuove o antiche che siano, i viveri di cui ha bisogno per custodire il “mistero della fede”.
In tale contesto questo articolo vuole fornire un certo numero di punti di riferimento riguardanti la relazione fra la celebrazione e l’adorazione dell’Eucaristia. Esso si basa su due fonti fondamentali: l’insegnamento recente della Chiesa cattolica e le istituzioni liturgiche attuali.
Per la prima fonte i testi recenti sulla questione eucaristica sono numerosi e diversi: encicliche o lettere apostoliche dei papi[4], documenti pubblicati dalle conferenze episcopali[5], testi pubblicati in occasione dei congressi eucaristici[6], Catechismo della Chiesa cattolica, istruzioni delle congregazioni romane, ecc. In questo insieme ricchissimo prediligiamo l’insegnamento dei papi recenti, e specialmente quello di Giovanni Paolo II, senza dimenticare che l’interpretazione dell’insegnamento pontificio implica che si tenga conto anche dei documenti che lo adattano a questioni o situazioni particolari.
Per la seconda, si tratta prima di tutto del Rito della comunione fuori della Messa e culto eucaristico – qui abbreviato Rito – pubblicato a Roma in edizione tipica il 21 giugno 1973, sotto l’autorità del Papa Paolo VI e in edizione rinnovata il 17 giugno 1979 ( Libreria editrice vaticana).
Questo libro liturgico riguarda tre aspetti della vita cristiana: la comunione fuori della messa (cap. I); la comunione e il viatico dato al malato da un ministro straordinario (cap. II); le diverse forme di culto da rendere all’Eucaristia (cap. III); quest’ultimo capitolo tratta dell’esposizione dell’Eucaristia, delle processioni e dei congressi eucaristici. Un capitolo IV presenta una serie di letture, di preghiere e di canti per queste celebrazioni. Si tratta della traduzione liturgica delle norme espresse in seguito al concilio Vaticano II con l’Istruzione Eucharisticum mysterium sul culto del mistero eucaristico, pubblicata dalla Congregazione dei riti il 25 marzo 1967[7]. C’è dunque una stretta connessione fra l’Istruzione e il Rito.
Alcuni testi recenti del magistero sul culto eucaristico
Lungo tutto il suo pontificato, il papa Giovanni Paolo II ha evocato il culto dell’Eucaristia in generale e l’adorazione eucaristica in particolare in molti interventi, dalla lettera apostolica Dominicae Cenae del 24 febbraio 1980[8] fino all’enciclica Ecclesia de Eucharistia, il suo grande testo pubblicato il giovedì santo 17 aprile 2003:
«Il culto reso all'Eucaristia fuori della Messa è di un valore inestimabile nella vita della Chiesa. Tale culto è strettamente congiunto con la celebrazione del Sacrificio eucaristico. La presenza di Cristo sotto le sacre specie che si conservano dopo la Messa – presenza che perdura fintanto che sussistono le specie del pane e del vino45 – deriva dalla celebrazione del Sacrificio e tende alla comunione, sacramentale e spirituale.46 Spetta ai Pastori incoraggiare, anche con la testimonianza personale, il culto eucaristico, particolarmente le esposizioni del Santissimo Sacramento, nonché la sosta adorante davanti a Cristo presente sotto le specie eucaristiche[9]».
Bisogna però osservare che Giovanni Paolo II non intendeva innovare, ma si faceva eco di una tradizione di insegnamento del magistero a cui Paolo VI, in un periodo delicato, aveva apportato un contributo di primaria importanza attraverso l’enciclica Mysterium fidei, pubblicata il 3 settembre 1965, cioè ancor prima della fine del concilio Vaticano II:
«La chiesa cattolica professa questo culto latreutico al sacramento eucaristico non solo durante la messa, ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana.... Vi preghiamo dunque, venerabili fratelli, affinché ... promoviate, senza risparmiare parole e fatica, il culto eucaristico, a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà»[10].
D’altronde fra le raccomandazioni espresse dal sinodo romano sull’Eucaristia nell’autunno 2005 – durante il quale vi fu un tempo di adorazione organizzato con i Padri del sinodo e al quale ha partecipato lo stesso papa Benedetto XVI – bisogna rilevare che la sesta raccomandazione riguardava precisamente l’adorazione eucaristica:
“Il Sinodo dei Vescovi, riconoscendo i molteplici frutti dell’adorazione eucaristica nella vita del popolo di Dio in tante parti del mondo, incoraggia fortemente che questa forma di preghiera - così frequentemente raccomandata dal venerabile servo di Dio Papa Giovanni Paolo II - sia mantenuta e promossa, secondo le tradizioni, tanto della Chiesa latina quanto delle Chiese orientali. Riconosce che questa pratica scaturisce dall’azione eucaristica - che in se stessa è il più grande atto d’adorazione della Chiesa, che abilita i fedeli a partecipare pienamente, consapevolmente, attivamente e fruttuosamente al sacrificio di Cristo secondo il desiderio del Concilio Vaticano II - e ad essa riconduce. Così vissuta l’adorazione eucaristica sostiene i fedeli nel loro amore e servizio cristiano verso gli altri e promuove una maggiore santità personale e delle comunità cristiane. In questo senso il rifiorire dell’adorazione eucaristica, anche tra i giovani, appare oggi una promettente caratteristica di tante comunità”.[11].
L’adorazione eucaristica è dunque una pratica alla quale la Chiesa cattolica invita sempre i cattolici, poiché essa “nasce dall’azione eucaristica” stessa e “vi riconduce”. Ora è vero che oggi un gran numero di iniziative, molto differenti per ampiezza e organizzazione, sono rivolte specialmente, ma non esclusivamente, alle più giovani generazioni. Perciò, di fronte a queste iniziative e dato che questa pratica riguarda il senso stesso del mistero eucaristico al quale la Chiesa cattolica dà la maggiore importanza, non è inutile rivisitare il Rito dell’Eucaristia al di fuori della messa che offre dei punti di riferimento concreti perché questa pratica permanga conforme alla fede.
L’adorazione eucaristica nel Rito dell’Eucaristia al di fuori della messa
L’ordine dei tre grandi capitoli che compongono il Rito è già significativo:
I) La comunione fuori della messa;
II) La comunione e il viatico portati al malato;
III) Le diverse forme di culto da rendere all’Eucaristia.
Esso sottolinea che il primo motivo della conservazione delle specie consacrate è il servizio della comunione portata agli assenti dalla celebrazione, specialmente ai malati : una preoccupazione attestata dalla tradizione fin dai testi più antichi[12]. Esso ricorda soprattutto il principio fondamentale, iscritto fin dalle prima parole del documento, per cui la celebrazione dell’Eucaristia è l’atto centrale della vita della Chiesa.[13]. Quindi “la celebrazione dell’Eucaristia nel sacrificio della Messa è veramente l’origine e il fine del culto che ad essa vien reso fuori della Messa[14]”, donde la conseguenza: “nelle esposizioni si deve porre attenzione che il culto del santissimo Sacramento appaia con chiarezza nel suo rapporto con la Messa.” e “Durante l'esposizione del santissimo Sacramento è vietata la celebrazione della Messa nella stessa navata della chiesa.[15]”.
L’esposizione del santissimo Sacramento: un aspetto del culto eucaristico
Quando il capitolo III presenta le diverse forme di culto da rendere all’Eucaristia, l’esposizione dell’Eucaristia appare come una delle tre forme di culto; le altre due sono le processioni eucaristiche da un lato e i congressi eucaristici dall’altro. Ma è senza dubbio importante ricordare oggi, come faceva il sinodo recente, il valore della “visita al tabernacolo[16]”, una pratica tradizionale che le prescrizioni riguardanti il luogo della riserva eucaristica intendono favorire:
“Il luogo per la conservazione dell'Eucaristia si distingua davvero per nobiltà e decoro. Si raccomanda caldamente che sia anche adatto all'adorazione e alla preghiera personale, in modo che i fedeli possano con facilità e con frutto venerare, anche con culto privato, il Signore presente nel Sacramento”.[17]
Sull’esposizione propriamente detta si possono rilevare due aspetti maggiori: le prescrizioni riguardo all’esposizione costituiscono una specie di guida per l’animazione di un tempo di adorazione e sottolineano l’importanza dell’ascolto della Parola di Dio; e quelle che riguardano le questioni del luogo dell’adorazione e del ministro che deve esporre manifestano la stretta connessione fra adorazione e celebrazione.
La Parola di Dio: una guida sicura per l’adorazione
Nella lettera per il 25° anniversario della Costituzione sulla santa liturgia del Vaticano II, pubblicata nel 1989, il papa Giovanni Paolo II ha proposto le chiavi di interpretative del testo conciliare e ne ha sottolineato in particolare i “principi direttivi”. Dopo di quello della “attualizzazione del mistero pasquale”, sul quale torneremo in seguito, figura quello dell’importanza del posto della Parola di Dio:
“La costituzione Sacrosanctum Concilium ha voluto anche ripristinare «una lettura più abbondante, più varia e più adatta della Sacra Scrittura». La ragione profonda di questa restaurazione è espressa nella costituzione liturgica, «affinché risulti evidente che, nella liturgia, rito e parola sono intimamente connessi» ,e nella costituzione dogmatica sulla divina rivelazione: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture, come ha fatto anche per il corpo stesso del Signore, non cessando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita alla mensa sia della Parola di Dio, sia del corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli». L'incremento della vita liturgica e, di conseguenza, lo sviluppo della vita cristiana non si potranno realizzare, se non si promuove continuamente nei fedeli e, prima di tutto, nei sacerdoti, una «soave e viva conoscenza della Sacra Scrittura»” [18].
Il Rito della comunione fuori della Messa e culto eucaristico tiene conto di questi principi generali che hanno avuto grande influenza sull’insieme della riforma liturgica e prescrive in particolare:
“Durante l'esposizione, orazioni, canti e letture, si devono disporre in modo che i fedeli in preghiera orientino e incentrino la loro pietà sul Cristo Signore. Per favorire l'intimità della preghiera, si predispongano letture della sacra Scrittura con omelia o brevi esortazioni, che portino i fedeli a un riverente approfondimento del mistero eucaristico. È bene che alla parola di Dio i fedeli rispondano col canto e che in momenti opportuni si osservi il sacro silenzio”[19].
Se la Chiesa propone di ascoltare la Parola di Dio per “favorire l’intimità della preghiera” e perché i fedeli “incentrino la loro pietà sul Cristo Signore”, vuol dire che c’è una esigenza teologica importante riguardo alla fede della Chiesa nella presenza del Signore nella liturgia.
La pluralità dei modi di presenza del Cristo nella liturgia: principi teologici per una adorazione autentica
Infatti nella Costituzione sulla santa liturgia il concilio Vaticano II, riprendendo e prolungando l’insegnamento di Pio XII nell’Enciclica Mediator Dei (1947)[20], ha spiegato in tutta la sua grandiosità la teologia della presenza del Cristo nella liturgia. Questo passo fondamentale, che costituisce il cuore dottrinale del documento conciliare, è una vera sintesi teologica sulla connessione fra cristologia e liturgia:
“Per realizzare un'opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, « offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti », sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: « Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro » (Mt 18,20)[21].
Il Rito riprende questo insegnamento mostrando come queste diverse modalità di presenza intervengono nella celebrazione:
“Nella celebrazione della Messa sono gradualmente messi in evidenza i modi principali della presenza di Cristo nella Chiesa. È presente in primo luogo nell'assemblea stessa dei fedeli riuniti in suo nome; è presente nella sua parola, allorché si legge in chiesa la Scrittura e se ne fa il commento; è presente nella persona del ministro; è presente infine e soprattutto sotto le specie eucaristiche: una presenza, questa, assolutamente unica, perché nel sacramento dell'Eucaristia vi è il Cristo tutto e intero, Dio e uomo, sostanzialmente e ininterrottamente. Proprio per questo la presenza di Cristo sotto le specie consacrate vien chiamata reale: «reale non per esclusione, come se le altre non fossero tali, ma per antonomasia»”[22]
Tali testi mirano dunque a mettere in relazione la presenza del Signore sotto le specie eucaristiche con gli altri modi di presenza del Cristo nella liturgia. La presenza eucaristica è specifica poiché i testi la qualificano con “al più alto grado” (tum maxime), “reale” e “sostanziale”[23]. Ma collegando le altre modalità a questo modo specifico della presenza sotto le specie, l’insegnamento indica che la parola “presenza” riferita al Cristo deve essere intesa come un termine “analogico”, cioè come un linguaggio in cui sono costitutivi somiglianza e dissomiglianza con il linguaggio corrente – si può pensare, per spiegare il problema assai complesso del linguaggio in teologia, agli antropomorfismi della Bibbia: vi si parla della “mano” di Dio, di Dio che “vede” o che “si adira”. Il Cristo è “presente” nella liturgia, ma si tratta di una realtà di fede, come sottolineava Paolo VI quando alcune maniere di esprimersi o persino di celebrare rischiavano di oscurare la fede:
“L’eucaristia è un altissimo mistero, anzi propriamente, come dice la sacra liturgia, il mistero di fede. (...) È dunque necessario che specialmente a questo mistero ci accostiamo con umile ossequio non seguendo umani argomenti, che devono tacere, ma aderendo fermamente alla divina rivelazione”[24].
Paolo VI prolunga ancora l’esposizione conciliare enunciando altre modalità: il Cristo è presente alla sua Chiesa “che prega”, che “esercita le opere di misericordia”, che è “pellegrina anelante al porto della vita eterna”, che “predica” e infine che “regge e governa il popolo di Dio”. Tale presenza del Cristo nell’Eucaristia non può essere ridotta alla presenza di una cosa e neppure di una persona. Poiché essa partecipa alla presenza del Cristo che “è presente alla sua chiesa” per compiere l’opera della salvezza, e poiché essa è dunque un “mistero di fede”, essa sfugge per conseguenza all’esperienza sensoriale anche se i sensi possono, in certi casi particolari, sperimentare dei segni della presenza[25]. Si tratta di una presenza escatologica, cioè che sfugge alle condizioni di tempo e di spazio che sono proprie del nostro mondo. Essa appartiene all’ordine del Regno e per questo non può essere che un dono dello Spirito santo, lo Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti e che gli ha dato di essere presente ai suoi discepoli dopo la risurrezione[26].
La presenza del Cristo al suo popolo non si limita neppure alle specie consacrate[27]. È il Cristo stesso che, nell’Eucaristia, si rende presente alla sua Chiesa per attualizzare l’opera di salvezza compiuta nella sua Pasqua: la presenza del Cristo nell’Eucaristia ne riceve un carattere unico che è legato al carattere unico della stessa Pasqua. Se ogni celebrazione liturgica è memoria del mistero pasquale, il memoriale eucaristico ne è il culmine poiché ci ripresenta il gesto con il quale il Signore ha indicato il senso della sua vita donata sulla croce.
In definitiva, se è importante insistere sulla proclamazione della Parola di Dio durante l’adorazione eucaristica, è perché la concentrazione dell’attenzione sulla sola presenza sotto le sacre specie rischia di far perdere la vastità della fede nella presenza del Cristo quale è confessata dalla tradizione della Chiesa. Più ancora, proprio perché i fedeli scopriranno in profondità le altre modalità della presenza del Cristo, potranno anche fare l’esperienza del carattere unico della presenza del Signore nel pane e nel vino consacrati.
Adorazione eucaristica e liturgia delle Ore
Davanti al Santissimo esposto per un tempo prolungato si può anche celebrare una parte, e in particolare una delle ore principali, della liturgia delle Ore.
“Con tale celebrazione infatti si estende alle varie ore della giornata la lode e il rendimento di grazie della celebrazione eucaristica e la Chiesa rivolge a Cristo, e per mezzo suo al Padre, preghiere e suppliche a nome del mondo intero”[28].
Questa prescrizione trova il suo senso se si considera ciò che è stato detto in precedenza. I redattori del Rito del 1973 avevano cura di non lasciare i fedeli soli davanti al mistero della Presenza, pur valorizzando la connessione fra le diverse modalità della presenza del Cristo nella liturgia. Ora la Costituzione sulla sacra Liturgia del Vaticano II afferma la presenza di Cristo nella celebrazione della liturgia delle Ore:
“È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: « Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro » (Mt 18,20)”[29].
In questa logica appunto, dunque, il Rito invita alla celebrazione dell’ufficio divino in occasione di un tempo prolungato di adorazione, per esempio durante la celebrazione delle Quarant’ore[30].
Sulla base di questo testo ci si potrebbe domandare, per esempio, se conviene rendere abituale nelle comunità contemplative la pratica che consiste nel celebrare la liturgia delle Ore alla presenza del Santissimo esposto. Il problema rischia d’altronde di accentuarsi a causa degli effetti congiunti di due fenomeni contemporanei.
Infatti vediamo che si diffonde, da un lato, la pratica che consiste nel collegare l’adorazione eucaristica ad altre manifestazioni o celebrazioni: le “tende dell’adorazione” sono divenute correnti nei grandi raduni; è molto frequente l’esposizione del Santissimo durante una celebrazione comunitaria della penitenza (per esempio nel quadro delle “giornate del perdono”) o anche a riunioni serali di giovani, che danno d’altronde largo spazio alla musica e a tempi di insegnamento o di testimonianza. Si può allora osservare il rischio di strumentalizzare l’adorazione eucaristica o persino della celebrazione eucaristica, se esse sono sentite come un mezzo per rafforzare l’esperienza o per assicurare una dimensione di “sacralità” a certe manifestazioni collettive. Ma questa strumentalizzazione gioca anche, a suo modo, quando l’adorazione è ridotta a un mezzo per favorire il silenzio e l’interiorità – cosa che essa certamente fa -, anche quando queste dimensioni suscitano in molti un grande desiderio e insieme un reale timore.
D’altro lato la diminuzione del numero dei preti porta a una rarefazione del numero delle celebrazioni eucaristiche e avviene ormai che alcune comunità femminili non riescano più a celebrare la messa tutti i giorni. Allora si presenta talora l’adorazione eucaristica come una proposta interessante perché la comunità religiosa, ma anche gli ospiti che vengono a cercarvi un tempo di rinnovamento, conservino un contatto profondo con il mistero eucaristico. Tenuto conto della situazione pastorale attuale e del posto delle comunità contemplative come luogo di riferimento per i fedeli, questo è senza dubbio da considerarsi in comunione con la Chiesa locale, tenendo conto degli equilibri della vita pastorale di una determinata regione.
Ma nonostante l’impatto pastorale eventuale di queste pratiche – perché il solo criterio di efficacia, talora esposto sotto la forma un po’ semplicistica “funziona”, non può essere considerato sufficiente e neppure pertinente quando si tratta di pratiche cristiane e specialmente di liturgia – non è augurabile , a nostro parere, di andare nel senso di una connessione generalizzata fra adorazione eucaristica e liturgia delle Ore. Questo non vuol dire, naturalmente, che si debba escluderla in maniera assoluta. Ma senza dubbio è prudente conservare a questa connessione uno statuto di eccezione (cosa che non pregiudica la frequenza), poiché la regola è la separazione fra le due pratiche.
Infatti per riprendere la formula felice del Sinodo del 2005, il culto dell’Eucaristia “nasce dall’azione eucaristica – che in se stessa è il più grande atto d’adorazione della Chiesa (...) - e “vi riconduce”. In altri termini, non si può isolare l’adorazione dalla celebrazione[31], e l’adorazione non può diventare un mezzo per ottenere certi effetti su un gruppo, né una forma di sostituzione della celebrazione eucaristica[32]. Si raggiunge qui il senso profondo di tutto il Rito che inizia con il richiamo altamente significativo del carattere centrale della celebrazione dell’Eucaristia.
Ancor più la liturgia delle Ore, che è una delle “funzioni principali della Chiesa” è insieme la “preghiera di Cristo” e la “preghiera della Chiesa” che “continua la preghiera di Cristo”. Essa ha dunque in sé un valore primordiale perché è in stretta connessione con il mistero di Cristo, e questo le dà tutta la sua dignità: infatti “essa partecipa dell'amore del Figlio Unigenito per il Padre e di quell'orazione, che egli durante la sua vita terrena ha espresso con le sue parole e che ora, a nome e per la salvezza di tutto il genere umano, continua incessantemente in tutta la Chiesa e in tutti i suoi membri”[33].
Sarebbe dunque da rimpiangersi il lasciar pensare che l’adorazione accordi un valore maggiore o anche che venga a “completare” la celebrazione della liturgia delle Ore. Se il Rito propone di celebrare la liturgia delle ore davanti al Santissimo, è nel caso preciso di una esposizione prolungata e con lo scopo di alimentare la pietà profonda dei fedeli dando tutto il suo posto alla Parola di Dio. Ma è significativo che quando tratta dell’adorazione nelle comunità religiose ometta questo suggerimento e inviti a tenere insieme due cose importanti: la valorizzazione delle tradizioni particolari delle famiglie religiose caratterizzate dal culto del Santissimo Sacramento e nello stesso tempo il rispetto dello “spirito della liturgia”[34].
Il luogo e il ministro dell’esposizione
Dalle prescrizioni liturgiche per l’esposizione del Santissimo risulta che essa ha luogo normalmente sull’altare[35]. Inoltre il Rito ricorda che “Ministro ordinario dell'esposizione del santissimo Sacramento è il sacerdote o il diacono, che al termine della adorazione, prima di riporre il Sacramento, impartisce con il Sacramento stesso la benedizione al popolo”[36]. Ê evidente che queste due prescrizioni rientrano nella preoccupazione generale di mantenere visibile la relazione fra l’esposizione e la celebrazione dell’Eucaristia. Certamente le prescrizioni generali sono munite di attenuazioni che permettono di supplire all’assenza o all’impedimento legittimo del ministro ordinato, cosa che vale specialmente per le comunità femminili[37]. Ma la regola secondo la quale il “ministro ordinario” dell’esposizione è un ministro ordinato deve rimanere evidente perché non si perda di vista la connessione fra adorazione e celebrazione. Si può qui aggiungere che, secondo l’Istruzione Eucharisticum Mysterium ripresa dal Codice di diritto canonico, il Rito prescrive che la santa Eucaristia sia conservata in un tabernacolo “solido e non trasparente” e “ordinariamente” non ci sia in ogni chiesa che “un solo tabernacolo”[38]: Quindi la soluzione che consisteva nel progettare dei tabernacoli trasparenti per facilitare l’adorazione del Santissimo non può essere approvata.
Conclusione
Nell’attuale rinnovamento dell’adorazione eucaristica, tre principi della vita spirituale dovrebbero guidarci e assicurare la ricerca di un equilibrio delle pratiche eucaristiche.
Il primo principio è quello della diversità delle pratiche: Di fronte a giovani convertiti che potrebbero dare all’adorazione eucaristica l’aspetto di una pratica essenziale, o addirittura quasi esclusiva, la tradizione della Chiesa invita a conservare una pluralità di strade che consenta ai fedeli di lasciarsi plasmare dallo Spirito santo, quello Spirito “multiforme” che imprime il suo sigillo nella diversità dei carismi. Su questo punto i grandi Ordini, ricchi della loro esperienza secolare della lectio divina, della recita del rosario o anche dell’orazione, possono avere un compito decisivo attestando che ognuna di queste pratiche è subordinata al suo scopo che è la chiamata universale alla santità[39]. Nessuna pratica di questo tipo può essere eretta ad assoluto. Perché l’unico assoluto rimane la santità di Dio a cui ogni uomo, per la grazia di Cristo, è chiamato a partecipare. Non dovrebbe accadere che pratiche così venerabili divenissero luoghi di divisione e motivo di giudizi fra persone e gruppi.
Il secondo principio è quello della gerarchia delle pratiche. Infatti, e fu precisamente l’opera dei teologi medievali, la Chiesa in qualche modo ha “messo ordine” nell’insieme delle pratiche cristiane, mettendo in evidenza in particolare i sacramenti, cioè le sette azioni liturgiche alle quali ha dato un posto preminente e in qualche modo necessario alla vita della Chiesa e al suo compito nella attuazione della salvezza. In tal modo ha attribuito alla preghiera della Chiesa e alla celebrazione dei sacramenti un posto preminente sulle altre pratiche. È stato abbastanza sottolineato qui: il Rito della comunione fuori della messa è strutturato dall’affermazione del primato della celebrazione, che è, d’altronde, la prima forma dell’adorazione. Quindi se l’adorazione eucaristica è una forma di pietà di altissimo valore, rimane però subordinata alla celebrazione. Ordinare in ordine gerarchico le pratiche non significa abbassarne una per mettere in risalto altre. Ma significa che nell’ordine della salvezza – e dunque della vita spirituale – è in gioco un principio di gerarchia che è a servizio della costruzione dell’intero corpo e dell’edificazione di tutti.
Il terzo principio è quello dell’accoglimento di queste pratiche come dono di Dio fatto alla Chiesa. Come, per esempio, la vita religiosa può essere la testimonianza viva del “dono” per eccellenza che è lo Spirito santo all’opera nella Chiesa in vista della costruzione del Regno[40], così il desiderio dell’adorazione che si manifesta oggi può essere un dono di questo Spirito alla Chiesa del nostro tempo, nella misura in cui queste pratiche di adorazione lasciano in vista il fatto che l’Eucaristia, e in particolare la presenza del Signore nel Santissimo Sacramento, è anch’essa un dono di cui nessuno può appropriarsi. Il dono della presenza del Signore è un dono fatto alla Chiesa. Ed è ancora la Chiesa, “soggetto integrale” di ogni azione liturgica, che è in ogni tempo la beneficiaria principale del dono eucaristico, che assicura la sua vita e la sua crescita, benché ciò si realizzi anche attraverso la ricezione dell’Eucaristia da parte di ogni fedele. La comunione, come l’adorazione, non possono essere pensate come privilegi; non possono essere “privatizzati”, perché il dono di Cristo che è lo Spirito santo è per l’edificazione del corpo intero. In definitiva, se la Chiesa circonda l’adorazione di tante prescrizioni per assicurarne l’autenticità, è proprio perché si tratta di conservare alla santa Presenza la sua natura di dono, che prolunga quello che il Cristo Gesù ha fatto di se stesso accettando di morire sulla croce per la salvezza di tutta l’umanità
(Da La Vie spirituelle, n. 770, maggio 2007)
Note
[1] Cf. La Maison-Dieu [abbreviato LMD]. « L’adoratione eucharistique », n° 225, 2001/1 ; Centre nationale de partorale liturgique, Communion et adoratione eucharistique, Guide pastorale du Rituel de l’Eucharistie en dehors de la messe, Paris, Éd. Du cerf, coll « Guides Célébrer », 2005.
[2] Si pensi al testo dell’Adoro Te, il canto eucaristico attribuito a san Tommasi d’Aquino e molto utilizzato per la benedizione del Santissimo Sacramento.
[3] Si veda in particolare D. Hervieu-Léger, Le Pélerin et le Converti, Paris, Flammarion, coll. “Essais”, 1999.
[4][4][4] L’ultimo testo ufficiale è: Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Mane nobiscum, Domine.
[5] Cf. Les evèques di France, Il est grand le mystère de la foi, Paris, Centurion, 1978. Il documento propone una catechesi sulla base della preghiera eucaristica IV.
[6] Cf. Collectif, Jésus Christ, pain rompu pour un monde nouveau (Congrès eucharistique de Lourdes 1981), Paris, Centurion, 1981.
[7] S. Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 1967.
[8] Giovanni Paolo II, lettera apostolica Dominicae cenae a tutti i vescovi sul istero e il culto della santa aucaristia, 1980.
[11] da Internet, 22/10/2005
[12] Cf. Rito, n..5.
[13] Cf. Rito, n. 1.
[14] Cf. Rito, n. 2; vedere anche Istruzione Eucharisticum mysterium, n. 3.
[15] Cf. Rito, n. 90 e 91.
[16] Sinodo romano sull’Eucaristia, 2005 ...
[17] Cf. Rito, n.9.
[18] Vicesimus quintus annus, 1989, n. 8.
[19] Rituale, n. 95.
[20] Pio XII, Enciclica Mediator Dei sulla santa liturgia, 1947.
[21] Costituzione apostolica Sacrosanctum concilium,.n.7.
[22] Rito, n. 6.
[23] Cf anche Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 1.
[24] Mysterium fidei, n. 15.
[25] Si veda, per esempio, Tommaso d’Aquino, Somma teologica, IIIa, qu.76, art. 8, per i miracoli eucaristici.
[26] In Ecclesia de Eucharistia,n. 14, Giovanni Paolo II collega il mistero della presenza reale con quello della risurrezione perché “è in quanto vivente e risorto che Cristo può farsi nell'Eucaristia « pane della vita » (Gv 6,35.48), « pane vivo » (Gv 6,51)”
[27] Cf. Mysterium fidei, n. 35 –38.
[28]Rito, n.113.
[29] SC, n. 7.
[30] Cf. Rito, n. 94-96 sull’esposizione prolungata.
[31] Cf. Rito, n. 90 e 91.
[32] Si vede P. Prétot, “Eucharistie – Assemblée – Dimanche”, Études, avril 2006, p. 497-507.
[33] Principi e norme per la liturgia delle Ore, cap. I, n. 7; si veda anche il n. 12 sul Rapporto tra Liturgia delle Ore ed Eucaristia e il n. 13 sull’esercizio dell'ufficio sacerdotale di Cristo nella Liturgia delle Ore.
[34] Rito, n. 98
[35] Rito, n. 99.
[36] Rito, n. 99.
[37] Cf. Rito, n. 99 e 100.
[38] Rito, n.10; si veda anche Istruzione Eucharisticum Mysterium, n. 52; Codice di diritto canonico, can. 938,§1 e 3.
[39] Cf. Concilio Vaticano II Costituzione sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. V, specialmente n. 39.
[40] Cf. Lumen Gentium, n. 43 e 44.