Vita nello Spirito

Giovedì, 22 Luglio 2010 18:35

La spiritualità eucaristica di due divorziati risposati (Jean-Christophe de Nadal o.p.)

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L’autore di queste righe si sente talvolta obbiettare che predicare la comunione spirituale è ridurre il mistero alla soggettività, e inclinare verso opinioni protestanti. Si può invece rilevare l’obbiettività, alla fine, del rapporto con la Chiesa, che del resto ha insegnato questa dottrina nel concilio di Trento...

di Jean-Christophe de Nadal o.p.

La recente lettera del cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, rivolta “agli sposi in situazione di separazione, di divorzio e di nuova unione[1]”, pur riaffermando la disciplina della Chiesa riguardo alla comunione sacramentale, affermava anche il posto che essi hanno nella Chiesa.

Vorremmo illustrare tale affermazione con l’esperienza e le riflessioni di due persone incontrate in occasione del nostro ministero sacerdotale, che conveniamo di chiamare qui Pietro ed Elena. Le righe seguenti raccolgono la sostanza di un lungo colloquio che ci hanno accordato su questo argomento. Le pubblichiamo con il loro consenso, ritenendo che la loro testimonianza sia degna dei lettori de La Vie spirituelle e del loro ascolto. Senza dubbio ogni esperienza è singolare e non potrebbe per questo essere considerata un modello. Ma questa è adatta, ci sembra, a illuminare verità importanti, per l’istruzione di ogni cristiano nel suo rapporto con l’eucaristia e gli altri sacramenti della salvezza.

Separarsi a causa della fede?

Assidui alla messa domenicale, Pietro ed Elena non si presentano alla comunione sacramentale.

Si sono sposati civilmente alcuni anni fa, separandosi così dai loro rispettivi congiunti. Da quello prime unioni, sacramentali, erano nati dei figli.

Pietro ed Elena riconoscono di non trovarsi nella situazione di “congiunti innocenti”, a favore dei quali si alzano delle voci per tentare di addolcire la disciplina della Chiesa latina e conformarla a quella dell’Oriente.

Ma è il desiderio di vivere e di celebrare la loro fede come sposi cristiani che li ha portati a una decisione che era giudicata severamente a quell’epoca. I loro primi congiunti, benché battezzati, non ne lasciavano loro la possibilità, manifestando persino una ostilità invincibile. Elena si vide rifiutare che il suo secondo figlio fosse portato al battesimo.

Pietro ed Elena dicono di rimpiangere di non avere abbastanza, a favore della loro fede, valutato allora questo ostacolo, prima di impegnarsi nel loro primo legame. Pietro parla, a questo proposito, di “immaturità”. Essi non ignorano che questa circostanza potrebbe, specialmente ai nostri giorni, rendere plausibile un ricorso di nullità  in maniera ufficiale. Ma essi se ne sono sempre rifiutati, pensando che i figli, con i quali Dio aveva benedetto le loro unioni, impedivano loro di ritenerle nulle. Ma sostengono tuttavia che esse non corrispondevano alla verità del matrimonio, che richiede una qualche mutua intesa su materie così capitali come quelle della religione.

Pietro ed Elena da parte loro hanno provato fra loro una simile intesa nel momento in cui la malattia e poi la morte del suo figlio inclinava Pietro a trovare un sostegno nella fede in ore così decisive.

“Quanto a noi, eravamo come dei figli che ritornavano alla casa di Dio”

Con queste parole Elena parla dei primi tempi in cui Pietro e lei poterono recarsi insieme alle assemblee cristiane.

“Alcuni preti, conoscendo la nostra situazione, ci incoraggiavano allora a comunicarci [sacramentalmente]” . Poi fu la scoperta dell’insegnamento della Chiesa su questi problemi, man mano che Pietro ed Elena procuravano di istruirsi sulle verità della loro fede, desiderosi di vivere le esigenze del loro battesimo. Per questo decisero di unirsi a una comunità detta “nuova”.

Là vengono esortati a vivere come fratello e sorella, condizione per poter accedere alla comunione. Ma questa esigenza si dimostrò illusoria e decisero di “ritornare nel mondo”.

Fu dalla parola di un sacerdote, ascoltata in confessione, che Pietro ed Elena scoprirono che la comunione di desiderio o spirituale era una vera comunione, quando la comunione sacramentale era impossibile secondo il diritto, e che la grazia del sacramento, il corpo e il sangue di Gesù Cristo, poteva essere ricevuto con più sicurezza che accostandosi fisicamente e pubblicamente alla santa mensa, a disprezzo delle leggi della Chiesa.

Secondo Elena, non è la cattiva coscienza di infrangere un articolo della legge ecclesiastica, ma un dolore sensibile e insieme spirituale, “sempre più pungente e forte”, che l’ha persuasa a conformarvisi. “Come se Gesù mi dicesse: non posso venire a te sotto questa forma”.

Le oscurità dell’inizio hanno fatto posto ormai alla certezza di ricevere Gesù Cristo nella verità del suo corpo e nel corpo della sua Chiesa.

Pietro ed Elena convengono che tale comportamento non va senza una sofferenza, che è tuttavia senza effetto contro la loro pace interiore. Pietro dice di riconoscere che la Chiesa ha ragione nel mantenere una disciplina di tanta portata per il significato del matrimonio: “Anche se la barra è alta, là deve essere posta”. È giusto, ritiene, pagare per i propri errori. Ma al di là della giustizia, “spiritualmente tutto è donato e offerto: Egli si offre”. E parla ancora di errore. “Ma al di là del prezzo da pagare, c’è la Misericordia di Dio”.

“Dio è misericordia, aggiunge Elena; se lo cerchiamo con un cuore pentito,Egli ci attira a sé, mette un grande desiderio nel nostro cuore, e semplicemente, con un cuore ardente veniamo la domenica all’eucaristia e talvolta in settimana lo riceviamo spiritualmente”.

“Dalla consacrazione alla comunione, spiega, si sta ai piedi della croce, si sente la propria povertà e il peccato”. Pietro  e lei pronunciano con particolare sentimento il “Signore, non sono degno di riceverti: ma di’ soltanto una parola e io sarò guarito” pensando che in effetto “è Lui che ci rende degni di riceverlo”. Questa comunione è l’occasione di una sofferenza, come si è detto, ma anche “dell’offerta di questa sofferenza, come Egli offrì la sua”.

Forse, dice Pietro a un certo momento, la prima scelta era il “necessario”per ottenere “l’unione con Dio” vissuta misteriosamente nella Chiesa. Quanto a Elena, essa chiede a Dio che “la grazia del sacramento, che non è stata vissuta” nel primo vincolo, “ricada” sul secondo, da cui dei figli sono nati.

Un insegnamento troppo poco conosciuto?

Pietro ed Elena si dicono rattristati dal poco rispetto per la comunione sacramentale che visibilmente mostrano certi cristiani, che non ne sono, come loro, allontanati dal diritto. Ma essi deplorano soprattutto l’ignoranza che osservano, persino nel clero, della verità delle grazie sacramentali ricevute spiritualmente, al punto che qualcuno ha voluto obbligare Elena a ricevere pubblicamente l’ostia, dicendo che quello era fare “delle smancerie”. L’autore di queste righe si sente talvolta obbiettare che predicare la comunione spirituale è ridurre il mistero alla soggettività, e inclinare verso opinioni protestanti. Si può invece rilevare, nel caso di Pietro ed Elena, l’obbiettività, alla fine, del rapporto con la Chiesa, che del resto ha insegnato questa dottrina nel concilio di Trento[2]. Si vuole soprattutto dimostrare qui che, in una situazione difficile, questo modo di comunicare ha potuto indicare una strada di salvezza e di penitenza insieme.

Allo stesso modo, quello che abbiamo detto dell’eucaristia, si intende evidentemente della penitenza che ne prepara l’accesso. A questo riguardo, “noi abbiamo, dice Elena, esattamente gli stessi bisogni che gli altri cristiani”. È doloroso sapere che dei sacerdoti hanno potuto rifiutare di ascoltare Pietro ed Elena in confessione, col pretesto che essi non potrebbero evidentemente ricevere l’assoluzione. Ma essi erano ben lontani dal pretenderla. Ma desideravano confessare a Dio la loro colpa. Non potendo ottenere il suo perdono dalla Chiesa e in maniera sacramentale, speravano almeno di riceverlo spiritualmente nella Chiesa, recandosi presso i suoi ministri. Che cosa c’è di più giusto e di più vero?

(da La vie spirituelle, n. 780, janvier 2009, p.77 - 81)


 

[1] La Documentation catholique, n° 2042, 18 maggio 2008, p. 476-481.

 

 

[2] Si veda, per esempio, il Catechismo del concilio di Trento, cap. XX, § 2: “Tre modi di partecipare all’eucaristia”.

 

 

Letto 3377 volte Ultima modifica il Domenica, 31 Ottobre 2010 20:22
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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