Fermiamo la nostra riflessione sulle parole di Pietro: «Tu sei il Consacrato, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16).
Alla domanda: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’Uomo?», i discepoli rispondono: «Alcuni affermano che tu sei Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Giovanni, Elia, Geremia, un profeta, sono semplicemente uomini; Cristo precisa di più la sua domanda: «Per voi chi sono?». Pietro, senza ombra di incertezza, afferma che Cristo è totalmente altro dall’uomo: «Tu sei il Consacrato, il Figlio del Dio vivente. Tu sei il Figlio dell’Uomo, ma su di Tè c’è un sigillo sacro, quello del Figlio del Dio vivente». Questa affermazione è la spada che divide l’umanità in due schiere, quella che accetta la professione di Pietro, quella che non osa accettarla perché in contrasto con la ragione, oppure perché vi vede un’affermazione pagana, oppure perché, negandola, rifiuta una Chiesa troppo umana e potente che delle parole di Pietro si è fatta uno strumento di dominio e di tirannia.
Mettendoci oltre tutte le contese, nel più profondo rispetto verso chi, onestamente, non accetta la divinità di Cristo, cerchiamo di comprenderne in noi, in coloro che hanno fatto di questa affermazione vita della loro vita, il significato. Pietro afferma: «Tu sei il Figlio del Dio vivente», quindi non un ideale di alta nobiltà di vita, non il Maestro unico e inimitabile, ma «il Figlio del Dio vivente»; il Figlio che si presenta a noi, non per essere oggetto di raffinati sistemi di pensiero, ma per esser vissuto in tutta la sua forza, in tutta la sua novità, in tutta la sua grandezza. Realtà non di speculazione, ma di vita.
Forse, in questo momento della storia, a ognuno di noi è richiesto di mettersi al di là di quanto fino ad ora è stato detto, speculato, scritto sulla divinità di Cristo, e, in questo deserto mentale, di porsi davanti alle parole: «Tu sei il Figlio del Dio vivente», in silenzio, perché discendano in noi, ci illuminino, ci aiutino a vivere il loro mistero divino e umano. Non è facendo di Gesù Cristo un semplice uomo che si glorifica l’ascesa umana, bensì è dimostrando come l’umana pochezza abbia potuto innamorare Dio, che si esalta davvero quel principio che fa dell’umana natura il prototipo dell’ascesa e della trasfigurazione universale della materia.
Se noi, piccoli uomini, abbiamo potuto con le nostre sofferenze, lotte, sforzi, virtù, ottenere che un più puro aspetto della divinità rivestisse le nostre spoglie, allora noi, piccoli esseri effimeri, abbiamo un qualche valore agli occhi del Dio vivente.
Non è il fatto che l’uomo ascenda a Dio che è importante, bensì quello che Dio discenda nell’uomo. Se l’uomo ascende a Dio, vedi tutti i genii religiosi di prima e dopo Cristo, Dio diventa simile all’uomo; ma se Dio discende nell’uomo, vedi Gesù il Cristo, l’uomo è costretto a divenire simile a Dio. Può sembrare assurdo che dopo duemila anni dalla redenzione, siamo costretti a ri-iniziare la difesa della divinità di Cristo, eppure è così, ma facendolo noi difendiamo l’intrinseca divinità dell’uomo.
Per Gesù, è l’uomo che ascende all’adozione divina, non solo, ma che diviene veramente figlio di Dio: «Non per volere di carne o di sangue, non per volontà di uomo, ma per operazione dello Spirito Santo l’uomo diventa figlio di Dio». Gesù è la nuova norma umana, il nuovo ordine di cose, la nuova fondazione dell’umanità, il nuovo possibile uomo. Gesù, con la sua nascita, creò i postulati per una nuova forma di vita veramente umana. Come Gesù nacque, gli uomini dovranno nascere «non per volere di carne, non per volere di uomo, ma per opera dello Spirito di Dio, e gli uomini saranno chiamati figli di Dio».
Il Verbo si è fatto carne, Dio si è fatto uomo in Gesù Cristo! Questo occorre che l’umanità acquisisca, questo è il vero secolo nuovo, la grazia del terzo millennio! Strappando a Cristo il nimbo della divinità, strappiamo dalla nostra fronte l’aureola dell’immortalità che il nostro martirio terreno ci ha conquistato. Noi invertiamo i tempi, torniamo indietro invece di andare avanti e, dopo avere scoperto Dio, scopriamo miserevolmente la scimmia.
Chi oggi libererà lo schiavo, chi oggi farà grande il piccolo e piccolo il grande? Non certo la carne e il sangue, ma il Padre che è nei cieli. Possibile che l’umanità, dopo aver sognato uno splendido sogno, scopra di doversene vergognare? Se è vero che i sogni rivelano l’inconscio represso, nell’inconscio dell’umanità Dio è represso e vuol giungere alla luce della coscienza. Se l’umanità sognò sempre degli dei umanati, ciò è perché essa è capace di umanare Iddio. E noi alla bellezza del sogno inchiniamo riverenti il pensiero e, presi dalla sua grandezza, non temiamo di errare affermando che esso, come si è avverato in Gesù Cristo, si avvererà nell’uomo. Gesù, vero uomo e vero Dio, è il segno del nostro riscatto, la caparra dell’eterno commercio con il cielo.
«Tu sei il Figlio del Dio vivente!». Quante volte nei secoli questo grido dell’umana coscienza echeggiò! Questo grido esprime e contiene quanto il cuore umano ha di più alto, di più umile, di più puro come anelito e come idealità: il Cristo. L’umanità può aver trascinato nel fango la sua veste regale, può aver deviato da tutte le sue vie, ma basta a redimerla, a glorificarla, a ricondurla al suo cielo l’inconscia e potente aspirazione che, quasi istinto caratteristico dell’uomo, fa sì che essa possa concepire il Cristo come salvezza divina realizzata e attuata nell’uomo. Gesù, vero uomo e vero Dio, è il segno della nostra ascesa: «In verità vi dico che chiunque creda in me, anche se è morto, vivrà». Noi crediamo in Te, per Te crediamo in tutti i tuoi fratelli: gli uomini nati da donna.
Giovanni Vannucci
(Giovanni Vannucci, «Tu sei il Figlio di Dio» in Risveglio della coscienza , Sotto il Monte, ed. CENS 1984, 20a del tempo ordinario - Anno A, pp. 150-152)