La preghiera dei vangeli sinottici
Le parole evangeliche sulla preghiera, come è ben noto, sono rare, spoglie, concrete. Nessuna retorica, nessuna esibizione, nessuna compiacenza, fin nella presentazione del Padre Nostro: solo emerge la sottolineatura delle esigenze di una orazione autentica (il perdono, Mt 5,14-15; Mc 11,25; l’amore per i nemici, Mt 5,44; Lc 6,28;la lotta contro l’ipocrisia e il vaniloquio, Mt 6,5-9; Mc 12,40; Lc 20,47; la fede piena di fiducia, Mt 21 22; Mc 11,24; la potenza della preghiera, Mc 9,29). Altrettanto rare sono poche indicazioni fondamentali, non ulteriormente approfondite: La mia casa è casa di preghiera (Mt 21,13; Mc 11,17; Lc 19,46); Pregate perché (la fuga davanti alla fine del mondo) non avvenga d’inverno né di sabato (Mt 24,20; Mc 13,18); la presentazione a Gesù dei bambini, affinché preghi imponendo loro le mani (Mt 19,13). Tutto qui.
Solo Luca presenta nel suo Vangelo altri dati che gli sono propri e attestano un interesse particolare per la preghiera: ad esempio le due parabole del cap. 18 (1-8.9-14: il giudice iniquo e la vedova importuna; il fariseo e il pubblicano). Il terzo evangelista, come ben si sa, non è solo lo scriba della mansuetudine di Cristo, secondo la definizione dei Padri, ma è particolarmente interessato a mettere in luce alcune dimensioni a lui care della sequela del discepolo: la povertà e l’esigenza di radicalità, ma anche la gioia e, soprattutto, la presenza dello Spirito Santo. Più concretamente, Luca attribuisce all’esempio di Gesù in preghiera maggiore importanza degli altri sinottici, allo stesso modo in cui si mostra generalmente interessato ad indicare come Gesù sia un esempio in tutto [nella sua conformità alla legge (Lc 2,23) o nella sua «sottomissione» ai «genitori» (2,51); ecc.]. Nel terzo evangelo, quindi, ci troviamo davanti a un’interpretazione originale della preghiera di Gesù, come attesta lo stesso numero dei testi che la menzionano («sette», un numero biblico altamente simbolico, che denota perfezione) o che la esplicitano «tre», anch’esso un numero molto significativo, nella Bibbia).
Ripercorriamo allora, semplicemente, la lettura dei testi: innanzi tutto, secondo la successione canonica, si menziona la preghiera di Gesù in 3,21 (il Battesimo), in 5,16 (dopo la pesca miracolosa e la guarigione di un lebbroso), in 6,12 (prima della scelta degli Apostoli), in 9,18 (prima della confessione di Pietro), in 9,28-29 (durante la Trasfigurazione), in 11,1 (quando i discepoli gli chiedono di insegnare loro a pregare), in 22,41 (sul monte degli ulivi); tre soltanto sono le pericopi che riportano alcune parole di Gesù in preghiera (10,21: l’inno di giubilo; 22,42: la formula pronunciata durante l’agonia; 23,34.46, nella morte di croce).
1. Nel Battesimo
Luca sottolinea che Gesù è in preghiera nel momento in cui riceve il Battesimo nel fiume Giordano. Nello stesso istante discende su di lui Io Spirito e, dal cielo, s’ode la voce del Padre, che rivela la sua identità e definisce la sua missione (Lc 3,22): l’immagine è chiaramente trinitaria. In questo evento che segna l’inizio della vita pubblica, Gesù entra nello svolgimento della sua missione non solo in atteggiamento di piena e umile obbedienza, ma di intensa preghiera. È il Figlio - Servo di Dio che si accinge a compiere ciò che il Padre, che in Lui si compiace, ha voluto da sempre, secondo la parola della Scrittura.
È interessante evidenziare subito il parallelo illuminante, indicato da vari autori, con il secondo dittico dell’opera lucana, gli Atti degli Apostoli: è infatti nella preghiera, che la Chiesa primitiva si dispone a ricevere lo Spirito (At 1,14; 2,1; 4,31), ad accogliere la rivelazione del disegno di Dio e a comprendere meglio, per poterla mettere in opera, la propria missione (9,11-17; 10,9; 16,6; 23,11; ecc.).
2. Durante la vita pubblica
Quando Luca parla della preghiera di Gesù, sembra di conseguenza proporre il suo esempio come normativo per la vita della Chiesa. Se il terzo evangelista presenta così frequentemente Gesù, il Figlio di Dio, che si ritira in disparte per l’intimità orante con il Padre, è perché intende sottolineare un insegnamento particolare. Egli non è del resto il solo evangelista che evidenzia questa dimensione dell’esistenza di Cristo, anche se risultano molto illuminanti sia le omissioni sia le aggiunte che gli sono proprie, rispetto agli altri sinottici.
Marco, ad esempio, dopo la prima predicazione di Gesù nella sinagoga di Cafarnao e le molte guarigioni compiute al calar del sole di quel giorno di sabato, nota come egli, prima del sorgere del sole, si ritiri, solo, per pregare in un luogo deserto (1,35). Incalzato da Pietro e da suoi compagni, deciderà poi di allontanarsi per predicare anche altrove la venuta del Regno. Il passo parallelo di Luca (4,42-43), riportando lo stesso episodio, riprende soltanto l’annotazione di come Gesù si ritiri in solitudine e si sottragga alle pressioni di quanti Io vorrebbero trattenere. Parlerà della sua preghiera solitaria e notturna un poco oltre, quando l’andamento del racconto gli darà la possibilità di ricondurre Gesù in un luogo appartato (Lc 5,l 6); il parallelo di Mc 1,45 evidenzierà in questo caso come egli dimori in luoghi deserti (imperfetto, un tempo che indica continuità) e come tutti accorrano a lui da ogni luogo.
Da queste brevi allusioni, non si può non percepire la sensazione che Luca intenda proporre Gesù come esempio a tutti i discepoli di Gesù: allo stesso modo dei primi cristiani (At 1,14), di Pietro (10,9; 11,5), di Giovanni (3,1), di Paolo (9,11; 16,16.25; 22,17), coloro che seguono Cristo sono sollecitati a perseverare nella preghiera, sia in comunione, nel Tempio, sia nel ritiro della solitudine o in ogni situazione della vita.
3. Gesù passa la notte in orazione prima di scegliere gli apostoli
Dopo la prima moltiplicazione dei pani, anche Mt e Mc attestano che Gesù sale sul monte per pregare, e vi resta, in solitudine, quando cala la notte (Mt 14,23; Mc 6,46). Nel medesimo contesto, tuttavia, Luca non riporta la medesima tradizione, ma afferma che il Cristo saliva sul monte per «passare la notte in orazione» (di nuovo, un imperfetto che indica continuità), soprattutto nella vigilia del giorno in cui, al far del giorno, chiamerà a sé i discepoli per scegliere i Dodici (Lc 6,12-16; Mc 3,13-19 menziona qui solo il monte; il parallelo di Mt 10,1-4 apre invece il discorso dell’invio in missione).
Perché il Figlio di Dio avverte l’esigenza di ritirarsi in disparte e trascorrere la notte in preghiera? I contesti in cui Mt e Mc parlano della preghiera solitaria di Gesù, sembrano sottolineare come egli intenda sottrarsi alle pressioni delle moltitudini che vorrebbero indurlo a un messianismo di carattere temporale (cf. Gv 6,15).
Luca sembra piuttosto voler descrivere la preghiera di Gesù per meglio insegnare alla Chiesa, quando e come deve pregare. Sul suo esempio e dietro suo ordine (10,2), la comunità primitiva pregherà allora prima di scegliere coloro a cui deve affidare un compito, come avvenne nella sostituzione di Giuda (At 1,24), nella scelta dei Sette (6,6), nell’invio dei missionari (13,3), nella designazione degli anziani (14, 23), ecc.
4. Gesù prega prima della confessione di Pietro
Una nuova menzione della preghiera di Gesù appare in Lc 9,18.I testi paralleli di Mt e di Mc riportano l’indicazione della località geografica, Cesarea di Filippo, che Luca invece omette, molto più interessato alle circostanze, per così dire, psicologico-spirituali, dell’avvenimento. La domanda stessa di Gesù, da cui prende avvio l’episodio: «Chi dice la gente che io sia?», sembra emergere dalla profondità della sua intimità orante con il Padre. L’andamento del racconto e la parola che il maestro dirà al principe degli apostoli durante l’ultima cena (22,32), metteranno meglio in luce come Gesù preghi per la fede di Pietro, perché non venga meno e, convertendosi, confermi i fratelli.
Allo stesso modo, negli Atti degli Apostoli, la comunità pregherà per Pietro in carcere (12,12) e Paolo intercederà per la fedeltà delle comunità dell’Asia (At 20,36; cf. v. 32; 21,5-6), quando dovrà seguire il suo cammino e prevederà di non poterle ulteriormente sostenere con la sua parola.
5. Nella Trasfigurazione
Tra i sinottici, soltanto Luca menziona esplicitamente l’intenzione di Gesù di ritirarsi in preghiera quando sale con Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte della trasfigurazione (Lc 9,28 // Mt 17,1 7// Mc 9,2) e ripete di nuovo che è durante la sua preghiera che avviene la trasformazione luminosa del suo volto: nell’incontro orante con il Padre, nell’accettazione del suo misterioso volere, si rivela agli occhi dei tre apostoli lo splendore della sua divinità (Lc 9,29 // Mt 7,2 // Mc 9,3). Egli è colui in cui si compiono le Scritture: Mosè ed Elia confermano il senso del «suo esodo che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (v. 31, proprio a Luca), il luogo dove necessariamente un profeta deve morire (13, 33).
Paolo, a sua volta, quando va verso Gerusalemme, donde partirà «per portare il nome di Dio dinanzi ai popoli, ai re e ai figli d’Israele» (At 9, 15), prega; e prega a Mileto (20,36), a Tiro (21,5), ecc.
6. Prima di insegnar il Padre Nostro
Solo Luca introduce la preghiera del Padre Nostro con un’allusione al misterioso fascino che emana dalla preghiera di Gesù: «Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito, uno dei discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare [...]“. Ed egli disse loro: Quando pregate, dite ...» (11,1). A coloro che lo seguono, attratti dalla potenza del suo raccoglimento e desiderosi di essere introdotti da Lui nella indicibile esperienza del Padre, Gesù offre non solo un eloquente esempio, ma la semplice parola della sua divina figliolanza: maestro di preghiera, forma i suoi discepoli sia insegnando loro il modo di pregare, sia presentandosi come modello concreto di preghiera.
Luca cita raramente le parole che Gesù pronuncia quando prega, descrive prevalentemente l’alone di mistero che emana dal suo raccoglimento, più che il contenuto della sua orazione. Ci ha trasmesso, tuttavia, dei testi brevissimi che gettano un po’ di luce anche sui contenuti della preghiera di Cristo.
7. NeI Getsemani
Dalla narrazione sinottica dell’episodio del Getsemani, emerge essenzialmente l’umanità di Gesù, che ha assunto totalmente la tragicità e il dolore della morte di croce, sperimentando a nome di tutti l’alternativa angosciante tra la propria volontà e quella del Padre. La scelta di Gesù, ripetuta tre volte in Mt come il rifiuto che, nell’episodio della tentazione, aveva opposto alle sollecitazioni del demonio, è dolorosa, tragica, e tuttavia pacifica, ieratica, avvolta da una estrema dignità. Al limite tra la vita e la morte, si intravede il mistero della divinità e umanità di Gesù, nell’unità della sua persona.
Solo Marco e Matteo esplicitano l’intenzione che Gesù ha di pregare in quella notte che precede la sua Pasqua (Mt 26,36 Il Mc 14,32); il loro testo dirà altre volte che Gesù prega: Matteo lo ripeterà tre volte, riportando due volte le sue parole, suggerendo un crescendo e quasi come un itinerario verso l’abbandono sempre più totale al Padre (Mt 26, 39.42.44 // Mc 14,35.39). Solo una volta, invece, Gesù dice ai discepoli di «vegliare e pregare per non entrare in tentazione» (v. 38), mentre per tre volte chiede loro dì «vegliare» (Mt aggiunge, significativamente,«con me»: 26,38.40.41; cf. Mc 14,32.37.38).
La narrazione lucana, nella sua laconicità, non è meno intensa e commovente: la preghiera di Gesù è descritta incisivamente una volta sola (Lc 22,41.45), con l’annotazione che si intensifica maggiormente durante la sua «agonia» (22,44), tanto che il «suo sudore divenne come gocce di sangue che cadevano a terra». Ma è illuminante considerare che il testo di Luca è circondato, come in inclusione, da due inviti ai discepoli: «pregate per non entrare in tentazione» (Lc 22,40.46): la prova suprema di Gesù è presentata come una tentazione anche per i suoi discepoli. Dal suo racconto si ricava come primo insegnamento l’appello che Gesù, al cuore del mistero della sua Pasqua, rivolge a tutti i suoi di permanere in preghiera.
LE PAROLE DI GESÙ IN PREGHIERA
8. L’inno di giubilo
Dalle citazioni delle parole che, nei Vangeli, Gesù pronuncia nella sua preghiera, acquista tutto il suo rilievo un termine che è essenziale nella sua vita, prima che lo diventi in quella dei cristiani. È la parola «Padre».
Nel testo che Luca riporta nel cosiddetto «inno di giubilo» (Lc 10,21 -22; cf. Mt 11,25-27), si deve notare innanzi tutto che segue una specie di dittico, Il brano immediatamente precedente (Lo 10,17-20) descrive la gioia dei 72 discepoli che ritornano colmi di entusiasmo dalla loro missione: si potrebbe ritenere che le due pericopi siano in continuità reciproca grazie al filo conduttore dell’esultanza dei missionari, che si prolunga in quella di Gesù. Tuttavia, nei versetti precedenti (Lc 10,13-16), il terzo evangelista riportava la dura condanna delle città incredule, Corazin e Betsaida (che in Mt 11,20-24 ricorre immediatamente prima dell’inno di giubilo).
In una situazione che presenta aspetti alterni e complessi (rifiuto, fallimento e insieme grande successo), Gesù esulta nello Spirito Santo (Lc 10,21) ed eleva la sua confessione di lode al Padre. Si noti la chiara formula trinitaria, che ha indotto molti a sottolineare le affinità con la teologia di Giovanni. Dal Padre, principio di ogni bene e di ogni dono perfetto (Gc 1,16) viene sia il dono della rivelazione / dell’accettazione del Vangelo, sia l’accecamento dello spirito. Di fronte alla presenza del Padre nel Cristo Gesù, avviene infatti una discriminazione profonda: agli occhi dei «dotti e dei sapienti» risulta coperta di un velo quella conoscenza che è rivelata ai «piccoli», di cui il Figlio, conosciuto da sempre e che conosce da sempre, è l’immagine paradigmatica.
9. Nell’agonia
L’atteggiamento di confidenza filiale che fa scaturire dalla bocca di Gesù l’inno di esultanza, al cuore della vita pubblica, gli ispira, quando si avvicina l’ora della sua Pasqua (22,41 -44), la preghiera del totale affidamento alla volontà del Padre. Abbiamo già introdotto concisamente la preghiera di Gesù al Getsemani: nel momento dell’«angoscia» quando il «suo sudore divenne come gocce di sangue che cadevano a terra», non può che dire: «Padre, se vuoi . .. ». Proprio a Luca è questo «se vuoi», carico di intimità e di sottomissione (cf. Mt 26,39: «se è possibile»; Mc 14,36 «a te, tutto è possibile»). Essenzialmente, i contenuti dei tre vangeli sono identici, ma le sfumature rivestono, come sappiamo, grande importanza. Tutti i sinottici concordano sull’alterità tra la volontà umana di Gesù e quella del Padre: la formulazione di Luca, apparentemente più carica di intimità e di abbandono, continua, letteralmente, come quella di Marco: «allontana da me questo calice», per terminare in modo a lui caratteristico «tuttavia si compia non la mia volontà ma la tua» (ct. «non ciò/come voglio io, ma come tu [vuoi]» di Mt 26,39; Mc 14,36).
Come potrebbe Gesù esprimersi così, in un momento d’estrema angoscia, se non in una pienezza di docilità e insieme di audacia, per la fiduciosa certezza della bontà del Padre nei suoi confronti? Una paternità divina, umanamente divina e divinamente umana, che, a loro modo, tutti i sinottici intendono sottolineare (cf. la forma di Mt «Padre mio»; e di Mc, «Abba, Padre»).
10. Le parole di Gesù in croce
Proprie a Luca sono invece le parole che aprono uno squarcio sulla preghiera di Gesù, morente sulla croce (Lc 23,34.46). Nell’ora in cui tutto è perduto, Egli «prega». Non però per se stesso, ma per i suoi nemici, chiedendo al Padre di perdonare loro, perché ignorano il vero dramma di cui sono protagonisti.
Come egli stesso aveva annunziato nella predicazione evangelica, perdonando ai nemici rivela di essere Figlio dell’Altissimo (Lc 6,35; cf. Mt 5, 44-45). Nel momento estremo della morte, Gesù è pienamente il Figlio - cf. il vocativo «Padre» - che imita fino alla fine il mistero della sua bontà. È questa la parola essenziale in cui si dischiude, nella Croce, il mistero trinitario.
Riconoscendo l’ignoranza dei suoi avversari, Gesù vive fino alla piena consumazione il suo voler far loro del «bene», come aveva insegnato ai suoi discepoli (Lc 6,27- 36; cf. Mt 5,38-48). Pietro, negli Atti degli Apostoli, seguirà il suo esempio: «Fratelli, io so che avete agito per ignoranza, così come i vostri capi» (At 3,17); lo stesso farà Paolo: «Gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi non l’hanno riconosciuto» (13,27). Pregando per i suoi carnefici, Gesù vive in prima persona la consegna che aveva dato ai suoi: «Pregate per coloro che vi fanno del male» (Lc 6,28; cf. Mt 5,44). Anche in questo, il suo esempio resta normativo; Luca narrerà la morte di Stefano come imitazione piena di quella di Gesù (At 7,60).
Poco dopo è la fine. Luca non coglie sulle labbra di Gesù il grido riportato da Mt (26,46) e da Mc (15,34): «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (cf. inoltre Mt 27,50: Mc 15,37). Egli registra solo parole ispirate dalla confidenza filiale: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46), completando con l’appellativo che scaturisce dalla sua divina figliolanza il testo stesso della Scrittura (Sal 31 [301,6). Anche nell’ultimo istante della sua vita, Gesù esprime fiduciosamente il suo abbandono al Padre.
Di nuovo Luca, descrivendo la morte di Stefano, attesterà la sua fedeltà all’imitazione di Cristo fino alla morte (Lc 7,59: «Signore Gesù, accogli il mio spirito»), suggerendo come i discepoli debbano affrontare questo momento decisivo: nella preghiera.
La preghiera di Gesù, in definitiva, così come la presenta il terzo evangelista, è una vera e propria catechesi. Descrivendo il Maestro in situazioni perfettamente analoghe a quelle che i discepoli avrebbero dovuto attraversare, Luca mostra che Gesù per primo le ha affrontate nella preghiera: cioè nell’abbandono amante, attraverso lo Spirito, alla adorabile volontà del Padre.
Figlio del Padre
Concludendo, possiamo sintetizzare sottolineando che quando Luca descrive Gesù in preghiera, il fascino misterioso che emana dal Figlio apre davanti ai nostri occhi uno scorcio profondo sulla intimità indicibile della vita intratrinitaria. Ma la descrizione non è fine a se stessa, e nemmeno rivela intenzioni teologiche o didascaliche: intende piuttosto invitare tutti e ciascuno a seguire un’attrazione che contagia, nella sequela del Santo. Non sembra che l’intento dell’evangelista sia, prima di tutto, proclamare o testimoniare la sua natura di Figlio Unico di Dio, quanto piuttosto di trasmettere la potenza misteriosa che emana da Colui che avanti a Dio si pone, nello Spirito, come il Figlio davanti al Padre.
La preghiera appare allora come il luogo privilegiato in cui Gesù vive il mistero della sua persona e della sua missione, in una ineffabile totalità di affidamento, divina / umile dipendenza e intimità di comunione: ma questo mistero si apre a noi soprattutto per invitarci a penetrare in esso e a parteciparvi, con l’attonita, umile e grata meraviglia di essere figli nel Figlio, colmati dello Spirito, viventi per grazia della vita del Padre.
Gesù, maestro di preghiera per i cristiani
Potremmo chiederci, da ultimo, perché Luca stabilisce non solo un legame tra l’esempio che offre la vita di Gesù e le testimonianze della Chiesa primitiva, ma un coinvolgimento dei discepoli nell’esperienza stessa di Cristo. La domanda non è fuor di luogo, come illustra il tema lucano dell’effusione dello Spirito. La descrizione stessa della preghiera come relazione filiale di Gesù con il Padre, esempio dato ai cristiani, introduce nella comunione trinitaria. Questo rapporto, che emerge con una costanza, potremmo dire, sistematica, illumina fondamentalmente la concezione inscindibile che Luca, nel dittico che costituisce la sua opera, ha di Gesù e della Chiesa.