Al centro del Natale d’oriente c’è Lei, la Vergine Maria, semidistesa su un ricco tappeto rosso, rivolta con sguardo intenso verso chi prega davanti all’immagine. Il suo volo è insieme sereno, assorto e forse un po’ triste. La Madonna rappresenta non solo se stessa, ma la Sposa e la Madre, cioè quell’umanità amata, perduta e infine trovata e fatta sposa, e Madre del Figlio. Sul suo volto assorto e compunto è già annunciato delicatamente l’esito finale della croce. Sorprende che Ella non guardi al Figlio, che anzi è posto alle sue spalle. E Lei sembra voler rappresentare e svelare non solo la persona di questo Bambino, ma anche il grande segreto della sua opera di salvezza.
Il piccolo è deposto in una piccola grotta scura, premonizione di un’altra, quella del suo sepolcro! A conferma di ciò, le fasce che coprono e stringono il Bambino: sono le stesse fasce di Lazzaro e sono quelle che Pietro e il discepolo amato vedranno nel sepolcro vuoto la mattina di Pasqua. Dunque in quel piccolo appena nato è già manifestato tutto il cammino che compirà in mezzo a noi. Natale è “verso” la Pasqua. L’incarnazione del Verbo annuncia già il sacrificio della croce.
Un vecchio davanti a Giuseppe
La Madre genera il Figlio, ma Lei stessa, nuova umanità, è da Lui generata, nuova Eva tratta dal sonno della morte d’amore del nuovo Adamo. Le profezie si sono compiute e un uomo che guarda verso l’alto e sta vicino a una piccola pianta dice che dall’albero di Iesse è nato il virgulto che è “Attesa delle genti”.
La nota più drammatica, e forse quella di più problematica interpretazione, è quella manifestata da Giuseppe. Un vecchio curvo gli sta davanti: chi è? Forse è figura del maligno che tiene il giusto d’Israele nel persistente dubbio sul mistero di questo Figlio, di cui l’Angelo del mite sogno gli ha svelato la paternità.
Analogamente, fede e dubbio sono inevitabile intreccio nella vita del credente; nella revisione che i vescovi italiani hanno portato a termine per la Bibbia, si corregge la traduzione della conclusione del vangelo secondo Matteo, dove attualmente si legge che gli apostoli adorarono il Risorto, “ma alcuni dubitarono”, e si propone più correttamente che “adorarono e dubitarono”! Il dubbio non è proprio del non credente, ma giogo e passione di chi osa dirsi credente.
La figura del bimbo accudito dopo la nascita è tributo della devozione cristiana alle memorie di testi apocrifi. L’icona non rappresenta le figure, ma il Mistero che le avvolge e che esse esprimono. L’icona non è solo visibilità: è anche preghiera.
(da Italia Caritas)