La fede e il tempio
di Giovanni Vannucci
Il testo evangelico di Lc 17, 11-19 riprende il tema del rapporto tra il contenuto e la forma della religiosità; tra lo spirito e le prescrizioni liturgiche; tra Cristo, Tempio non costruito da mano d’uomo, e il tempio, struttura e costruzione dell’uomo.
L’azione si svolge tra Cristo e il sacerdozio ufficiale del tempio ebraico; i dieci lebbrosi in cammino tra questi due poli sono la figura di noi uomini. Guariti da Cristo, ricevono l’ordine di presentarsi al sacerdozio ufficiale per le purificazioni e il riconoscimento della guarigione. Nove, dimenticando l’autore della guarigione, si perdono nel tempio e nel suo cerimoniale. Uno solo ritorna a Cristo: il Samaritano, l’eretico che non si trovava a suo agio nel tempio di Gerusalemme, ma il cui cuore sensibile e grato lo riconduce a Cristo, a Colui che salva mediante la fede in lui riposta. «E Gesù gli disse: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”» (Lc 17, 19).
Noi cristiani, chiamati a edificare il Tempio dello Spirito, mai dobbiamo perder di vista l’estrema delicatezza del nostro servizio religioso. Le strutture comunitarie, rituali, ecclesiali, che danno forma e visibilità alla edificazione del Tempio dello Spirito, nascono da Cristo, dalla sua opera salvifica, e devono condurre a Cristo, alla sua Verità e Santità.
Cristo è la Verità: da lui l’uomo è liberato dalla lebbra dell’errore, del falso, dell’egocentrismo, del volere negativo, e, attraverso le strutture che traducono nel tempo l’anelito cristiano alla pienezza della Verità, l’uomo deve essere aiutato a raggiungere la Verità sempre più vasta, più illimitata, più liberatrice.
Cristo è la Verità che ci fa liberi; le forme che essa assume nel mondo dei fenomeni devono essere cosi sature dell’ansia liberatrice di Cristo da aiutare l’uomo a passare di liberazione in liberazione, fino a riposare in quella libertà dove il cuore non ha più timore, la coscienza non sperimenta più oppressioni e la mente esulta per aver trovato la terra che la placa nella luce gioiosa di tutto il vero.
Com’è espressivo l’episodio evangelico dei dieci lebbrosi! Cristo, rimanendo fuori del tempio, costruito da mano d’uomo, guarisce l’uomo affetto dalla lebbra, lo invia nel tempio e lo attende fuori del tempio. Ritorna a Cristo colui che accetta il rito in virtù della parola di Cristo, e nell’ambito del tempio sente allargarsi il cuore per la riconoscenza e l’amore verso Colui che l’ha risanato, e per questo riceve la grande parola: «Torna nella vita; la tua fede ti ha dato la salvezza!» (Lc 17, 19).
Le strutture visibili della Realtà cristiana non sono un fine, ma un mezzo, la forma che nasce da Cristo e che a lui conduce. Il Sacramento, la Dottrina, la struttura temporale dell’Ecclesia cristiana nascono da Cristo, e a lui devono ricondurre l’uomo, arricchito di gratitudine e di amore.
L’uomo, elevato dalla nuova vita, trasmessagli da Cristo e dal Sacramento, ritorna nell’esistenza dei mondi irredenti per disseminarvi la luce e la vita di quella fede che lo ha salvato e che è germe di Redenzione per tutti. La fede ha la sua manifestazione umana nel cuore redento in un amore nuovo e in una gratitudine nuova.
Giovanni Vannucci, «La fede e il tempio» in La vita senza fine, Sotto il Monte (BG) ed. CENS, Milano 1985, (28a del tempo ordinario - Anno C), pp. 203-204.