LA VITA (1)
Ildegarda nacque nel 1098 a Bermersheim presso Alzy, nell’Assia renana. Era l’ultima dei dieci figli. Ci sono tramandati i nomi di tre fratelli: Drutwin è menzionato come testimone nel 1127 in un documento del monastero di Spanheim, dopo suo padre, Hildebert di Vermersheim (= Bermersheim); Ugo, che aveva l’ufficio di cantore del duomo nella cattedrale di Magonza, ricorre come testimone in tre documenti di Rupertsberg; Rorich, canonico di Tholey (Saar), figura nel più antico elenco dei defunti del monastero di Rupertsberg. Delle quattro sorelle, Irmengarda, Odilia, Jutta e Clementia, l’ultima apparteneva alla comunità femminile del monastero di Rupertsberg. Quattro dei dieci figli del nobile Hildebert e della moglie Mechthild scelsero dunque la vita religiosa ed ecclesiastica.
Poiché i genitori si resero conto ben presto che la loro ultima figliola era particolarmente dotata, nel 1106, all’età di otto anni. l’affidarono alla maestra Jutta di Spanheim, perché ne curasse la formazione. La clausura di Jutta. una fondazione di suo padre (il conte Stefano di Spanheim), era costruita presso il monastero maschile di Disibodenberg, situato in una zona meravigliosa, alla confluenza dei fiumi Glan e Nahe. Nei decenni successivi la clausura di Jutta si sviluppò, grazie alle numerose vocazioni. fino a diventare un monastero.
In età più matura Ildegarda, che era entrata nella clausura come allieva convittrice, scelse liberamente la vita monastica secondo la regola di san Benedetto, e tra il 1112 e il 1115 ricevette il velo dal vescovo Ottone di Bamberga, che rappresentava l’arcivescovo Adalberto di Magonza.
La più antica Vita di Ildegarda. il cui primo libro fu composto nel 1173/74 dal monaco di Disibodenberg,. Gottfried, secondo segretario di Ildegarda, informa:
Dopo aver emesso i voti religiosi e aver ricevuto il velo consacrato, fece grandi progressi e salì di virtù in virtù. La sua venerata madre Jutta vedeva tutto questo con riconoscenza e gioia e si rendeva conto con grande stupore del come la scolara fosse diventata maestra e una battistrada lungo l’elevato sentiero (della virtù)... Ma come il vaso del vasaio si prova nel crogiuolo, così la virtù arriva alla perfezione nel dolore. Quasi fin dall’infanzia ella aveva dovuto soffrire dolorose malattie, tanto che solo di rado era in grado di camminare. E poiché il suo corpo era sottoposto a continui alti e bassi, la sua vita assomigliava piuttosto all’immagine di una morte preziosa. (2)
Ildegarda “soffriva” per le sue “visioni”. Un giorno:
mentre giaceva afflitta da una penosa malattia, manifestò per la prima volta a un monaco, che s’era scelto come maestro (Volmar), e mediante questi al suo abate (Kuno), con timore e umiltà, il motivo della sua sofferenza. Questi esaminò l’evento straordinario. E poiché riconosceva che nulla è impossibile a Dio, chiamò i più avveduti del monastero ed espose loro quanto aveva sentito, perché esprirnessero un giudizio. Chiese informazioni a Ildegarda sui suoi scritti e le sue visioni e le consigliò di rendere noto quanto Dio le ispirava. Non appena ella cominciò a scrivere, le forze del corpo tornarono in lei e si alzò di nuovo dal suo giaciglio. Allora l’abate fu convinto dell’evento insolito. Ma poiché non gli bastava il suo giudizio proprio, sentì l’obbligo di proporre la cosa ad altre persone. Si recò alla chiesa madre di Magonza e informò di quanto aveva udito l’arcivescovo Enrico e il capitolo della cattedrale. (3)
Né l’abate Kuno di Disibodenberg, né l’arcivescovo Enrico I di Magonza poterono dare ad Ildegarda la sicurezza tanto desiderata. Nella vita di Ildegarda, che dopo la morte della sua maestra Jutta (1136) era stata eletta badessa, nell’anno 1148 doveva verificarsi una svolta decisiva.
In questo periodo papa Eugenio di beata memoria convocò un sinodo generale della chiesa a Treviri... (4) Il vescovo di Magonza e l’alta gerarchia ecclesiastica ritennero bene di sottoporre la faccenda di Ildegarda al papa, per venire a sapere, mediante la sua autorità, che cosa dovevano ritenere come valido e che cosa dovevano rifiutare.Allora egli inviò il vescovo di Verdun e altri uomini adatti al monastero, dove la vergine era vissuta per così lunghi anni come monaca di clausura (5) e comandò loro…, di indagare sui fenomeni che si verificavano in lei..... Ildegarda li informò con molta semplicità. Quelli tornarono dal papa, e davanti a tutti i convocati in ansiosa attesa, diedero notizia di quanto erano riusciti ad appurare personalmente. Ed enunciando la risposta degli uomini che aveva mandato ad esaminare la cosa, invitò tutti a lodare il Creatore e a rallegrarsi. Anche l’abate Bernardo di beata memoria era presente. Egli prese la parola e con l’approvazione di tutti sollecitò il papa a non tollerare che una tale luce luminosa venisse coperta dal silenzio… Il papa mandò alla santa vergine uno scritto, nel quale nel nome di Cristo e di san Pietro le comunicò il permesso di rendere noto tutto ciò di cui fosse venuta a conoscenza nello Spirito santo, ela incoraggiò a scrivere. (7)
Gli scritti di cui papa Eugenio aveva fatto leggere brani davanti ai vescovi, ai cardinali e agli abati riuniti, erano parte della prima grande opera di Ildegarda sulle visioni: Scivias («Conosci le vie»). Per dieci anni ella aveva lavorato con grande fatica a questo libro, che aveva incominciato a stendere nel 1141. Insieme al Liber vitae meritorum (che H. Schipperges traduce: «L’uomo di fronte alla sua responsabilità») e al Liber divinorum operum, o De operatione Dei (che H. Schipperges traduce: «Il mondo e l’uomo»), lo Scivias costituisce il corpus delle visioni ildegardiane.
Ma non ci si può immaginare Ildegarda come una visionaria fuori dal mondo. Come badessa di Rupertsberg, ella fondò nel 1165 un secondo monastero sopra Rudesheim, nel villaggio di Eibingen. Questo monastero di Eibingen fu incorporato dallo stato nel 1802 e un po’ alla volta cadde in rovina. Dal 1900 al 1904 a monte di Eibingen fu costruita l’abbazia di Santa Ildegarda, nella quale le benedettine oggi coltivano l’eredità spirituale della loro fondatrice e badessa. La Vita di Ildegarda allude a difficoltà che alcune figlie, restie al sacrificio, procurarono alla loro badessa. Queste monache non volevano addossarsi le rinunce richieste loro. Le loro reazioni di scontento le indussero infine a lasciare il monastero per tornare nel mondo, il che causò un grande dolore a Ildegarda.
Nella sua comunità Ildegarda raccoglieva esperienze dolorose insieme ad esperienze gioiose. V’erano fra loro caratteri contrapposti e quindi anche contrasti. Tali esperienze fanno da sfondo al secondo scritto sulle visioni, menzionato sopra, il Liber vitae meritorum,, al quale ella lavorò dal 1158 al 1163.
Il suo terzo libro, il Liber divinorurn operum, mostra quanto Ildegarda fosse figlia della terra renana, con le sue verdi colline, i contadini laboriosi, il fiume vitale, che lega il nord al sud. In quest’opera monumentale Ildegarda vede in dieci visioni il cosmo e l’uomo nei suoi rapporti reciproci e l’universo nel suo legame inscindibile con il Dio tripersonale e creatore.
Ildegarda divenne una donna saggia, piena di Dio, a cui si recavano persone da ogni partein cerca di consiglio su ogni possibile problema. Grazie al suo legame con la natura - certamente reso più intenso dalla grazia delle visioni interiori - scrisse libri di farmacologia e medicina, che fanno di lei una delle prime praticanti della scienza medica.
Non furono solo difficoltà interne al monastero a far soffrire il cuore di Ildegarda. L’imperatore Federico I nel 1159, nominando un antipapa, aveva provocato uno scisma nella chiesa. Nel 1163 Ildegarda gli chiese un documento di protezione per il monastero di Rupertsberg. Lei era ancora neutrale nei suoi confronti. Ma già nel 1164, dopo la nomina del secondo antipapa, Pasquale III, e la cacciata di Corrado di Wittelsbach dalla sua sede arcivescovile di Magonza, Ildegarda in uno scritto al sovrano prese posizione contro di lui e lo ammonì dal comportarsi in modo stolto e malvagio. Dopo l’insediamento del terzo «papa imperiale», Callisto III, nel 1168, Ildegarda scrisse al sovrano una lettera aspra e tagliente:
Parla colui che è: Io distruggo l’indocilità, e l’opposizione di coloro che mi oppongono resistenza stritolo di persona. Guai, guai a questa condotta cattiva dei malvagi, che mi disprezzano. Ascolta, o re, se vuoi vivere, altrimenti la mia spada ti trafiggerà. (8)
Solo una persona chiamata da Dio, solo la «prophetissa teutonica», poteva osare rivolgere al più elevato sovrano di questo mondo tali tremende parole di rimprovero.
Nel quadro di questa donna straordinaria non possono essere trascurate le sue qualità musicali.
Ancora oggi le melodie che Ildegarda ha composto sui suoi testi mostrano una forza peculiare. Nel suo Singspiel, ad esempio ci troviamo di fronte a testi e melodie, riguardo ai quali la veggente dice trattarsi di una «sinfonia che riproduce l’armonia delle rivelazioni celesti». (9) Ildegarda fa propri elementi della musica gregoriana, ma ne infrange i limiti. La straordinaria estensione della tonalità può superare le due ottave. L’abate Dr. Urbanus Bomm di Maria Laach scrive a questo proposito: «Ciò che santa Ildegarda ha saputo cantare dell’anima resta unico. Per ricantarlo ci vuole una cantante di grande voce e con un cuore non meno magnanimo». (10)
Il carisma della visione mistica e della missione profetica. della mistica del servizio emerge in tutta la sua grandezza, e nell’impegno interiore che esso comporta, nell’ultimo anno di vita della badessa di Rupertsberg, in occasione del conflitto tra la curia di Magonza e Ildegarda stessa.
LE OPERE
a) È fondamentale per gli scritti ulteriori di Ildegarda la sua prima grande opera. Scivias. Il libro consta di tre parti e intende mostrare la via della redenzione lungo la quale la «luce viva» raggiunge l’uomo.
b) Tra gli altri libri di visioni, il Liber vitae meritorum è costituito da riflessioni generali sulla vita. Vengono proposti a coppie trantacinque contrasti tra il bene e il male, la virtù e il vizio. nei quali si rispecchiano la mentalità e il comportamento dell’uomo. Essi delineano l’immagine dell’uomo di oggi, come quella dell’uomo del passato.
Il suo terzo scritto, con dieci visioni, il Liber divinorum operurn. nasce dalla meditazione del prologo giovanneo. Ildegarda esperimenta - e questa sua esperienza diventa come sempre in lei, visione e audizione di Dio – l’unità della rivelazione biblica con la rivelazione di Dio mediante la creazione del mondo.
c) Sono importanti, e quanto mai significativi per l’orizzonte della badessa, i suoi scritti sulla scienza della natura (Physica) e sulla scienza medica (Causae et curae), valutabili scientificamente e utilizzabili in pratica soltanto dopo la pubblicazione dell’edizione critica. (11) A ciò s’aggiungono lavori su altri argomenti.
d) Di importanza eccezionale è la sua corrispondenza. Ci sono state tramandate più di 300 lettere, indirizzate a personalità dell’intero occidente, a papi, imperatori e re, vescovi, abati e badesse, sacerdoti e monaci, e anche a laici (ad saeculares homines).
Non si tratta soltanto di parole di esortazione e d’incoraggiamento, ma in gran parte di scritti su visioni, nei quali Ildegarda parla alla persona in questione come una profetessa incaricata da Dio. Non di rado queste lettere sono, nella forma e nel contenuto, un riflesso della sua missione. Di particolare importanza è la corrispondenza con papa Eugenio III, al quale si sentiva legata in modo speciale, dopo il sinodo di Treviri.
e) Gli scritti poetici e musicali di Ildegarda - ammesso che si possa fare una tale divisione specifica, in opere sostenute da capo a fondo da un afflato musicale e poetico - sono disponibili in una edizione eccellente. (12) Un disco (13) permette anche a un profano l’accesso alla sua musicalità.Nella lettera ai prelati di Magonza, già menzionata, Ildegarda scrive: «L’anima racchiude una sinfonia ed è essa stessa una grande sinfonia». (14) I suoi 77 inni («Lieder») sono definiti da lei una «sinfonia sull’armonia delle rivelazioni divine». (15) Con antifone, responsori e inni ella dà espressione esplicita al canto di lode che sente emergere dalla creazione di Dio e lo combina con le melodie della rivelazione. In tal modo fornisce alle sue monache e ai monasteri amici le forme musicali adatte per l’esaltazione solenne di Dio.
LA SPIRITUALITA’
Come nel caso di altri autori del tempo prima della Riforma. così anche per Ildegarda di Bingen può indurre in errore identificare semplicemente la sua esperienza di Dio e la sua visione di Dio con ciò che noi oggi chiamiamo «mistica».Quanto esprime il termine odierno «mistica» si trova in Ildegarda in grande abbondanza. Ma in lei si colloca in un contesto più ampio, più vivo. Per questo sarebbe meglio parlare di «spiritualità».
La comprensione della spiritualità di Ildegarda comporta per l’uomo moderno difficoltà non irrilevanti, ma offre anche grandi vantaggi. La santa vive ancora nel mondo antico, che sta per finire; in termini cristiani, nel mondo antico dei padri della chiesa che sta volgendo al termine. Ella è senz’altro la più significativa delle scrittrici medievali. Ildegarda fa dunque esperienza di un mondo che lascia trasparire il divino. A quel tempo il contatto dell’uomo con la natura e i suoi simili non comportava ancora una chiusura, in senso secolarizzante, nei confronti del mondo di Dio.
Per chiunque - cristiano o non cristiano che fosse - il mondo esterno e il proprio mondo interiore erano aperti alla trascendenza.
In queste pagine ci viene offerta l’occasione di incontrarci con la «profetessa tedesca». Ildegarda può introdurci nel cammino autentico e genuino di una spiritualità che prende sul serio Dio e l’esperienza di Dio - come mostra sotto molti aspetti la sua vita -, senza rinunciare alla responsabilità per il mondo, ma assumendosi tale responsabilità in maniera ancor più consapevole e cristiana.
1. La visione mistica di Ildegarda
Il suo primo libro di visioni, Scivias, inizia con una «praetestificatio» una premessa, che Ildegarda ha scritto una volta terminato e che ha posto al suo inizio:
Ed ecco! Nell’anno quarantatreesimo della mia vita, vidi una visione celeste. Con tremore e con grande timore il mio spirito si protese verso di essa. Vidi un grande splendore. Una voce risuonò e mi disse: «O fragile creatura, polvere da polvere, di’ e scrivi quello che vedi e senti! Ma poiché sei timida nel parlare. inadatta a spiegare e incapace di descrivere quanto vedi. dillo e scrivilo non secondo il linguaggio degli uomini, non secondo la conoscenza umana, né secondo la volontà umana, ma per il dono che ti viene concesso nelle visioni celesti, così come tu vedi e senti nelle mirabili cose operate da Dio»... Nel mio intimo sperimentai la forza e il mistero di visioni nascoste, mirabili, e questo a partire dal mio quinto anno di vita, e le esperimento tuttora. Ma non ne informai alcuna persona umana, ad eccezione di pochi che vivevano come me nella condizione della vita religiosa. Coprii tutto col silenzio, fino al tempo in cui Dio, mediante la sua grazia, lo volle rivelare. Le visioni che vedo non le ricevo in condizioni di sogno. né nel sonno, né quando il mio spirito è turbato, né con gli occhi del corpo o le orecchie dell’uomo esteriore, e non in luoghi determinati, ma così come Dio vuole. Per l’uomo rivestito di carne è difficile comprendere come ciò accada...". (16)
L’uomo moderno, anche quello che si occupa dell’odierna letteratura mistica e di queste esperienze, è colpito dall’unità che emerge qui tra l’immediatezza di Dio, che arriva spesso a fare pressione sul mistico perché stenda per iscritto la sua esperienza, e la chiarezza del tutto consapevole con la quale Ildegarda riconosce, vede, ascolta e coinvolge anche la sua segretaria.
Risulta evidente che Dio parla «bocca a bocca» alla profetessa Ildegarda, come un tempo parlò a Mosè (Chr. Meier, secondo Es 4.12ss). E finché il lettore moderno non si sarà lasciato afferrare dalla forza immediata di questa testimonianza, sarà inutile fare distinzioni psicologiche o demitizzanti. Il racconto di Ildegarda non proviene da tempi leggendari primordiali, ma è comprovato da molti testimoni del suo ambiente, e soprattutto è sigillato dalla sua forza effettiva, dalla sua avvedutezza e dalla sua esperienza.
Le visioni e audizioni di Ildegarda avvengono in sintonia con scritti biblici, come mostra in modo particolare il Libro delle opere di Dio.
Vidi una visione misteriosa mirabile, che mi sconvolse nel più profondo e spense le sensazioni del mio corpo. La mia coscienza fu mutata in modo tale che non riconoscevo più me stessa. E come lieve pioggia stillavano gocce dall’alito di Dio nella conoscenza della mia anima, così come lo Spirito santo ha riempito l’evangelista Giovanni, quando questi sul petto di Gesù ricevette la rivelazione profonda, per cui il suo spirito fu talmente toccato dalla santa Divinità che egli rivelò i misteri e le opere nascoste, e disse: «In principio era il Verbo» (Gv 1) ecc.
Espresso con parole della teologia cristiana, qui si afferma: Dio, il Principio eterno, esprime da sempre la propria essenza nella sua Parola eterna. In questa Parola egli creò il mondo; e questa Parola divenne uomo, come annunciano le sacre Scritture, ispirate dallo Spirito santo. In ogni vera esperienza di Dio dunque c’è unità tra la conoscenza di Dio nella parola della Scrittura, la conoscenza di Dio nell’opera mirabile della creazione e la conoscenza di Dio quale si esprime da sempre nella Parola. E questa unità è in realtà una unità più compatta e profonda di tutto ciò che lo spirito umano possa costruire, sognare o presagire sotto il profilo dell’unità. E’ l’unità ultima, vissuta trinitariamente, della realtà globale.
Quello che sul piano dogmatico si esprime balbettando, lldegarda lo ha esperimentato. La sua opera, la sua vita, la sua persona costituiscono un’unica testimonianza di questa verità.
Nell’autunno del 1178 incontriamo a Rupertsberg un monaco di una personalità singolare: Wibert, l’ultimo segretario della veggente, nato il 1124/1125 a Gembloux, presso Namur. Nella scuola della famosissima abbazia locale aveva goduto di una formazione eccellente. Qui era diventato monaco e aveva sentito parlare di Ildegarda. Ci volle un po’ di tempo prima che, dietro sua insistenza, Ildegarda si decidesse a informarlo sulle proprie visioni. Wibert quindi - dopo qualche tergiversazione - ricevette dal suo abate il permesso di fungere da segretario a Ildegarda per un po’ di tempo. Morì a Rupertsberg come un santo.
In una lettera Ildegarda risponde a domande sulle modalità delle sue visioni. E’ questo uno dei documenti più preziosi e maturi scritti dalla veggente di Rupertsberg:
…Di ciò che vedo non posso essere a conoscenza piena, finché sono schiava del corpo e dell’anima invisibile... Sin dall’infanzia, quando le mie membra, i miei nervi, le mie arterie non erano ancora irrobustiti, godo del dono di questa visione nella mia anima, fino ad ora, all’età di oltre settant’anni. E la mia anima per volontà di Dio sale in questa visione fino alle altezze del firmamento... Vedo però queste cose non con gli occhi esterni e non le ascolto con le orecchie esteriori, e non le colgo con i pensieri del mio cuore, né con una qualche mediazione dei miei cinque sensi. Piuttosto, le vedo unicamente nella mia anima, con gli occhi del corpo ben aperti, per cui non subisco mai la perdita di coscienza dell’estasi, ma guardo ben sveglia, di giorno e di notte.
La luce che contemplo non è legata a uno spazio. E molto, molto più splendente di una nube compenetrata dal sole.
In questo discorso sulla doppia luce si è sedimentata l’esperienza fondamentale della mistica cristiana, sotto tre aspetti. Anzitutto, all’uomo che si volge e dedica a Dio può essere fatto dono di una chiarezza che per lui significa dilatazione mistica. In Ildegarda si trattava della visione in profondità nella realtà della creazione. In secondo luogo, questa luce, che Ildegarda chiama «ombra della luce vivente», è esperimentata come un riflettersi di Dio nel cuore dell’uomo. In terzo luogo, questo riflettersi è valido soltanto quando l’uomo lo riconosce come tale, come riverbero, e al contempo considera se stesso «simile a un nulla» e «si protende verso il Dio vivente».
2. L’unità della visione di Dio e del mondo
Con chiarezza e trasparenza insolite - anche all’interno della mistica cristiana - Ildegarda vede (e sente), in questa luce, la verità.
1) Ildegarda ha impresso alla sua prima opera, Scivias, un ritmo ternario: Padre, Figlio, Spirito. Ma in ciascuna di queste tre parti trova espressione continua il riferimento a Dio nella sua vita trinitaria. Dio è al di là della creazione, come suo principio, e allo stesso tempo con la sua potenza compenetra l’intera realtà creata.
Il secondo libro di Scivias descrive anzitutto, con immagini di grande effetto, la creazione e la caduta, per illustrare quindi l’intera opera della redenzione a mezzo del Figlio incarnato. Dalla visione che segue, la visione della Trinità, nella quale la veggente tratteggia con diverse immagini il mistero del Dio uno e trino, prendiamo un brano. Nel leggerlo è importante non scomporre le espressioni. quasi si trattasse di metafore allegoriche, in immagini da un lato e nella realtà significata dall’altro, nel senso di: Dio è come….
L’autonomia con la quale Ildegarda si palesa creatrice di simbolipuò valere come un indizio del fatto che questa «immagine» non è oggetto di riflessione, bensì di «visione». Per dirla in termini moderni: abbiamo qui, davanti a noi, un’esperienza autenticamente mistica.
Anche la fiamma ha, in un unico ardore, tre forze. Così è il Dio in tre persone:
La fiamma brucia con luce splendente,
con soffio purpureo,
con ardore infuocato.
Nella luce splendente considera il Padre.
nel soffio purpureo riconosci il Figlio,nell’ardore infuocato contempla lo Spirito santo.
Là dove non c’è luce splendente, né soffio purpureo, né ardore infuocato, non c’é neanche fiamma. Come in un’unica fiamma possono essere viste queste tre forze, così le tre Persone nell’unità della Divinità". (17)
2) Solo sullo sfondo di questa prospettiva simbolica complessiva diventa comprensibile la visione di Ildegarda del mondo visibile. C’è un brano della prima visione della terza opera principale, il Libro delle opere di Dio (o L’Uomo e il mondo), che mostra in quale misura, nei suoi scritti di scienze naturali e cosmologici, la trasparenza della realtà creata sostenga tutte le considerazioni sul Dio uno e trino. Ildegarda vede una figura di bellezza mirabile. È Dio, il Vivente primordiale, da cui procede ogni essere e vita, e che allo stesso tempo vive in sé eternamente, tripersonalmente, in un assoluto distacco dal mondo:
E la figura parlò: lo, la Potenza altissima infuocata, accendo tutte le scintille di vita. Nulla di mortale sprizza da me. Io decido l’essere. Con le mie ali abbraccio l’orbe terrestre, che io ho ordinato come si deve nella mia sapienza. Io, la vita infuocata della Divinità, scintillo sopra la pienezza dei campi, sfavillo nelle acque, brucio nel sole, nella luna e nelle stelle. E col soffio del vento - come con la vita invisibile, che tutto contiene -suscito tutto a vita rigogliosa. L’aria vibra tra il verde e i fiori. Le acque fluiscono, come se fossero viventi. E anche il sole vive nella sua luce... Io, la forza infuocata, riposo nascosto in tutto questo. Tutti bruciano attraverso di me, come il soffio. o l’anima, vivifica costantemente l’uomo e lo muove, e come la fiamma s’agita nel fuoco. Tutti vivono secondo la loro natura. Nulla che sia morte si troverà in essi. Poiché io sono la vita. (18)
3) Al Dio creatore trascendente tutte le creature debbono l’essere e la vita. L’uomo, il centro della creazione, che come microcosmo contiene in sé gli elementi del macrocosmo, ha il compito di elevare l’intera creazione al ringraziamento e alla lode di Dio, e di collaborare così alla sua opera.
Partendo da questa visione fondamentale, Ildegarda nel secondo del tre grandi scritti di visioni, il Liber vitae rneritorum, o L’uomo nella sua responsabilità, sviluppa una specie di etica. Ma il termine moderno non s’adatta in alcun modo. Vengono presentate, a coppie, 35 contrapposizioni di bene e male, di virtù e vizio. Dal come sono composte queste coppie (qui, sorprendentemente, ma significativamente soltanto le forme dei vizi vengono descritte nella loro esteriorità) si riconosce che le asserzioni di Ildegarda non fanno che sviluppare visioni da lei avute.
Grazie alla forza della sua visione unitaria essa diventa “prophetissa teutonica”, che spazia con lo sguardo sul dramma della storia dell’umanità, fino alla battaglia finale e alla vittoria definitiva di Dio sul male. Nella tredicesima e ultima visione del terzo libro di Scivias, Ildegarda vede, al di là di tutte le battaglie, la gloria celeste. È caratteristico che la sua «visione» qui diventi «audizione». Ella percepisce il suono imponente degli inni del cielo, al di là di ogni capacità umana di comprensione.
Col coraggio di un Giovanni Battista, Ildegarda, nel suo impegno per gli uomini, prende posizione chiara, spesso profetica sulle questioni di attualità e sui problemi angustianti. Così, dopo il suo viaggio di predicazione del 1162 a Colonia, a Werden e forse fino a Lüttich, scrive al decano capitolare Filippo e al clero di Colonia:
Chi era e chi è e chi verrà parla ai pastori della chiesa… Figli diletti, che guidate il mio gregge secondo la direttiva esplicita della parola del Signore: Perché non vi vergognate, mentre tutte le altre creature non trascurano, bensì adempiono tutti i precetti che hanno ricevuto dal loro Padrone? Vi ho posto come il sole e gli altri astri, perché illuminiate gli uomini col fuoco della dottrina… Invece le vostre lingue reagiscono mute al risuono “sonoro della voce di Dio… Siete notte, che espira tenebra, e un popolo che non lavora e che per pigrizia non cammina nella luce. Come un viscido serpente si rintana nel suo buco, così vi comportate voi nel puzzo di animali inferiori… Non avete occhi. Le vostre opere non risplendono davanti agli uomini nel fuoco dello Spirito santo, né è vivo davanti a loro il vostro buon esempio… Talvolta siete soldati, talvolta schiavi, talvolta buffoni. Ma, col vostro vuoto rumore, al più spaventate qualche uccello… Dovete essere una colonna di fuoco, dovete camminare davanti agli uomini, invitarli a fare opere buone, e dire: Datevi alla penitenza, affinché il Signore non s’adiri e voi non andiate in rovina, lontani dal giusto cammino (Sal 2,12).
La lettera termina in tono alquanto rassegnato:
Io povera donna timorosa, sono stata sospinta per due anni a parlare personalmente davanti a maestri, dottori, e ad altre persone istruite, in molti luoghi dove abitano. Ma poiché la chiesa era divisa, ho rinunciato a predicare. (19)
4) Non ci si deve stancare di sottolineare l’unità della visione ildegardiana. Non è una unità che assorbe ogni singolarità, come in alcune esperienze non cristiane, ma è una unità che, a motivo della vita divina trinitaria, fa emergere creativamente ricchezza, pienezza, individualità, personalità. Allo stesso tempo questa armonia unitaria è raccolta nella parola di Dio fatta uomo, che costituisce il punto focale della mistica veggente.
3. La mistica dei sensi spirituali
La visione di Ildegarda ha, sul piano oggettivo, il suo punto focale in Gesù Cristo, la colonna vivente, che sostiene la creazione. Per questo motivo anche il punto focale soggettivo nell’esperienza di Ildegarda non può essere un’esperienza spirituale al di là della realtà corporea. Non può essere la «scintilla animae», che da alcuni mistici viene situata in un centro dell’anima, libera dal corpo. L’esperienza di Ildegarda ha radici profonde. Essa si radica là dove l’uomo - come realtà corporea - è originariamente se stesso e là da dove egli si sviluppa nella molteplicità dell’esistenza concreta. Quando Ildegarda sostiene di non aver fatto esperienza con i sensi del corpo, ciò non significa in alcun modo che è uscita dallo spazio simbolico della pienezza di significato, bensì che infrange tale spazio e lo riconduce nella pienezza di Dio.
I cardini del mondo con fuoco, nubi e acqua, per collegare in tal modo come arterie tutti i confini della terra. Le pietre ho impregnato di fuoco e di acqua come ossa, e la terra ho rafforzato con umidità e verzure, come segno dell’organismo vivente. (20)
L’INFLUSSO
Ildegarda non ha creato la sua opera grandiosa da sola. Ella fece uso della comunicazione, dello scambio, soprattutto della collaborazione di donne e uomini amici. Suor Richardis di Stade l’aiutò come segretaria nella composizione di Scivias. Soprattutto, il suo magister Volmar, un ex insegnante, monaco di Disibodenbergb e preposto del monastero di Rupertsberg, le fu al fianco come segretario intelligente e fedele, dal 1141 fino alla morte (1173). Più tardi, dal 1177 in poi ella trovò aiuto in Wibert di Gembloux. (21)
Oggi Ildegarda di Bingen è nota soprattutto grazie alle illustrazioni fatte della sua opera. I suoi scritti così ricchi di immagini, costituiti sostanzialmente da rappresentazioni visive, offrirono uno stimolo naturale per tali rappresentazioni. Due delle tre opere visionarie, Scivias e il Libro delle opere di Dio, furono di fatto, riportate, più o meno presto dopo la loro stesura, in manoscritti corredati di immagini. Il manoscritto di Scivias, composto a Rupertsberg sotto gli occhi stessi di Ildegarda, è scomparsa dal 1945. Ma ne esiste un facsimile in dimensioni originali, quanto mai prezioso, che è stato stilato negli anni dal 1927 al 1933 dalle benedettine dell’abbazia di santa Ildegarda in Eibingen. (22)
Tenuta presente l’ampiezza ed estensione dell’opera di Ildegarda, è comprensibile, ma quanto mai deplorevole, che il suo influsso storico sia stato di dimensioni ridotte e che quello che le è caratteristico sia stato proposto in maniera alterata. Gli estratti delle più importanti visioni della veggente, che Gebeno, priore dell’abbazia cistercense di Eberbach ha composto nel 1220, determinarono per lungo tempo l’immagine di Ildegarda. Qui Ildegarda è una futurologa che prevede le cinque ultime epoche del mondo (perciò il libro viene detto anche Penta-Chronon), e la prima epoca dovrebbe già essere iniziata con l’anno 1100. Il noto maestro Enrico Heynbuch di Langenstein, ad esempio, nel 1383 prese le previsioni ed esortazioni della mirabile sibilla tedesca Ildegarda e le interpretò in riferimento allo scisma del suo tempo. La Cronaca del mondo di Hartmann Schedel assegna ad Ildegarda un posto importante. L’abate Johannes Trithemius (1462-1516), amatore delle arti magiche, apprezza Ildegarda. Nel periodo della Riforma, in Andreas Osiander o Flacio Illirico e altri. Ildegarda diventa una testimone contro la chiesa cattolica. Ma i Bollandisti D. Papebroch e G. Henschen già nel 1600 la restituirono alla verità storica. Naturalmente, ci sono state anche voci che hanno parlato della santa come di una «grande isterica». (23)
Una conoscenza autentica della santa poté iniziare soltanto con la pubblicazione del Migne (1852), e con le integrazioni di J.-B. Pitra (1882). anche se prima s’erano avute edizioni di opere singole. come Scivias. ad opera di Lefèvre nel 1513.
Ora abbiamo a disposizione l’edizione critica di Scivias e buone traduzioni. I 77 Inni e l’Ordo virtutum hanno avuto anch’essi un’edizione critica e sono stati tradotti. La celebrazione dell’ottavo centenario dalla morte, nel 1979, fu accompagnata da alcune pubblicazioni importanti. L’interesse per Ildegarda di Bingen. cresciuto notevolmente negli ultimi decenni, sia nell’indagine critica che nella conoscenza popolare. risulta dai due volumi della bibliografia di Ildegarda pubblicati da Werner Lauter. (24)
Per gli uomini d’oggi che, come gli uomini di tutti i tempi. vivono nella tentazione, nella lotta e sotto costanti minacce, Ildegarda può essere un modello nel suo rapporto con Dio e con gli uomini. L’atteggiamento fondamentale di questa donna, insieme umile e coraggiosa. è la costanza e la fedeltà nella sequela di Cristo. La sua visione delle verità create e incerate, la sua mistica, non ha ancora goduto di quella rilevanza che le spetterebbe nel dialogo odierno su Dio e sull’esperienza di Dio.
1) Cf. Leben (“La vita”) nella “nota bibliografica”
2) PI. 197. 93 C-94 A: trad. Leben, 54s
3) PL 197,94A-C; Leben, 56
4) 30.11.1147 fino al febbraio del 1148.
5) Nel 1147/48 Ildegarda viveva ancora a Disibodenberg
6) Parti della sua prima opera Scivias
7) PL 197,94C-95C; Leben, 56-58. Lo scritto del papa ad Ildegarda non ci è stato tramandato.
8) Briefw 86
9) Cf. M.I. RITSCHER, Zur Musik der heiligen Hildegard von Bingen. in Leben und Werk, 189-210
10) Sull’edizione critica dei Lieder (Inni) di Ildegarda. 1969
11) Cf. M. SCHRADER A.FÜHRKÖTTER, Die Echtheit des Schriftums der H. Hildegard von Bingen, Köln/Graz 1956, 201.
12) Lieder
13) Psal 242/040 479 PET
14) Cf. Nota 12.
15) Cf. RITSCHER, Zur Musik ... pp. 191s.
16) Scivias 3s; Wisse die Wege 89.
17) Scivias 128s; Wisse die Wege 158
18) PL 197, 743 B-D. Nell’ambito di questo saggio non è possibile affrontare gli scritti di carattere naturale e medico di Ildegarda, che si basano su osservazioni ed esperienze del tempo.
19) BRIEFW. 169-172.
20) PL 197,244; HILDEGARD VON Bingen, Mystische Texte der Gotteserfahrung, a cura di Heinrich Schipperges, Olten 1978, p. 191.
21) Cf. Introduzione a Lebn, pp. 11-49.
22) CL CHR. MEIER, Zum Verhältnis von Text und Illustration im überliefertes Werk Hildegard von Bingen in Leben und Werk, pp. 159-169.
23) F. JÜRGENSMEIR, St. Hildegard “prophetissa teutonica”, in Leben und Werk, pp. 273-293 (che cita 273 voci vecchie e nuove).
24) Cf. W. LAUTER, Hildegard bibliographie, 2 voll. Alzey 1970, 1983.