Alia mondo eblas
di Marcelo Barros
Significa “un altro mondo è possibile” in esperanto. Questa lingua ausiliaria internazionale si presenta come un fattore che può facilitare una comunicazione meno “mercantilizzata” e come fondamento di uguaglianza tra i popoli
Nel giugno scorso si è ricordato il 30° anniversario del massacro di Soweto. Nel 1976 studenti neri della nota township di Johannesburg scesero nelle strade per protestare contro l’apartheid. Quella manifestazione di migliaia di giovani fu dispersa dalle forze dell’ordine, intervenute con tale brutalità da causare uno dei più sanguinosi massacri di civili del secolo scorso. Quel dramma e quella vergogna del Sudafrica razzista sarebbero poi stati divulgati, con forza ed emozione, in tutto il mondo dal film Cry Freedom (“Grido di libertà” - 1987), di Richard Attemborough. Indimenticabile la straziante sequenza finale, che rievoca il massacro.
È importante notare che una delle principali ragioni che spinsero quegli studenti a invadere le vie della township fu l’imposizione dell’afrikaans come lingua obbligatoria nelle scuole. Gli oppressori - di ogni tempo e di ogni sorta - sanno bene che il miglior modo per garantirsi il controllo socio-economico di un paese è quello d’imporre la propria cultura e la propria lingua ai popoli soggiogati che lo abitano.
In questi mesi sono in programma molti incontri e seminari - a livello locale, nazionale e regionale - in vista del Forum sociale mondiale che si terrà in Kenya, nel gennaio 2007. Ebbene, in molti di questi colloqui e convegni appare la presenza di un gruppo di studio il cui scopo è quello di affrontare la sfida di una “lingua comune” che possa essere fattore d’integrazione dei popoli, e non d’imposizione di una cultura sull’altra.
Nel corso della storia, un popolo forte ha sempre imposto la sua lingua a quello più debole. Il greco, esportato da Alessandro Magno fino all’Estremo Oriente, portò alla nascita dell’ellenismo. Più tardi, durante l’era romana, il latino divenne la lingua parlata da coloro che non desideravano essere considerati barbari. Fino alla fine del 18° secolo, in Brasile si parlava la cosiddetta lingua geral (tupiguarani); poi il portoghese fu imposto come unica lingua consentita nel paese. La stessa cosa avvenne nell’America spagnola, dove l’imposizione della lingua europea portò alla sparizione di migliaia di lingue, impoverendo, così, il mondo intero. Una sorte più o meno uguale è toccata a popoli regionali europei: catalani, galiziani, baschi, fiamminghi, irlandesi…..
Gli “imperi” odierni non possono più impedire alle persone di parlare la propria lingua natia, ma non desistono dal voler imporre all’intera umanità l’inglese come lingua delle assemblee internazionali e delle comunicazioni.
L’esperanto è una lingua ausiliaria internazionale che venne sviluppata tra il 1872 ed il 1887 dall’oculista Ludwik Lejzer Zamenhof a Varsavia. Da subito, cerca di proporsi al mondo intero come lingua comune a tutti i popoli, senza appartenere a nessuno di essi. Agli inizi, l’iniziativa sembra più uno sfizio di alcuni gruppuscoli eccentrici.
Un secolo dopo, però, ed esattamente nel 1985, l’Unesco passa una risoluzione in cui si raccomanda a tutti gli stati membri di sostenere le commemorazioni centenarie della creazione di questo nuovo mezzo di comunicazione e di incentivarne l’apprendimento. Non si tratta di sostituire idiomi locali o nazionali. Al contrario, chi lotta per la giustizia e la pace mira a che ogni popolo torni a valorizzare la propria identità culturale e la propria lingua. Costatando però che in un mondo trasformato in “mercato globale” l’inglese si sta sempre più imponendo come fattore di “macdonaldizzazione” del pianeta, è urgente che la società civile, che mira a un ordine sociale più giusto, diventi sempre più consapevole della necessità di una lingua internazionale che parta dall’uguaglianza di tutti i popoli e sia accessibile e agli eruditi e alle persone appartenenti a culture ancora orali.
La struttura dell’esperanto lo fa collocare nel gruppo delle lingue indoeuropee (in quanto al lessico), ma la sua morfologia; prevalentemente agglutinante, lo porta ai margini di questo gruppo, avvicinandola a lingue come l’ungherese o il giapponese e lo rende veramente “universale”. Coloro che lo parlano sono sparsi in 120 paesi nel mondo, principalmente in Europa e Cina. Oggi i siti in Internet che s’interessano all’esperanto sono moltissimi.
Nell‘Agenda latino-americana 2006, l’esperantista cileno José Antonio Vergara scrive: «Nel processo di costituzione della società civile mondiale come soggetto della costituzione di un ordine planetario più giusto e solidale ed ecologicamente responsabile, l’esperanto si presenta come un fattore che può facilitare una comunicazione meno “mercantilizzata” e come fondamento di uguaglianza tra i popoli. Nei suoi 120 anni di vita, il movimento esperantista ha accumulato una ricca esperienza, facilitando contatti e interscambi culturali, senza soggiogare le persone che parlano altre lingue, in quanto è sempre stato particolarmente legato ai movimenti d’emancipazione, quali quello pacifista, e alle diverse correnti del movimento operaio».
(da Nigrizia, settembre 2006)