Alla nascita del Figlio di Dio deve ritornare sempre il nostro pensiero, per poter comprendere tutta la grandezza di verità umana e divina che ci viene comunicata in questo mistero.
Nel corso del tempo i grandi fatti della rivelazione vengono come ad annebbiarsi, a oscurarsi, e nasce da questo la sapiente direttiva della Chiesa di far ricorrere queste solennità lungo l’anno liturgico, di abolire la consunzione del tempo e la distanza dello spazio per metterci davanti agli eventi come si sono compiuti, in modo che il nostro spirito possa rinnovarsi, possa attingere da queste celebrazioni tutte le verità che ci aiutano ad andare avanti nella nostra fedeltà a Cristo, a Dio, all’uomo.
La liturgia del Natale rinnova una profonda sapienza con un grande apparato di immagini meravigliose. La prima immagine è quella dell’oscurità, della notte intensa: «Mentre tutto era immerso nel silenzio e la notte aveva raggiunto il suo vertice, la tua Parola eterna discese».
Questo è vero sempre. La nascita del Verbo di Dio non poteva avvenire se non nel profondo silenzio della notte, mentre tutto tace, tutto è avvolto dall’oscurità. Anche in noi il Verbo divino discende quando riusciamo a fare un silenzio totale in noi, a spegnere tutte le luci che vengono dalla terra.
Dobbiamo spegnere tutto: le luci che sono nella nostra mente, le voci che nascono nella nostra zona emotiva e le voci che tengono svegli e all’erta i nostri sensi esterni. Se vogliamo che il Verbo di Dio nasca in noi dobbiamo saper scendere in questo silenzio profondo, in questa oscurità totale.
Anche la nostra mente è una zona esterna alla parte viva del nostro essere, a quella parte che gli uomini e le donne che hanno compiuto un cammino religioso chiamano la punta dello spirito, il vertice dell’anima e, con termini più semplici possiamo chiamarla la parte vera del nostro essere.
Quando la nostra mente tace, in essa comincia a svolgersi il pensiero di Dio. Ed è la parola di Dio che scende. Allora si hanno quelle illuminazioni, quelle conoscenze che non vengono da noi ma da Dio, che si manifesta nel silenzio della nostra mente.
Il Verbo di Dio nasce nella più assoluta dimenticanza: chi lo sapeva, eccetto Maria e Giuseppe e, forse, i Magi che dal lontano oriente si erano mossi? Nessun altro lo sapeva. Eppure quello era il momento centrale di tutta la storia della terra e del cosmo: il divino che assume la materia, la carne umana, per trasformare tutta la realtà pesante della terra nella realtà divina. E questo avviene nel più assoluto silenzio.
Nasce un bambino e tutti i cuori si inteneriscono, e l’impotenza del bambino diventa una forza potente, che attira tutte le cure e le attenzioni attorno alla sua fragilità.
Tale è la realtà di Dio come ci viene rivelata dall’inerme e impotente fanciullo di Betlemme.
La notte di Natale ricorda anche che, se noi vogliamo intraprendere il nostro cammino religioso con autenticità e verità, dobbiamo nascere di nuovo ed essere come il Verbo di Dio che ha preso carne: essere dei fanciulli nuovi, che nascono da una terra incontaminata e senza peccato ed entrano in una casa che non è costruita da mano d’uomo, non illuminata da luci terrene ma da luci celesti, non riscaldata da canti umani ma da canti angelici, verso la quale si indirizzano tutti i cuori puri.
Nuovamente ricreati dalla nascita del Figlio di Dio, potremo riprendere il corso dell’anno liturgico e seguire tutte le tappe e le vicende della vita del Figlio dell’uomo, identificandoci con esse e ricevendo da esse quelle grandi illuminazioni che ci renderanno sempre più aderenti al mistero di vita cristiana che dobbiamo vivere nell’esistenza terrena.
Avremo la croce, ma avremo anche la risurrezione, avremo le notti del Getsemani ma avremo anche l’angelo che ci consola, passeremo delle notti oscure, tribolate, di dura rinuncia ma avremo anche una mano che ci porta oltre gli abissi di dolore e di sofferenza nei quali precipitiamo e ci fa risorgere su sponde più elevate, più nobili e più grandi, più vere.
Giovanni Vannucci
(da Il passo di Dio, Paoline Editoriale Libri 2005)