Vita nello Spirito

Sabato, 02 Settembre 2006 21:15

Perché riviva il Vaticano II (Marcelo Barros)

Vota questo articolo
(0 Voti)

Perché riviva il Vaticano II
di Marcelo Barros

L’8 dicembre 1965, in piazza San Pietro, a Roma, una solenne santa messa celebrata da Papa Paolo VI chiudeva il Concilio Vaticano II. Dopo la celebrazione eucaristica, il pontefice bene­disse la prima pietra di una chiesa romana dedicata a Maria, Madre della Chiesa, che sarebbe servita da memoriale del Concilio. Sempre in quell'occasione, dopo aver in­viato "al mondo" una lunga serie di mes­saggi. il Papa consegnò a mons. Felici il breve con cui chiudeva ufficialmente la grande assise. Nel discorso di chiusura, il Papa affermò: «Il culto di Dio che si è fat­to uomo è andato incontro al culto dell'uomo che si è fatto Dio». Quale perfetta descrizione del mistero del Natale, che si sarebbe celebrato di lì a poche settimane!

Oggi, a 40 anni esatti da quella data, molti cristiani propongono la celebrazio­ne di un nuovo concilio. Essi sono con­vinti che occorra rilanciare l'opera allora iniziata ma - è questa la loro opinione - sfortunatamente interrotta e messa da par­te agli inizi degli anni Settanta. E spiegano: mentre la società civile è alla ricerca di un nuovo mondo possibile, le comunità cristiane hanno il diritto di sperare in una chiesa "sempre rinnovata", capace di essere la profetica anticipazione di una uma­nità più giusta e fraterna.

il deposito della fede e la formulazione in cui esso è espresso. Pertan­to, egli varò il Concilio sulla base di tre grandi intuizioni: apertura al mondo con-temporaneo. vocazione ecumenica e op­zione per i poveri».

In verità, l'invito rivolto alla chiesa di diventate “chiesa dei poveri" fu più volte udito nel corso dei lavori conciliari, ma non li recepito e sviluppato. Sarebbe per lo più servito. alcuni anni dopo. a convin­cere i poveri del Terzo Mondo che la chie­sa non sarebbe mai stata profondamente evangelica, se non avesse accettato la pro­posta formulata nel corso della Seconda Conferenza dei vescovi latino-americani di Medellin (1968): «Che si presenti sempre più nitido il volto di una chiesa au­tenticamente povera, missionaria, pasqua­le, spoglia di potere e coraggiosamente compromessa con la libertà di tutti gli es­seri umani e di tutto intero l'essere umano» (Medellin 5,15a).

Va da sé che questo cammino fu reso possibile dal fatto che il Concilio aveva sottolineato il carattere locale della chie­sa. Si disse che la chiesa locale o partico­lare altro non è che la chiesa universale che si «ha evento In un luogo determinato. Di recente, la Federazione dei vescovi catto­lici dell'Asia, nel 'documento di sintesi preparato in occasione del Sinodo per l'Asia e intitolato Ciò che Lo spirito dice alte chiese, ha affermato: «La comprensione che la chiesa ha di sé stessa è di essere ve­ramente chiesa locale, incarnata in un po­polo, autoctona e inculturata. Essa è il cor­po di Cristo fitto reale e incarnato in un popolo particolare, nel tempo e nello spa­zio». La chiesa universale è più che una somma di chiese: essa è la comunione delle chiese locali.

Organismi ecumenici e comunità ec­clesiali di base sono oggi convinti che è ur­gente iniziare un processo conciliare che ponga la chiesa in costante stato sinodale, cioè di dialogo e di ricerca comune. Quan­do Giovanni XXIII convocò il Concilio Vaticano II, la chiesa cattolica attraversava un periodo di estrema chiusura istitu­zionale e di rigidità dottrinale. Nel frat­tempo, però, a partire dell'inizio del secolo XX, anche se sospettati e messi sotto ac­cusa dalla curia vaticana e dalla maggior parte dei vescovi, erano sorti il movimen­to biblico, il movimento delle comunità di base e altri ancora. Per decenni e superan­do molte difficoltà, questi movimenti, for­mati da laici, sacerdoti e religiosi, avevano aiutato le comunità locali a crescere. Ben­ché quasi relegate nella clandestinità, furono proprio queste nuove realtà ecclesia­li vive a offrire alla chiesa tutta una base teologica e una spiritualità nuove che avrebbero trasformato l'evento Concilio in una vera e propria primavera per tutta la comunità cattolica.

Quella primavera non deve finire. Es­sa va rinnovata. Pertanto, mentre ci ap­prestiamo a celebrare il Natale di Gesù Cristo - il mistero in cui «il culto di Dio che si è si è fitto uomo va incontro al cul­to dell'uomo che si è fitto Dio» - dobbia­mo desiderare ardentemente anche un nuovo natale della chiesa. Pronti anche ad andare «contro corrente" e contro l'oscu­rità della notte. Perché solo così si può ac­celerare il ritorno dell'aurora.

(da Nigrizia, dicembre 2005)

Letto 1361 volte Ultima modifica il Martedì, 16 Gennaio 2007 19:40
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search