Vita nello Spirito

Lunedì, 17 Gennaio 2005 20:54

I dodici gradini dell'umiltà. Il sesto gradino (sr. Francesca osb)

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Il sesto gradino dell'umiltà si ha se il monaco si accontenta di tutto ciò che è più vile e spregevole e in tutto quello che gli viene comandato si considera come  un operaio inetto e indegno (RB 7, 49).

Il sesto gradino


Il sesto gradino dell'umiltà si ha se il monaco si accontenta di tutto ciò che è più vile e spregevole e in tutto quello che gli viene comandato si considera come  un operaio inetto e indegno (RB 7, 49).

Sembra il massimo dell'abbiezione e tutta la nostra sensibilità si ribella a un simile programma. Istintivamente vorremmo avere sempre di più, sempre cose più belle, più di valore, più nuove e originali e ci viene detto di accontentarci di cose vili e spregevoli. Vorremmo tutti, sempre, aver successo, essere stimati, apprezzati, ammirati e ci si richiede di considerarci operai inetti. Come conciliare questo gradino di umiltà con il desiderio insito in noi di bene, di bello, di felicità, anche nel bene, nella virtù, nella vita spirituale?

E non basta: il latino di san Benedetto dice: si contentus sit,  e abitualmente si traduce con “si accontenti”, ma si può anche tradurre, e bene, “sia contento”. Allora ci viene chiesto non solo di accontentarci, di rassegnarci all'abbiezione, al fallimento, ma addirittura di esserne contenti!

Eppure san Benedetto conosce l'uomo, che è lo stesso in ogni tempo e in ogni cultura e sa che porta nel cuore sempre gli stessi sogni di grandezza e di benessere e osa ugualmente proporci un ideale così lontano  e quasi contraddittorio.

Ma contraddittorio non è, se soltanto, senza atteggiamenti masochistici o autodistruttivi, riuscissimo a liberarci da vane aspettative, rivendicazioni, pretese, se sapessimo esser contenti del poco e del piccolo. Nulla potrebbe più turbarci, nessuna preoccupazione verrebbe più a turbare il nostro sonno, non saremmo più indotti a lottare per un primato inesistente e vano, per gareggiare con possibili avversari e competitori.; le perdite non ci angustierebbero più, le sconfitte non potrebbero più deprimerci.

Pensiamo a Diogene contento della sua tazza, anzi del cavo della sua mano; pensiamo, ancor meglio, al nostro Signore Gesù, che da ricco che era si è fatto povero, che si è “svuotato” della sua gloria divina per assumere la forma di servo, in tutto simile alla debolezza degli uomini.

È la via della pace, è la via della gioia, nell'ottica della “perfetta letizia” di san Francesco, nell'ottica delle beatitudini evangeliche. È la via della libertà dei figli di Dio che ripongono in lui tutta la loro speranza, sapendo di non restare delusi.

sr. Francesca osb

 

Letto 2609 volte Ultima modifica il Domenica, 12 Maggio 2019 15:58
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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