Gli scandali nella chiesa con la lente della verità, avendo a cuore le persone e la pastorale, ci interessano. Il prurito del gossip di bassa lega non ci interessa. Al seminario di studio e di riflessione pastorale, organizzato dal Centro di orientamento pastorale (COP), che si è tenuto a Fano dal 29 novembre al 1° dicembre, ci si è interrogati sullo scandalo degli abusi perpetrati negli anni da sacerdoti e religiosi e si è cercato di fare luce per capire, comprendere, accogliere, investire in una nuova progettazione pastorale.
La spinta è arrivata con determinazione e fermezza da papa Benedetto XVI: una conversione a partire dall'interno della chiesa per il male di cui siamo responsabili direttamente e che ha sconvolto la fede della gente.
Tornare a Dio.
I relatori hanno parlato con schiettezza, lungimiranza, verità. Tenendo presente la chiave di lettura pastorale, era chiaro negli organizzatori del seminario l'intento di affrontare l'argomento non come un prolungamento del processo mediatico, ma prendendo in considerazione quei temi e quegli stili nella vita del sacerdote - nella sua formazione in seminario e nella formazione permanente - che permettono di far nascere percorsi di recupero, senza per questo applicare una misericordia che possa confondersi con la giustificazione di quanto accaduto.
«Vogliamo prendere sul serio l'insegnamento di papa Benedetto, della lucidità e della passione pastorale con cui ha dato indicazioni di penitenza e di conversione alla chiesa e al mondo» - ha detto il presidente del COP, il vescovo di Palestrina, Domenico Sigalini -, a proposito del peccato presente nella comunità ecclesiale. «Il compito del COP - ha aggiunto - è il taglio pastorale del problema e, in particolare, scegliamo l'esperienza cristiana della conversione dei soggetti che si sono caricati di colpe e di tutta la comunità cristiana che ne è stata ferita». Al centro della riflessione devono rimanere «la figura del prete, la comunità cristiana e gli itinerari della conversione del popolo di Dio».
Il problema c'è e rimane, ma non possiamo fermarci a questa analisi. Bisogna procedere - come ha affermato in sede di riflessione p. Federico Lombardi (direttore della Sala Stampa della Santa Sede) - «subito, presto e con verità sui fatti».
I lavori sono stati aperti dal presidente emerito del COP, il vescovo Gaetano Bonicelli, il quale ha dichiarato: «Tornare a Dio: questa è la conversione. Per conoscere il peccato era necessario fissare lo sguardo sulla natura quale ci è fatta conoscere dalla rivelazione dell'economia della salvezza: esso è mysterium iniquitatis. Ma in questa economia il peccato non è protagonista né, tanto meno, vincitore. Esso contrasta come antagonista con un altro principio operante, che - usando una bella e suggestiva espressione di san Paolo - possiamo chiamare il mysterium o sacramentum pietatis. Il peccato dell'uomo sarebbe vincente e alla fine distruttivo, il disegno salvifico di Dio rimarrebbe incompiuto o addirittura sconfitto, se questo mysterium pietatis non si fosse inserito nel dinamismo della storia per vincere il peccato dell'uomo».
Nella macelleria mediatica, il tema degli abusi da parte di sacerdoti e consacrati è stato letto e sezionato con i linguaggi di oggi, su fatti accaduti anche a tanti anni di distanza. La parola posta sotto processo è stata il silenzio: perché si è taciuto, perché non è stato denunciato prima?
Cammini di recupero e di misericordia.
Tra chiesa e scandali vi è un rapporto decisivo, come tra vangelo e peccato e vangelo e peccatore.
L'arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci, ha puntualizzato questa duplice reciprocità nei preti, nei consacrati, nei laici, partendo dall'espressione di s. Paolo che parla di un tesoro custodito "in vasi di creta". «La povertà umana - ha detto Cacucci - rappresentata da questa immagine ("vasi") non è solo la fragilità intesa come presenza nell'apostolo di debolezze e peccati, ma è piuttosto la natura povera e umile, e non gloriosa e trionfante, di un uomo che è stato rivestito di così grande missione. Ogni membro della chiesa è destinatario dell'annuncio evangelico e, allo stesso tempo, è annunciatore e testimone delle opere di grazia compiute da Dio».
«Il prete - ha rilevato l'arcivescovo - deve avere la consapevolezza che la sua figura è fondamentale in sede religiosa, educativa e morale. La pedofilia (come peccato) desta maggiore scalpore e indignazione e pone pesanti obiezioni circa la credibilità del suo ministero; è di particolare gravità, data la caratteristica essenzialmente simbolica della sua figura, compromette la credibilità del prete in quanto tale». Per questo motivo, «nella scelta dei candidati al sacerdozio si richiede maggiore discernimento: chi è tormentato da queste inclinazioni vede nel sacramento dell'ordine o nella consacrazione una sorta di magica guarigione…, si vede nel ministero, nel celibato un riparo dalle battaglie contro le perversioni».
In merito al rapporto tra ministri e peccatori, l'arcivescovo di Bari ha evidenziato che «di fatto ogni uomo è esposto alla tentazione e alla possibile caduta nel peccato, ma la condizione stabile di peccatore, intesa come scelta di non seguire Dio, appare nel Nuovo Testamento come radicalmente estranea a quella del ministero. Gli apostoli - ha detto Cacucci -, pur essendo uomini peccatori, fallibili, limitati, esercitano un ministero colmo di grazia».
Ritornando alla matrice del vangelo, ci si è domandati: come interpretare il capitolo 18 di Matteo destinato ai capi della comunità, dove appare il durissimo monito di Gesù riferito agli scandali? «Dietro il peccato vi è l'idolatria - ha concluso Cacucci -. L'inciampo allude a qualunque realtà riferita alla caduta dell'uomo nel suo cammino di fede. Lo scandalo da cui dobbiamo guardarci è quello verso i piccoli, non verso la perdita di immagine della chiesa. Gli operatori di iniquità sono coloro che hanno responsabilità nella chiesa. I cammini di recupero della persona devono poter essere percorsi di misericordia, grazia e santità. Questo cammino coinvolge, però, tutti i sacerdoti che ogni giorno celebrano nell'eucaristia il corpo donato di Gesù e sono chiamati a sostenere con la preghiera i propri fratelli macchiati di scandalo». Questo lo si deve fare nella certezza che «il vangelo è per i peccatori, è annuncio di liberazione e di misericordia» e che Dio offre gli strumenti per passare «dal peccato alla grazia, dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita».
Il discernimento sia a più voci e volti.
Sul versante della formazione in seminario, è intervenuto don Luigi Renna, rettore del Pontificio seminario regionale pugliese. «La comunità d'origine è la prima realtà che accompagna il discernimento: il parroco, il vicario parrocchiale, il responsabile di un movimento ecclesiale, sono coloro che hanno formato, insieme alla famiglia, ad una vita di fede e hanno operato un primo discernimento, aiutandolo, sostenendolo, promuovendolo». Formazione e discernimento camminano di pari passo, ha puntualizzato don Renna.
Ma come si vive l'accompagnamento, cosiddetto in trincea, verso le persone incriminate? A partire dai trentacinque anni di lavoro al fianco di sacerdoti con diverse patologie, ha portato la sua esperienza il diacono Marco Ermes Luparia, presidente dell'Apostolato accademico salvatoriano di Roma. «Nel disagio sacerdotale osserviamo, in modo particolare, il burnout (esaurimento psicofisico totale, quale frutto dello stress), spesse volte non riconosciuto e che non ha nulla a che fare con il peccato, ma che può portare all'abbandono del sacerdozio, convincendo il presbitero di aver sbagliato tutto nella sua vita».
Dal papa chiare indicazioni e un percorso serio.
Padre Lombardi ha presentato le prospettive di Benedetto XVI sul tema della chiesa e degli scandali, a partire dai testi sin ad oggi pubblicati e dagli interventi del pontefice. «Il tema degli abusi è stato posto dal papa - ha affermato p. Lombardi - come uno dei cinque punti di riflessione nell'ultimo concistoro, a significare quanto stia a cuore questo tema al papa e ai suoi collaboratori». «Il papa parla sempre con grande chiarezza della vergogna, del dolore, dell'umiliazione» per quei «peccati che insudiciano il volto della chiesa».
Per il direttore della Sala Stampa vaticana, «la giustizia e il riconoscimento della colpa sono un dovere sia civile che ecclesiale». Inoltre, «bisogna fare più in fretta e di più perché la gravità delle conseguenze nella vita delle persone e la fiducia o meno che circonda la chiesa sono drammatiche». «L'ascolto e l'esercizio dell'ascoltare le vittime e il fatto che vengano fuori tantissimi casi di abusi così lontani nel tempo è il segno che la ferita è stata molto profonda e, se vogliamo prendere sul serio la parola "risanare", non ci possiamo esimere dal faticoso percorso dell'ascoltare e dall'affrontare vicende anche così lontane. Per noi non c'è prescrizione per le ferite dell'anima: dobbiamo essere capaci di ascoltare e di individuare le ferite dello spirito e aiutare».
Per la chiesa si prospetta un compito enorme. «Qui giocano un ruolo cruciale le conferenze episcopali dei singoli paesi - ha evidenziato padre Lombardi -. La conferenza episcopale tedesca, per esempio, è stata la prima ad intervenire in modo deciso e fermo, approvando un documento a fine agosto, quando il problema in terra tedesca era scoppiato a gennaio. In altri paesi si stanno organizzando e la questione non è facile».
Comunità che imparano cammini di conversione.
Don Gianni Colzani, docente di missiologia all'Urbaniana, ha concluso i lavori del seminario del COP a Fano. «La missione appartiene di diritto alla vita della chiesa. È importante comprendere la chiesa entro visioni nuove accogliendo le sfide del tempo presente, sottolineando che il primo annuncio non forma solo colui che l'accoglie, ma anche chi lo proclama».
«Nella prassi missionaria - ha evidenziato Colzani - il punto discusso della conversione è la sua dinamica sostitutiva: essa non è vista come l'impegno di una coscienza che ri-orienta la propria vita, ma come un cambio di religione imposto a delle persone o a un popolo. I teorici post-coloniali mettono sotto accusa la mentalità e le strutture di pensiero che sono in gioco nella comunicazione della fede: vi colgono un'inaccettabile presunzione di superiorità che, palese nel passato coloniale, ha oggi forme più sottili ma non meno devastanti».
«Se applichiamo queste concezioni al nostro mondo italiano, l'interrogativo - ha concluso - riguarda il sapere quanto le comunità siano disposte non solo a insegnare a chi si converte, ma anche a imparare dal loro cammino e dall'opera di Dio in loro».
di Giacomo Ruggeri
Settimana n. 45 anno 2010