Allegato alla Lettera gennaio 2011
“Appunti sul Vaticano II” di Fabrizio Mandreoli. Presentazione di Mario Fini (Ed.San Lorenzo)
Gennaio 1961.
Il papa visita e parla ai suoi collaboratori, principalmente “curiali”. Ma il suo sguardo è rivolto sempre all’intera chiesa. Informazioni su le commissioni preparatorie: statistiche per nazionalità e famiglia religiosa
Dal 5 al 18 gennaio 1961 Papa Giovanni XXIII si reca in visita in uffici e ambienti romani presso i quali erano attivi i principali collaboratori impegnati nella preparazione del Concilio. Comincia dalla Segreteria generale, dove viene accolto da Pericle Felici e da questi subito condotto nella affollata sala dove da oltre un anno e mezzo lavoravano alacremente gli impiegati nella grande impresa, e con essi si rallegra per i volumi di Atti e Documenti ufficiali già prodotti e per i successivi cinque che – come gli annuncia il Segretario – “saranno pronti per la fine di febbraio”.
Nello stesso giorno visita anche la Sacra Congregazione Concistoriale dove, rispondendo agli auguri di poter vedere la felice conclusione del Concilio, confida che nella sua preghiera quotidiana “il Papa non domanda al Signore di poterne vedere la conclusione, ma solo di fare la sua volontà”. Il 7 gennaio, rispondendo all’indirizzo del card. Cicognani che lo ricevette nella visita alla S.C. per la Chiesa Orientale, ricorda con affetto i venti anni passati in Oriente, e il suo amore giovanile per l’enciclica Orientalium dignitas, con cui nel 1894 Leone XIII aprì nuovi orizzonte alla questione orientale e all’ideale unità della Chiesa: quello stesso ideale che “trova ora nuovo alimento nella preparazione del Vaticano II, col quale ogni popolo - assicura il Papa - potrà osservare come siamo uniti in tutte le parti del mondo, per un apostolato di carità e di avvicinamento”. “La preghiera di Cristo alla vigilia della passione ut omnes unum sint, è la nostra aspirazione, il nostro ardente anelito.” Nello stesso giorno, in una sala del medesimo palazzo, incontra il personale del Segretariato per l’Unione dei cristiani, guidati dal cardinale Bea. Il quale di lì a poco si accrediterà agli occhi di un più largo pubblico, come voce cattolica molto significativa, rilasciando una intervista alla Televisione francese, con la quale segna una forte accelerazione del percorso ecumenico finalmente apertosi anche in Vaticano. Sempre in gennaio, il Santo Padre ribadisce ancora l’importanza dei temi ecumenici parlando ai nuovi cardinali: “Il concilio vuole essere un servizio reso alla verità, un atto di carità, un esempio di pace solennemente proclamata a tutti i popoli da questa altissima cattedra, che è il centro dell’unità cattolica, costituito presso le sacre memorie del principe degli Apostoli. L’importanza della cosa importa che le nostre orecchie siano tese anche alla voci che su questo argomento ci giungono da ogni parte: finora – riconosce il Papa - talvolta, anche con molte note discordanti. Ma queste voci, pur commentando variamente l’avvenimento, attestano comunque i comuni sentimenti che accompagnano l’attesa, piena di rispetto da parte di tutti. Possiamo dire al Signore col Salmista ‘Alle mie orecchie farai sentire parole di gaudio e di letizia’ (Ps.50, 10)”
Le Commissioni preparatorie ormai insediatesi, come compito proprio affrontano le tematiche elencate nelle Quaestiones...positae, consegnate loro dal Segretario generale Felici; ma, membri e consultori, di continuo hanno anche occasione di ascoltare (e poi leggere) le parole del papa, che progressivamente trovano un ascolto sempre più attento da parte di quei membri, sia pure meno numerosi rispetto ai “curiali”, che, in quanto non residenti in Roma, purtroppo sono più raramente coinvolti nel lavoro comune. I membri “non romani”, però, erano o vescovi in cura d’anime di città importanti nel mondo; o studiosi di grande livello in università talvolta anche statali; o, infine, membri di ordini religiosi, con forti tradizioni proprie. La pluralità di esperienze che fanno grande la cattolicità, per impulso giovanneo non è stata trascurata e la sua partecipazione, pur minoritaria, è stata sufficiente a caratterizzare in qualche misura il “Cantiere conciliare” e a non escludere del tutto ogni attenzione per diversità culturali e qualità di confronti.
Nelle statistiche riportate dalla Cronaca di Giovanni Caprile (Volume I, Parte II, p. 21 e seguenti), abbiamo le seguenti informazioni su I religiosi e Le nazioni di origine:
Secondo le diverse famiglie di appartenenza, abbiamo un panorama molto vasto: Canonici regolari 6, Benedettini 26, altri Monaci 9, Domenicani 30, Frati minori 23, Conventuali 5, Capuccini 8, Terzo ordine francescano 1, Agostiniani 7, Carmelitani 7, Servi di Maria 2, Gesuiti 53, Congregazioni religiose 58, Società di vita comune senza voti 19, Congregazioni religiose laicali 2, Istituti secolari 3. In tutto, 261 religiosi appartenenti a 59 famiglie diverse. Non sono qui computati cardinali, vescovi e arcivescovi, provenienti da ordini e congregazioni religiose.
Considerando le nazionalità di origine, i continenti sono così rappresentati: Europa 528, Asia 43, Africa 14, America del Nord 70, America centro-sud 48. Venendo ai singoli paesi si hanno: in Europa, Austria 13, Belgio 38, Bulgaria 2, Cecoslovacchia 1, Danimarca 1, Francia 82, Germania 60, Grecia 4, Inghilterra 14, Irlanda 12, Italia 174, Iugoslavia 12, Lituania 1, Lussemburgo 2, Malta 1, Olanda 22, Polonia 13, Portogallo 5, Romania 3, Spagna 45, Svizzera 12, Ungheria 4, URSS 9; in Asia: Ceylon 2, Cina 3, Filippine 4, Giappone 3, Giordania 1, India 11, Indonesia 1, Iraq 3, Libano 10, Siria 4, Vietnam 1; in Africa: Congo ex belga 1, Costa d’Avorio 1, Dahomey 1, Egitto 5, Etiopia 1, Ghana 1, Madagascar 1, Sudafrica 2, Tanganika 1; Nordamerica: Canadà 15, Stati Uniti 55; America centro-sud: Argentina 6, Bolivia 2, Brasile 10, Cile 4, Colombia 6, Cuba 2, Equador 3, Guatemala 1, Honduras 1, Messico 4, Paraguay 1, Perù 2, Salvador 1, San Domingo 2, Uruguay 2, Venezuela 1; Oceania: Australia 7, Nuova Zelanda 2.
Osservando questi dati, è evidente quanto grande sia stato l’impegno a tenere tutti informati dei lavori, quanti i viaggi necessari per essere presenti almeno alle adunanze plenarie delle rispettive commissioni. I residenti a Roma risultano 274 (in Italia, ma fuori Roma solo 58); negli altri paesi d’Europa 201, in Asia 47, in Africa 26, in Nordamerica 52, nel’America centromeridionale 46, in Australia 11. Per quanto riguarda gli uffici occupati e le singole competenze, si tenga conto che nelle diverse Commissioni risultano presenti: 11 rettori di università e atenei ecclesiastici, 146 professori di istituti superiori, 19 generali di famiglie religiose, 35 superiori maggiori, 44 direttori e segretari di opere, 17 rettori di collegi ecclesiastici, 17 direttori di riviste e giornali o redattori, ecc. Tutto questo complesso di uomini, nazioni, uffici, competenze, esperienze, costituisce già da solo una testimonianza dell’impegno suscitato e dell’apertura con cui si lavora nella preparazione del Concilio.
Riportiamo anche un’osservazione interessante formulata in una nota (op.cit. pag 22, nella nota 8):
“Tra tanti gruppi esistono varie differenze. Alcuni, per esempio, pensano solo a difendersi dal comunismo, e vorrebbero orientare in tale senso tutta l’azione del Concilio. Altri, all’opposto, auspicano una coraggiosa purificazione della Chiesa, ed aspirano ad un cristianesimo più genuino e più aperto verso i nostri fratelli separati, anzitutto; ma poi anche verso tutti i credenti di altre religioni e verso tutti gli uomini di buona volontà dovunque essi siano”. E concludeva con un giudizio importante, nell’esperienza successiva risultato fondato: “L’opposizione fra spiriti conservatori e spiriti avanzati è ancor più marcata di quella tra teologi speculativi e gli altri più solleciti dell’efficacia pastorale”
La grande macchina organizzativa del Concilio si sta dunque concretamente avviando, oltre che con un gran lavoro necessario da parte di tanti, con un inevitabile coinvolgimento emotivo. Esso viene controllato variamente (come era certamente opportuno), ma anche trova aperture ed esternazioni che ora è giusto considerare significative della “fatica” complessivamente richiesta dal Concilio. Specialmente quando siano sorprendenti per autorità e tendenze abituali di chi le ha pronunciate, informandoci così di quanto grande sia stato il travaglio delle persone e l’impatto esercitato dal Concilio sui pensieri dei vari protagonisti.
Parlando alla Rado Vaticana in vista dell’Ottava di preghiere per l’unità (già il 16 gennaio 1960), l’arcivescovo di Parigi, card. Maurizio Feltin, aveva affermato:
E’ necessario uno slancio di preghiere e di sacrifici. Preghiamo con fervore per la santificazione di tutti i cristani separati: vivendo della ricchezza che essi hanno conservato della vera Chiesa, potranno riavvicinarsi ad essa e procedere verso l’unità. Che i parroci ricordino a tutti i fedeli le esigenze che comporta per ciascuno di noi questa marcia comune verso l’unità: vivere anche noi nella pienezza di quanto pone a nostra disposizione la vera Chiesa, della quale noi siamo membri”.
Anche una personalità come Montini, prudente per convinzione e diplomatico per formazione, aveva a sua volta illustrato ai milanesi il mistero della Unità e Papato nella Chiesa, e scritto loro con slancio:
Costruire l’unità! Lavorare alla costruzione dell’unità cattolica! Se ciò avvenisse – e perchè non dovrebbe avvenire, quando dappertutto urge il bisogno di unione e pace tra gli uomini? Quando la civiltà temporale stessa aspira all’unificazione del mondo e sembra aprire al Vangelo le sue vie? Quando la Chiesa esorta ogni suo figlio e ci incalza a militare come missionari e come apostoli in seno alla nostra società che va perdendo il senso e il costume cristiano? Quando un Papa, mansueto e sapiente, annuncia la convocazione dell’assise dell’unità, il Concilio Ecumenico, e invita tutti a predisporvi lo spirito, a prepararne con la preghiera e con la carità la felice celebrazione? Perchè non dovrebbe avvenire che, con rinnovata coscienza cattolica, noi tutti ci abilitassimo, in qualche maniera, a costruire l’unità? Se ciò avvenisse, con lieto e santo stupore, ci vedremmo trasformati in costruttori, in operai dell’unità.
L’ecumenismo di Feltin e Montini non ci stupisce. Ma anche l’arcivescovo di Genova, card. Siri,
il 22 gennaio del 1961, nella sua cattedrale, esalta la funzione istituzionale e la concreta missione storica del vigente Papa. Va riconosciuto con quale “obbedienza” il grande conservatore genovese si mantenne fedele a questi assunti, anche quando, più avanti, il Concilio deluse profondamente le sue radicate convinzioni e preferenze! Ma questa esternazione del gennaio ‘61 prova quanto spazio avesse conquistato il pontificato di Roncalli, se agli occhi di Siri il Concilio giovanneo risultava di origine “piiana”, nato da un disegno venuto sì dall’Alto ma senza accompagnarsi con nessun riconoscimento del ruolo avuto nella convocazione del Concilio dallo “sguardo di Giovanni XXIII sulla storia”, ben caratterizzato e a lui specifico...Così parlò Siri:
Quali sono motivi della Festa del Papa? Ricordarsi del Papa, amarlo e pregare per lui. Ecco perchè oggi siamo qui riuniti. Non vi può essere Concilio se non convocato dal Papa, nè altri può esserne presidente se non il Papa, il quale nella sua umiltà, sente il desiderio di consultare i suoi consiglieri, i vescovi, quando si tratta di deliberazioni importanti. Del resto, nella Chiesa, la decisioni più gravi vengono sempre prese “collegialmente”, anche nelle diocesi, anche nei capitoli delle cattedrali. La infallibilità del Papa riguarda l’ufficio, non la persona come tale; esiste quindi un rapporto fra Concilio e Papi, come si può verificare dallo studio della storia dei Concili, dai primi tempi del cristianesimo fino al Concilio Vaticano di papa Pio IX. Ma c’è un rapporto particolare tra papa Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II che si sta preparando: ci sono delle circostanze veramente provvidenziali, nelle quali si sente evidente la mano di Dio che dirige la storia della Chiesa e dell’umanità. Il Nunzio Apostolico a Costantinopoli, l’allora monsignor Angelo Roncalli, veniva per deliberazione personale di Pio XII, senza che nessuno della curia romana ne avesse notizia, trasferito telegraficamente, da Costantinopoli a Parigi, cioè dal centro orientale delle Chiese ortodosse a quel quadrivio occidentale che è la capitale della Francia. Il futuro Papa, già ricco di esperienza del mondo orientale, veniva così a contatto col mondo occidentale. Certo era una grazia particolare di cui veniva investito colui che poi sarebbe diventato il capo supremo della Chiesa cattolica, e la sua ricchezza di intuizione e la sua conoscenza di uomini e cose dovevano ispirargli quel grande avvenimento che, ora, si sta preparando. L’atto straordinario – e possiamo dire inaudito – nelle prassi delle congregazioni romane, compiuto dal suo grande predecessore Pio XII, appare come grande conferma che le ore della storia sono dominate, illuminate e condotte dalla suprema volontà di Dio...(Caprile cit.. Volume I – Parte I, p.35-36)
I cinquant’anni intercorsi dalla convocazione del Vaticano II ci permettono oggi una comprensione storica dell’origine di quell’evento più precisa e più profonda di quella esposta nel gennaio 1961 da Siri: la fede cristiana, che è sua e nostra, ci fa credere che “le ore della storia sono condotte dalla volontà di Dio”, ma percezione e attenzione dei fatti ci fanno risultare la volontà di Roncalli di convocare un Concilio (anzi: addirittura di essere stato eletto papa per poterlo decidere, essendo di fatto l’unico cardinale convinto di questa “necessità”), essere ben più significativa di quanto non sia stata la nomina, operata da Pacelli, di Roncalli nunzio a Parigi: il contesto di questa decisione diplomatica è di per sè interessante, e certo fu influente sugli avvenimenti successivi: ma non è evento così intrinseco come il significato dell’intero pontificato roncalliano nella storia della Chiesa, dei suoi Concili e della centralità conseguita dal Vaticano II. Questo grande evento nasce nel contesto teologico e spirituale della personalità giovannea complessiva, largamente “marginale” nell’apparato ecclesiastico romano, il quale nel suo “stile” dottrinario era tanto diverso da cultura e obiettivi di Papa Giovanni.
La tesi di Siri si configura oggi ingenua e viziata dal suo “conservatorismo” sistemico, e come tale coerentemente “piiano”. Coerente con un disegno misterioso e provvidenziale è, invece, la grande e affettuosa pazienza esercitata da Roncalli nelle sue innumerevoli visite ai collaboratori curiali, mai ripresi o scoraggiati per le loro opinioni o i loro rendimenti qualitativi, ma sempre impegnati dal Papa a lavorare “tra altri e con altri”. Perchè la Chiesa è grande, cattolica, plurale di forme e figure, e i Concili le servono ad orientarne dottrina, disciplina, comunicazione e programmi pastorali, secondo una missione più ampia delle sue pur inevitabili abitudinarietà contingenti e burocratiche.
E’ giusto che ora noi ci avviamo allo studio dei restanti 20 e più mesi dei lavori preparatori con una certa orientata curiosità di verificarne proprio l’equilibrio fortemente peculiare. Ora ci pare di averlo capito meglio, senza scandalo e senza timore, anzi con sorpresa e gioia; esso è stato a lungo segnato dalla maggioranza curiale, insediata come questa era nelle sua “romana” autorità tradizionale; ma fu pure gradualmente e mitemente sfidata – fin dall’inizio, in alcuni eventi e valutazioni della fase preparatoria - da un certo fermento giovanneo e da una ispirazione in partenza del tutto minoritaria, portata però gradualmente in luce dal movimento della storia e dal suo inevitabile ricercare nel messaggio biblico ed evangelico una risorsa inesauribile e rinnovatrice dell’intero fenomeno cristiano.
Si vide una dialettica inattesa fluire tranquilla dalla dolcezza e familiarità portate al vertice della Chiesa da un papa come Roncalli. Vi prese forza un equilibrio singolare, con una sua forma che ancora si proponeva accentuatamente tradizionalista e molto segmentata in un elenco di Commissioni preparatorie, largamente ricalcate dalla cordialità bonaria del Papa sulle congregazioni curiali ordinarie. Vi fu anche il filtro di una Commissione centrale, che però la mitezza del papa lasciò fosse rappresentativa, più che del pensiero e progetto pontifici, di quel dottrinarismo teologizzante, difensivista e giuridico, del quale erano depositari in Roma il Sant’Uffizio e il suo autorevolissimo capo monsignor Ottaviani. Questo equilibrio, prevalente nella fase preparatoria, si rivelerà inadeguato e minoritario solo nel più vasto contesto dell’Assemblea conciliare, dal suo appassionato confrontarsi nel coro di voci, libere e geniali, scopertesi capaci di una interpretazione rinnovatrice della Tradizione cattolica grande, lunga, unitaria ed evolutiva. L’intuizione, spirituale e mitissima di papa Giovanni, alimentata dalla sua umile e costante preghiera, si rivelò più forte nell’Aula conciliare plenaria, decisiva per l’ eredità consegnata a Paolo VI e successori; sintetizzata come fu, già nei nomi ricapitolativi dell’esperienza conciliare, Giovanni e Paolo, I e II; esperienza poi assunta da Benedetto XVI come “bussola” ordinaria e sperimentata realmente insostituibile, per una chiesa ormai mondiale come non era mai esistita neppure nel suo pur grande passato cattolico.
Dicembre 2010 e Gennaio 2011.
La nostra “festa” roncalliana e conciliare continua. Si delineano buoni risultati e si vengono chiarendo orientamenti programmatici ed editoriali relativi al periodo 2011-2015. Molte cose continueranno e qualcuna si aggiungerà.
Il dicembre 2010 è stato per noi un mese denso di “conclusioni” e di “incontri”, resi possibili dal “lungo” biennio trascorso festeggiando Concilio e Roncalli (Settembre 2008 - Dicembre 2010).
Buone notizie provenienti dal settore “editoriale” si sono aggiunte al soddisfacente “camminare mensile” della nostra iniziativa conciliare: nel magazzino del Mulino risultano ancora disponibili solo una ottantina di copie del volume “Il Nostro 58”, primo della serie “Vaticano II in rete” (pubblicato nell’aprile 2010 con una tiratura di circa 1400 copie). Vendite dirette, realizzate tramite Claudiana e promosse anche dai “gruppi locali” attivi nella nostra “festa roncalliana e conciliare”, hanno collocato circa 400 copie, tra Aprile e Dicembre 2010: è una cifra non lontana dai 500-600 “festeggianti” che avevano già ricevuto mensilmente le “lettere” sui loro computer casalinghi. In questo stesso periodo, un numero quasi doppio di libri, nati raccogliendo in volume le e-mail, ha trovato un suo ulteriore pubblico nelle librerie: dai “rifornimenti” richiesti, risultano infatti vendute altre 800 copie; il resto della tiratura iniziale è servito per omaggi ad autorità ecclesiastiche e alla stampa. Ora, la seconda antologia di “lettere mensili” è arrivata nelle librerie con le copie del secondo volume, intitolato “Conservare le tradizioni: poteva bastare?”, sempre coedite da Claudiana e Mulino, allo stesso prezzo e con stesso numero di pagine. Spero che la provata continuità della serie “Vaticano II in rete” (è prevista la pubblicazione di 7 volumi complessivi entro il dicembre 2015), riesca ad ottenere più attenzione nel sistema mediatico rispetto al quale le lettere e-mail sono alquanto atipiche e marginali. Con l’eccezione di Zizola (su “Repubblica”) e di De Giorgi (su “Avvenire”), solo su qualche giornale locale, amici partecipanti alla “festa” hanno potuto dare informazioni intorno al nostro lavoro di carattere “autoformativo”. Il nostro lavoro, però, si svolge disteso su tempi lunghi, e, sia pure a piccoli passi, radicamento ed espansione della nostra iniziativa ci pare siano in corso.
A Parma, il gruppo locale di amici con noi “festeggianti”, molto attivo e promotore di suoi sviluppi autonomi, coinvolgenti quadri significativi dell’intera diocesi, il 14 dicembre 2010, in una serata di gelida temperatura, ha promosso nella bella chiesa di Santa Cristina un incontro vivace che ha visto con noi la partecipazione apprezzatissima della pastora valdese Maria Bonafede, già introduttrice del nostro primo volume e molto amichevole con la nostra iniziativa. Avevamo nelle mani già le primissime copie del secondo volume, che si conclude con una postfazione dedicata ad approfondire intenzioni e modi del nostro ecumenismo, finalmente comune. Ora, dopo il Vaticano II, in tutte le confessioni cristiane, l’ecumenismo si presenta sostenuto dalla consapevolezza della verità del suo bisogno, ormai riconosciuto sostanzialmente condiviso. Per cui, come scriviamo nell’ultima pagina del nostro secondo libro “Vaticano II in rete”, “la riforma di tutti può cominciare ad essere, in ciascuno di noi, oggetto di pensiero, disponibilità e vero desiderio; riforma largamente paritaria dentro un affollamento di diversità ripensate, più sopportabili e meglio sopportate per un amore reciproco accresciuto” .
A Bologna, il 16 dicembre, ospiti di una sala del convento domenicano, come la bella chiesa di Parma raggiunto sotto la neve, un’ottantina di coraggiosi cittadini ha sfidato ghiaccio e cadute, per ascoltare, presieduto da padre Bertuzzi, un confronto tra Ernesto Galli della Loggia e Giancarlo Zizola, intorno al “Nostro 58”, i suoi obiettivi e le sue motivazioni. Zizola ha ripreso e approfondito gli argomenti che i nostri lettori hanno visto già esposti nella “lettera” dello scorso agosto, con i quali lo storico, e giornalista acuto “oservatore dei fenomeni religiosi”, è venuto ad accrescere autorevolezza ed efficacia comunicativa della “festa conciliare e giovannea” da noi promossa tramite le “lettere mensili” e poi consolidata con le antologie coedite da Claudiana e Mulino. Anche Ernesto Galli della Loggia si è fatto conoscere come un interlocutore molto amichevole, interessato e interessante, ma ci ha proposto anche una serie di obiezioni e riserve sulle quali si deve riflettere con attenzione. Per parte mia, tuttavia, mi sono parse – come a non pochi “laici” avviene – troppo centrate sulla “genialità cattolica della istituzione papale”, storicamente indubbia e anche certo sufficientemente fondata nella Scrittura; ma che penso giuridicamente riformabile nei secoli e teologicamente da precisare in forme più agili e discrete. Essa resta fondata sulla specificità “petrina” della sua presentazione evangelica, ma non è necessariamente da plasmare su un modello così fortemente monarchico, come è avvenuto in tempi talvolta creativi talvolta disdicevoli vissuti dagli Stati e già visti con severità nel primo Testamento e lontanissimi dal racconto evangelico e dalla sua preziosa Testimonianza fondativa della statuizione ecclesiale originaria. Oggi, sia esigenze obiettive del dialogo ecumenico, sia opportunità fortissime della globalizzazione in atto nel mondo presente e, ancor più, incombente verso quello futuro, impongono un modello più sinodale, e una chiesa più eucaristica e comunionale. Tutto attorno a noi, e molto anche dentro menti e cuori cristiani, sembra preparare assetti più efficaci e condivisi nella direzione preziosa volta a liberarci dalle illusioni dei “poteri forti”. Da non interiorizzare, perchè stravinti nelle loro motivazioni e apparenze, dalla consapevolezza di quanto siano ad essi superiori tutte le forme di familiarità, sobrietà e piccolezza, con cui meglio avviciniamo le responsabilità inevitabili per ogni verità e giustizia, da vivere e testimoniare personalmente e comunitariamente. Non una monarchia che cerchi di ingigantire eccessivamente l’uomo, è la forma prevalente della genialità cattolica, ma la capacità di rispettare le diversità e comporre la pluralità di condizioni e situazioni. Realmente vincente è l’umiltà delle verità che esistono e durano solo dentro il massimo di ciò che è e si può conoscere come amore,supremo mistero personale. L’unità teologica del Vaticano II, ricevuta e valorizzata, serve a consegnare grandi e pacifici compiti a generazioni di fedeli altrimenti inertie afoni, come vediamo ogni giorno nelle nostre crescenti insufficienze e mistificazioni, delle quali è ben difficile correggerci se non le guardiamo con umiltà, se non le combattiamo con mitezza per tutti, e con severità alquanto maggiore solo per noi.
A Roma, nei giorni, dal 17 pomeriggio al 19 gennaio mattina, ho poi avuto l’occasione di prendere parte con Nicola Apano e Grazia Villa a un convegno del Masci. Il programma era molto nutrito: cinque relazioni, seguite da almeno mezz’ora di discussione e domande; una testimonianza sull’associazione Biblia tra gli scout e nelle scuole pubbliche; due tavole rotonde, almeno tre interventi d’analisi e proposte dei dirigenti associativi circa la situazione nazionale e locale dei circoli Masci; e due messe, vespri e compieta. Forse il tempo per chiacchere personali e confronti di opinioni, sempre utili, è stato un po’ troppo compresso: le tematiche messe a fuoco sono state due, entrambe di notevole spessore: 1) la missione dei laici cristiani nella società e nella chiesa (in termini generali e di principio); 2) far rivivere il Concilio (con attenzione storica e testimonianze personali, giudicato una priorità culturale e pastorale).
La prima tematica è stato trattata da dirigenti del Masci e da personale ecclesiastico, autorevole e opportunamente assai omogeneo. La seconda, collocata nella giornata centrale, è stata svolta da me (significato e indicazioni del “Nostro 58”), e da Zizola (con una nutrita relazione su “Il cambiamento della Chiesa nell’esperienza del Vaticano II. Memoria e progetto”). Per il tempo ristretto disponibile a scambi di opinione (quasi solo ai pasti, in tavole di quattro o sei posti), non saprei dire se il motto “far rivivere il Concilio” sia stato assunto come impegno personale da perseguire anche come obiettivo ecclesiale, e da proporre anche ad altri soci del movimento, dopo questo incontro romano. Molto grati per l’opportunità ricevuta, e interessatissimi allo scambio ben organizzato di indirizzi (una cinquantina di sacerdoti, diaconi e laici di varie regioni), io e Nicola Apano (presente con me a Roma), con cordiale speranza inseriamo nei nostri indirizzari tutti gli amici conosciuti al convegno del Masci, spedendo loro d’ora in poi le nostre “lettere mensili” e le proposte di collaborazione locale ed editoriale che saranno progressivamente messe a fuoco.
Con la lettera “fuori quota mensile” spedita alcune settimane fa agli “amici festeggianti”, dovreste aver già visto tutti, sia pure in abbozzo, il programma quinquennale “gennaio 2011- dicembre 2015” che abbiamo individuato negli ultimi mesi del 2010 e che vi esporremo con maggiore precisione in ulteriori lettere, nonchè negli incontri locali che conto di tenere con buon ritmo nei prossimi mesi.
Molte delle cose che già stiamo facendo da due anni, continueranno. Ma alcune altre si aggiungeranno: speriamo, con l’aiuto di nuovi collaboratori. Ne accenno ora ragioni e modalità d’azione. Un coordinamento operativo verrà formulato più avanti.
Tre cose continueranno, perchè le abbiamo trovate davvero importanti per noi:
- Continueremo a dire qualcosa, mese per mese, di ciò che avveniva all’incirca cinquant’anni fa, nel cantiere, sempre più complesso (e neppure tanto bene coordinato) delle Commissioni preparatorie. In questi racconti saremo brevi e, per quanto ci riuscirà, ordinati ed essenziali, ma pensiamo davvero importante ritrovare il cammino a suo tempo percorso da coloro, circa mille persone, che lavorarono con intensità, per quasi due ulteriori anni, nella dozzina di Commissioni preparatorie poste in vita. Sono i cari protagonisti del grande evento, coloro che, di fatto, si mossero sotto lo sguardo, oltre che dei loro presidenti, membri, consultori e segretari, del pontefice Roncalli e del segretario generale Felici. Ma anche di due leader risultati veramente egemonici in quella stagione della Chiesa: il cardinale Ottaviani, dominus dal Sant’Uffizio alla Commissione teologica; e il cardinale Bea, presidente del Segretariato per l’unità ecumenica, in sintonia profonda col papa, come lui rispettoso di libertà e dignità di persone, popoli e civiltà umane. Gran parte del lavoro preparatorio fu scartato – si sa - dal voto dell’Aula conciliare, ma anche questa decisione fa parte dell’esperienza e della realtà ecclesiale del 21° Concilio della Chiesa cattolica
- Continueremo perciò, con interesse e affetto, a studiare tutti i risultati messi a fuoco nella preparazione conciliare, per il legame che lega ciascuno di essi al progetto, come nacque, come si svolse e come si concluse. Con tutta l’attenzione, il rispetto e l’amicizia cui anche gli erranti hanno diritto e spesso merito per le buone intenzioni, le capacità impegnate e i frammenti di verità difesi. Ma proprio dentro questa dialettica di ricezione vigorosa e di dialettica sanamente ermeneutica (conservare il buono e utile, correggere l’inadeguato e pericoloso), pensiamo di trovare la gloria e la grandezza del Vaticano II. Ciò che vi è avvenuto, sul suo piano teologico e pastorale, presenta una analogia sorprendente con la buona politica: quando anche questa sia giusta, pacifica, eguagliatrice nella distribuzione delle risorse concretamente disponibili. Per questo un avvenimento religioso come il Vaticano II consegna spazi formativi di grande suggestione e importanza ai cristiani, i quali non a caso, oggi, quando siano senza, o con poca ricezione del Concilio, rischiano tanto di essere afoni e confusi nell’esercizio delle loro responsabilità nella storia, grandi settori della vita civile e politica inclusi.
- Per fedeltà attiva al Concilio continueremo anche a dire qualcosa di ciò che vediamo svolgersi nel nostro difficile presente di vita sociale, pubblica, economica, politica, spesso delusivo ma sempre interessante, e correggibile con un mix di passione e razionalità. Purchè non si dimentichi, innanzitutto da parte dei cristiani, quell’unità di verità significative che il Concilio, nel suo tempo, ha individuato realizzando un modo migliore di comunicarle e ricordarcele: verità già ricevute da passati remoti, ma nei secoli spesso fraintese o perdute, talvolta anche contraddette da chi credeva e voleva onorarle. Verità che il Vangelo, le tradizioni, i padri, i dottori, i santi, il magistero, le scuole, le famiglie spirituali e quelle domestiche, balbettano tra noi, o a lungo sanno anche insegnare con chiarezza ed onore, ma sempre con parole che invecchiano e con gli anni mutano un po’ di senso e vanno ritrovate e meglio intese: attingendone il senso e la carità alimentatrice nell’inesauribile vitalità del Vangelo e così mettendo le proprie convinzioni più profonde in opera nella storia.
Ma qualcosa cercheremo di aggiungere al nostro lavoro informativo e comunicativo, nei prossimi cinque anni della nostra “festa”, quale ci auguriamo di riuscire a continuare in onore e memoria personale del Vaticano II. Estendere, in ulteriori forme, l’invito a guardare, tutti e ciascuno, al Concilio come a un’occasione ineguagliabile di reale crescita di vita cristiana personale e collettiva: far di persona qualcosa per conoscerlo e farlo sperimentare anche ad altri, nella sua equilibratissima sintesi di verità feconde, occasione storica, ricca di un’attualità, ecclesiale e storica, che è pericoloso non conoscere o sottovalutare. Misteriose sono, e libere e sorprendenti, le vie dello Spirito, e tali sono, nella fede, quelle indicate dai concili. Ma è difficile negare che sia utile anche quella cosa che, volgarmente, si può chiamare “propaganda”, che in modo sintetico, simpatico e intelleggibile, si può fare anche di persona, per far conoscere più in profondità, ma anche in estensione, a più persone, a persone selezionate con criteri affettuosi, ma non privi di una loro razionalità, la bontà specifica del prodotto conciliare. Il nostro lavoro gratuito testimonia qualcosa in questa direzione, ma per la natura propria degli argomenti in essere forse può divenire utile attrezzarci per far conoscere la quantità (di per sè significativa) di libri e documenti che, convintamente, non solo riferiscono, ma anche studiano e assimilano il Vaticano II e la sua sostanza formativa, attratti dalla sua sapienza orientativa, a preferenza di molte altre cose che sono avvenute e avvengono, in giro per il mondo e spesso più dispersive e di minor valore, anche nell’ambito della chiesa.
Per questo pensiamo ad alcune “rassegne”, anche solo elenchi di titoli o poco più, a prova della vitalità profonda propria dell’evento conciliare. In cinque anni, dieci rassegne che selezionino lavori prodotti intorno al Vaticano II, meritevoli di citazione specifica, da portare all’attenzione delle persone che sono in prima linea nel compito di progredire e far progredire anche altri nella recezione delle verità e conquiste conciliari. Rassegne di questo genere sono, in sè, strumenti banali, ma sono anche testimonianza di un amore fiducioso esistente anche “alla base”, in livelli comuni della esperienza cristiana, come vuole e sa essere per un suo pubblico larghissimo “Radio Maria”, con sue selezioni di argomenti e stili, notevoli, legittime, ma certo integrabili con altre selezioni, in parte diverse e complementari. Se ci riusciremo, cercheremo di produrre 10 di queste “rassegne promozionali” nei nostri 5 anni programmatici (2011-2015) di una “festosità conciliare popolare”. E subito diciamo che cercheremo competenze collaborative tra amici ed estimatori della “festa roncalliana in atto da due anni”: un aiuto, anche piccolo ma concreto, per realizzare questa produzione e per preparare una ragionevole distribuzione, e la minima organizzazione necessaria per riuscire a sostenerne il costo. A beneficio, possiamo dirlo per farci intendere con franchezza nel nostro selezionato fine, innanzitutto dei pastori delle chiese locali italiane (diocesi nella terminologia abituale), e dei loro collaboratori principali, negli uffici e negli organi consultivi (curie e consigli presbiteriali e pastorali). Sono il “ceto” di valore e significato strategico nella promozione della recezione che a me pare si stia preparando a farsi conoscere ed apprezzare in modi coinvolgenti, inattesi a molti, tuttora scettici o ostili. Possono essere in Italia alcune migliaia di persone, o anche alcune decine di migliaia, se divenisse possibile realizzare un’impresa di più ampia proporzione, essendo circa 200 le diocesi e da 50 a 300 i principali collaboratori curiali e pastorali in servizio diocesano dei vescovi italiani: da considerare tutti in prima linea nella necessità di guardare al cinquantenario del Vaticano II con interesse forte e grato. Con fiducia ed amore, si dovrebbe sperare; ma anche con timore e perplessità ammissibili, data la complessità obiettiva e sperimentata delle vicende ermeneutiche avvenute nei decenni che ci separano dagli anni in cui il Vaticano II è stato vissuto e fatto conoscere per la prima volta.
Italia 2011: che cosa deve finire, che cosa può cambiare.
Nel presente del nostro paese, il Concilio è una bussola per gli italiani? Non ci pare proprio. Noi crederemmo utile lo fosse; a questo fine cerchiamo di conoscere personalmente meglio il Vaticano II, e proviamo a farlo conoscere ed amare a un numero più grande di nostri contemporanei: per ora, però, questo è desiderio e convinzione di minoranze. Come vive il nostro paese questo suo difficile presente? Che cosa fare, per uscirne italiani un po’ migliorati, quindi anche cittadini migliori?
Il groviglio del guaio italiano può forse essere indicato brevemente, nel paragrafo finale di questa lettera che apre per noi un tempo di “studio riflessivo”su tante problematiche, incluso il nesso religione-politica, o meglio lealtà cristiana – lealtà democratica, enunciando due dichiarazioni riassuntive di quanto il Vaticano II ci ha indicato con il suo svolgimento storico (tra gennaio 1959 e dicembre 1965), e con l’unità sostanziale dei suoi 16 documenti (4 costituzioni, 9 decreti, 3 dichiarazioni) ai quali va aggiunto il discorso inaugurale importantissimo di papa Giovanni “Gaudet Mater Ecclesia”.
- Quanto alla religione, la rivelazione ricevuta da Bibbia e Vangelo, con la sua suprema parola “ama Dio con tutte le tue forze e il prossimo come te stesso”, soprattutto si propone di essere attraente il tuo spirito e rinnovatrice della tua coscienza. Questa fede, iniziata dai racconti di Abramo, fa che per te il genere umano diventi un orizzonte realmente familiare, la chiesa una comunità di fratelli e le persone della Trinità, gli angeli e i santi le figure modellanti ogni tua ulteriore relazione profana. Non più il diritto, non l’autorità, neppure la teologia, e certo non la paura e le ambizioni mondane, governano la tua fede monoteistica ed ad un tempo trinitaria e cristica; essa viene quotidianamente nutrita dai riti della Chiesa eucaristica e dalle sue esperienze di comunione, pacifiche, misericordiose e sinodali. Unità del genere umano, dignità delle persone, rispetto della coscienza, pace tra i popoli, solidarietà e competenza nei lavori, lealtà nelle relazioni di affetti: sono le conquiste innovatrici, giuste e gentili, del 21° Concilio ecumenico, espressione di una Chiesa finalmente libera dello Stato Pontificio, appartenente a condizioni storiche superate. Oggi la Chiesa cattolica, un po’ più realmente mondiale, è credibile matrice di un universalismo innanzitutto interiore, ma seriamente già proteso verso una pace storica e globale. Non è cambiato nulla della grande rivelazione ebraico-cristiana ricevuta più di 2000 e 3000 anni fa? Se nulla lo è nei suoi principi temporali e logici, molto lo è nella sua comunicazione, se a metà del XX secolo, tanto è stato capito e detto più chiaramente e più generosamente. Da allora si può (o si deve?) essere discepoli e testimoni cristiani che cercano di risultare fecondi nella storia, in obbedienza alla elaborazione teologica e pastorale, comunicata essenziale e suggestiva col Concilio. Qui è esplosa la rinuncia cattolica al primato di pronunciamenti e assetti difensivi, di ogni condanna che pregiudizialmente escluda schiere di nemici: la misericordia, ricevuta e praticata, è la sua legge. Non sempre, neppure ai nostri occhi, è stata così evidente l’originalità incomparabile del Vangelo: nella creazione dei nemici, tra i cristiani, si è non poco sbagliato, omologandosi per secoli a costumi mondani e precristiani. Tertio millennio ineunte è opportuno correggersi in profondità, lasciandoci alle spalle ogni forma di guerra religiosa, di persecuzioni degli erranti, di discriminazione dei dubbiosi.
- Quanto alla politica, con il lavoro, la giustizia, il sapere, la libertà e la legalità programmatica e pacificante i conflitti, si possono soddisfare progressivamente i bisogni degli uomini e imparare a gestire le relazioni di persone e popoli. Anche questo è un comando ricevuto: “crescete e moltiplicatevi sulla terra”. Le civiltà si confrontano con tutte le loro conquiste culturali, nella pace e nel rispetto reciproco delle diversità, ma apprezzando e promuovendo le solidarietà e le esperienze di eguaglianze e di emancipazione. Se questi sono gli sfondi d’informazione e formazione contemporanea almeno per cattolici italiani grati del Concilio, figura e ruolo di Berlusconi, imprenditore italiano più ricco e politico per oltre tre lustri più potente, va valutata con attenzione. Certo è uomo con grandi doti di energia e determinazione, fattori importanti di successo economico e politico: ma per cultura ed etica, i suoi discorsi e le sue imprese lo fanno conoscere più pericoloso e sventurato che ammirevole e positivo. Nella vita pubblica è sostenuto soprattutto da processi di identificazione vissuti da quote notevoli della popolazione italiana che, per ragioni sociali e storiche, hanno condiviso, anche solo passivamente, i suoi limiti strutturali, contribuendo così, lui e loro, ad un grande inganno collettivo che si è potuto insediare su carenze che sono profonde, e non soltanto recenti, nella nostra esperienza storica e civile. E’ certo difficile vedere in Berlusconi un esempio e una testimonianza che dia forza sapiente o attenzione umilmente convinta all’annuncio cristiano. La tesi più modesta che Berlusconi potesse essere un “modernizzatore” della vita pubblica italiana ha invece sedotto non poche persone, anche colte e intelligenti, ma tendenzialmente non equilibrate e non forti sul piano emotivo (Baget Bozzo, Ferrara, anche Sgarbi, sono i primi nomi che vengono in mente, almeno nel loquace universo mediatico). L’unica vera “modernità” di Berlusconi è la droga televisiva e il connesso abbassamento di ogni precisione critica del suo conclamato populismo, a lungo fattore di successi purtroppo ingannevoli, unito a un uso spregiudicato e corruttivo di una grande ricchezza personale. Ma l’insieme del suo popolo e dei suoi fans ha caratteristiche che col tempo preparano, non appena consumata la spinta propulsiva del successo, non un declino, ma un impazzimento delle sue stesse energie personali; troppo il potere acquisito e malamente contrastato, ha allontanato il nostro Presidente del Consiglio da normalità di esperienze e di equilibri relazionali, con rischi gravissimi per le funzioni pubbliche che Berlusconi può continuare ad esercitare anche oltre limiti che, superati, non possono non distruggere la sua rappresentatività politica. La fittizietà del suo profilo complessivo, con la straordinaria facilità a mentire con convinzione e a contraddirsi senza incertezze, le abbiamo conosciute nella sua ascesa; ma ora le vediamo nuocere molto a lui stesso e, anche, ai suoi cari: credo ve ne siano ancora vicino a lui, ma certo non tra le giovani donne che si approfittano delle sue debolezze senili e delle sue ricchezze sovrabbondanti, tanto ammirevoli agli occhi di ragazze belle ma poco dotte e non più virtuose.
Berlusconi ha le ville e mucchi di soldi; ha la compiacenza delle ragazze: perchè deve insistere nel fare sempre peggio il Presidente del Consiglio? E’ una domanda che mi pare sia in formazione tra i suoi collaboratori più politicamente normo-dotati, e anche tra molti dei suoi elettori abbastanza cinici per chiederselo. Non è un pensiero ammirevole, ma concorrerà anch’esso a scrivere l’ultimo paragrafo della sua lunga storia, al di là di apparenze che hanno un termine: storia dolorosa anche per lui e non solo dannosissima al paese . Nel sistema politico-istituzionale italiano, pur molto indebolito e degradato, esistono ancora resistenze che possono, sia pure in grave ritardo, e con molta mediocrità di pensieri e azioni, coalizzare le loro forze per obbligare Berlusconi a far il famoso passo indietro, o anche a raccogliere, con il suo avvenuto isolamento o logoramento di immagine, un numero di parlamentari superiori al suo, almeno in una delle due Camere, che sarebbe per lui sconfitta sufficiente a mutare il suo status e la sua identità.
Finora nessuna delle cose intelligenti e creative che Ferrara non ha mancato di suggerire a Berlusconi è risultato copione che Berlusconi sappia e voglia recitare. Ma equilibri diversi cominciano a delinearsi possibili, anche se finora, nel suo logorato teatro, solo giovani donne belle ma non virtuose hanno parlato di lui con brutalità spietata ma realistica e distruttiva di ogni suo utile mito.
Anche parole severe della Chiesa ci sono state, e qualcosa significano: ma la determinazione con cui Berlusconi di fatto se le è gettate alle spalle, aggredendo Gad Lerner e con vari telemessaggi deliranti, scava sempre più profondo il solco che allontana l’intesa di convenienza che l’autorità ecclesiastica ha così a lungo coltivato su sentieri purtroppo assai lontani dalla linea severa e creativa della fecondità indicata prioritaria muovendo dal patrimonio conciliare. Ma questo resta in campo e può venire ritrovato e, in tempi diversi, anche valorizzato, cambiando non poco efficacia e influenza delle parole e delle scelte compiute abbastanza a lungo da autorità ecclesiastiche viventi con difficoltà un intreccio pesante di transizioni.
Liberati da queste, le farsesche illusioni del tempo berlusconiano italiano dilegueranno, e il nostro paese tornerà ad esercitare meglio le proprie responsabilità civili. Anche la recezione del Concilio vedrà crescere uno spazio di attenzione e, nel corso di anni più seri, si vedrà crescere un impegno diverso di molti nella realtà sociale, consentendoci di conseguire risultati migliori di quelli visti nel tempo dominato da Berlusconi e dalle complicità e debolezze con cui l’abbiamo complessivamente fronteggiato con troppo scarsa e ambigua resistenza, poco guardando la “bussola del Concilio”.
Allegato alla Lettera gennaio 2011
Pima segnalazione di un libro molto importante e per noi utilissimo
Appunti sul Vaticano II di Fabrizio Mandreoli. Presentazione di Mario Fini
(Edizione San Lorenzo)
E’ un bellissimo libro uscito nel dicembre 2010, cioè pochi giorni fa. E’ stato pubblicato a Reggio Emilia, da uno dei gruppi editoriali che lavorano con forte ispirazione ricavata da figura e opera di Giuseppe Dossetti. L’Autore, Fabrizio Mandreoli, è insegnante di teologia sistematica e storia della teologia presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna. Nato nell’agosto del 1972, Mandreoli è stato ordinato nel settembre del 1997, non ha ancora 40 anni ed è una persona che, per ragione dell’età, non ha avuto occasione di contatti personali e formativi, né con gli anni e i protagonisti del Concilio, nè con il Cardinale Lercaro e neppure con Giuseppe Dossetti. Ma, leggendo testi, riflettendo su situazioni, interrogando amici, ha fatto molta strada su conoscenza e valutazione adeguate di queste grandi figure! Anzi, come ogni scoperta personale su pensieri che nel passato hanno prodotto grandi opere, la distanza dal carisma del grande personaggio conferisce qualità e valore obiettivo alle conquiste conoscitive operate da persone di ‘seconda generazione’...
I “festeggianti” hanno già apprezzato una cortese collaborazione di Mandreoli, effettuata, per la “Lettera mensile” del Marzo 2010, nella quale don Fabrizio ci ha parlato del Convegno svoltosi a Milano sul fondamentale libro di John W.O’Malley “Che cosa è successo nel Vaticano II”, da poco pubblicato in Italia, tradotto e presentato da docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Il libro “reggiano” di Don Fabrizio (che ci auguriamo sia comperato e letto dai nostri corrispondenti), si presenta con una introduzione di Don Mario Fini, nato nel 1945 e fortemente segnato dalla grande tradizione lercariana e dossettiana bolognese; non è solo parroco bravissimo, ma anche docente ordinario presso la FTER di Teologia Fondamentale ed Ecclesiologia, più volte eletto nel Consiglio pastorale e nominato in quello Presbiterale, voce bolognese tra le più limpide e costanti della “lezione conciliare”.
Riproduciamo qui parte della presentazione di Mario Fini, e la faremo seguire dall’indice dei quattro saggi che don Fabrizio ha riunito in questo studio interpretativo del Concilio, pubblicando un testo essenziale, chiaro, fiducioso e non privo di una sua sapiente diplomazia. Se l’Autore ci autorizzerà a servircene per un primo esempio di “rassegna”, dalle 327 note che completano le 230 pagine dei saggi, ricaveremo un elenco interessantissimo di libri e articoli (autore, titolo, data) che, partendo dalle meditate informazioni e riflessioni del giovane studioso, sacerdote e cristiano che mette conto conoscere, e sfruttarne intelligenza e scienza, potrebbero venire a costituire una delle bibliografie specifiche su valore e attualità dell’evento conciliare novecentesco da capire e valorizzare “di più” per il bene della Chiesa, e del suo apporto “intrascurabile” per disporre di una comprensione orientante su presente e futuro “nostri.”
Mario Fini inizia la sua introduzione presentandosi con parole che rivendicano con coraggio e convinzione una fedeltà ad una grande stagione della nostra chiesa bolognese, purtroppo!, oggi non del tutto scontata.
“Sono un presbitero della Chiesa di Bologna che ha ricevuto la sua formazione cristiana durante l’episcopato Lercaro e che ha fatto gli studi teologici nei primi anni del post-concilio. Ho potuto ‘respirare’un clima ecclesiale molto vivo e di grande corresponsabilità con solide basi nell’ascolto della Parola di Dio accolta e celebrata nella liturgia eucaristica, meditata personalmente e comunitariamente, vissuta dentro la storia del popolo di Dio in Bologna, nel servizio verso i poveri per un mondo di giustizia e di pace. Ho vissuto all’interno di una Chiesa che, nel periodo del concilio, ha operato un dialogo costante e, nel postconcilio, si adoperò per attuare la riforma della Chiesa voluta dallo stesso concilio. Secondo le parole del card. Lercaro: ‘Al di là dei 17 documenti che costituiranno il corpus del Vaticano II, questo nuovo spirito che aleggiò nell’aula, pur tra umani e necessari contrasti, costituisce una realtà già attuale di fronte alla quale il preciso dovere è quello indicato da Paolo: Spiritum nolite extinguere! Nostro dovere –dovere di noi tutti – è quello, infatti, di accogliere con senso di generosa disponibilità le indicazioni e gli indirizzi che dagli atti e dallo spirito del Concilio vengono a noi’”
Fini continua, chiosando con finezza senso e valore di parole fondamentali nel caratterizzare il lavoro conciliare: aggiornamento e riforma della Chiesa, con le sfumature proprie dei due papi che ebbero il merito di convocarlo e responsabilità e capacità di condurlo a termine.
E cita un altro passo importante di Lercaro, terza grande figura italiana di quella straordinaria stagione sinodale e creativa:
“Alcuni dicono ‘Passerà il polverone del concilio (...) poi ritornerà l’aria limpida’. Altri hanno l’attaccamento all’antico con una posizione conservatrice; altri hanno una posizione innovatrice sia alla lettera che allo spirito del concilio. Tra la posizione conservatrice e quella innovativa –che sono tutte e due sbagliate – direi che è più aderente allo spirito della Chiesa quella innovatrice, perchè, per lo meno, accetta la grande parola del concilio aggiornamento,pur scavalcandolo. L’altra invece nega proprio la parola vera del concilio... La nostra posizione, quella del cattolico equilibrato, è l’adesione e la conoscenza del concilio nella sua lettera e nel suo spirito. Adesione allo spirito del concilo che è spirito di aggiornamento; e alla lettera anche perchè lo spirito lo leggiamo nella lettera”
Sono osservazioni “decisive”, che O’Malley ha sviluppato e approfondito decenni dopo, e che Mandreoli riprende nel più esteso e impegnativo dei suoi quattro “appunti”, chiarendo con finezza il significato del discorso tenuto dal Papa (Ratzinger) nel dicembre del 2005, quello centrato sulla differenza tra “ermeneutica della discontinuità” e “ermeneutica della riforma”. Mandreoli approfondisce la questione, sostenendo che interrogarsi su quale delle due ermeneutiche sia più vera, è una domanda che suppone altre domande, le quali in realtà escludono la “tesi della discontinuità”: se questa fosse radicale, di chiese se ne vedrebbero due, entrambe immobili nella propria diversa identità; tradendo così la nozione di Tradizione, cioè uno dei principi caratterizzanti la Chiesa cattolica e vitale nella sua stessa vita. Ma se la chiesa, dopo il Vaticano II fosse perfettamente identica nella sua forma storica alla chiesa prima del Vaticano II, significherebbe che non è successo niente, e anche questo è un non senso. La domanda di fondo è quale sia la “qualità del rapporto tra la Chiesa e la tradizione: cioè quale sia il tasso di creatività sopportabile dalla tradizione, senza che intervenga una rottura ma, appunto, si compia una riforma. Per questo il dibattito indicato dal papa nel 2005, è vitale, più teologicamente e pastoralmente che storicamente: qual’è la figura di chiesa intesa dal Concilio? Come muoversi, oggi, per andare in quella direzione: come dice O’Malley, non serve il punto interrogativo, siamo in presenza di una “risposta”, non di una “domanda”.
In che senso il Vaticano II è tuttora una bussola per il discernimento nella chiesa? Con l’ermeneutica della continuità, abbiamo un presupposto molto importante per una riforma della Chiesa. Forse qui si vede un punto nel quale un conservatore rigido come Biffi è obiettivamente lontano da un conservatore, il quale però è realmente impegnato ad essere, spinto dai suoi doveri di stato, un vero e buon Papa, come succede a Benedetto XVI.
Mandreoli, presentando il proprio libro, nelle sua prima riga, cita una frase che si legge nel testamento di Wojtyla: “Il Vaticano II è una bussola per la vita della Chiesa” E continua:
“L’affermazione del precedente Papa, fatta propria dall’attuale, è importante e oggi non pare affatto scontata. Talora dà l’impressione che la portata del Vaticano II sia relativizzata, archiviata, oppure sia affermata nominalmente, ma svuotata nei fatti. Gli studi qui raccolti si interrogano nel senso concreto di tale espressione che si riferisce al concilio come ad un sicuro criterio di discernimento e orientamento. Si tratta di comprendere il modo con cui il riferimento al Vaticano II, ai suoi contenuti e al suo stile, possa nutrire una sapienza che orienti le scelte e ispiri la vita delle nostre Chiese.
Non c’è polemica perchè don Mandreoli sa benissimo che le polemiche, nella situazione di fatto della Chiesa, sono spesso più dannose che utili e, per la propria coscienza, è sempre meglio riuscire a dire una verità senza esternare giudizi ostili contro chi quella verità non l’ha ancora vista o non vuole riconoscerla. L’ipotesi che don Mandreoli sia prudente per opportunismo, si può anche fare in astratto, ma così subito si tratta male la propria coscienza (noi contraddiciamo facilmente il consiglio evangelico: “tu, non giudicare!”...); ma, in concreto, l’ipotesi, maliziosa o addirittura maligna, è cancellata radicalmente dalle parole che subito seguono:
“Malgrado i testi qui raccolti si pongano domande tra loro differenti, sono stati animati da una triplice convinzione. La prima: il Vaticano II è stato un evento di grazia per la vita della Chiesa e per le riforme necessarie alla sua figura storica. La seconda:l’ultimo concilio ha donato una serie di criteri capaci di aiutare i molti discernimenti necessarie e urgenti alla vita della Chiesa oggi. Ogni generazione di credenti deve, infatti, porsi la difficile ed esigente domanda su come essere - a livello personale ed ecclesiale,spirituale e strutturale, teologale e storico – fedeli al vangelo all’interno della propria storia. Storia che non è affatto finita. Come affermò Giovanni XXIII: ‘Non è il vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio’. La terza convinzione sviluppa le due precedenti: l’insegnamento e lo “stile” conciliare sono stati una profonda seminagione in vista di un rinnovamento della vita della Chiesa. Semina che sembra dover dare ancora molti frutti di ringiovanimento e freschezza evangelica per il futuro della Chiesa”
Questa lettera di gennaio 2011, sta diventando davvero troppo lunga, e poi abbiamo molto spazio di tempo davanti a noi. Penso sia utile, per adesso, riportare i titoli dei quattro saggi qui riuniti, e i titoletti dei paragrafi in cui essi si articolano, rinnovando l’invito ad acquistare il libro (prezzo, 20 euro) e leggerlo per intero.
- Il Vaticano II, bussola per la vita della Chiesa (p.27), Una introduzione (29), Continuità o discontinuità? (34), Per una riforma (39), Per una riforma, ma come? (46), Alcuni ‘contenuti’ conciliari (69), Il Vaticano II, bussola per oggi e domani... (96).
- La Nostra Aetate: un rinnovato atteggiamento verso ‘l’altro’ (111), Nostra Aetate (115), La verità che illumina ogni uomo (121), Scrutando il mistero della Chiesa (123), Alcune prospettive odierne (127).
- La ‘riscoperta’ del diaconato al Vaticano II (135), Introduzione (137), Le ‘ragioni’ del ripristino del diaconato nella sua forma permanente (140), Questioni teologiche emergenti (156), Prospettive teologico-pratiche e teologico-spirituali (175).
- La Chiesa, il male e la storia: una riflessione di Giuseppe Dossetti (193), Introduzione (195), La ricerca di una teologia adatta (196), Questioni teologiche e storiche specifiche (207), Conclusione (227).