Sgombriamo subito il tavolo da possibili equivoci: si chiama tassa sulle transazione finanziarie ma, qualora fosse introdotta, ai contribuenti italiani non costerà nemmeno un centesimo di euro. “Parente” stretta della Tobin Tax e ormai sulla bocca degli economisti di tutto il mondo con l’acronimo FTT (dall’inglese Financial Transaction Tax) questo nuovo strumento fiscale è un’imposta molto ridotta (intorno allo 0,05 per cento) da applicare a ogni operazione finanziaria che venga eseguita sul mercato. Un tasso così risibile ha impatti insignificanti sugli investimenti di lungo periodo e sull’economia reale, ma gioca una ruolo fondamentale contro gli speculatori, che realizzano migliaia di operazioni quotidiane per guadagnare su piccole oscillazioni dei prezzi. Visti i volumi mastodontici dei mercati finanziari, oltre a servire come una sorta di deterrente contro la speculazione, la tassa favorirebbe la riscossione di un gettito enorme. Parliamo di centinaia di miliardi di dollari, tanto che in Germania si è calcolato che con un’aliquota intorno allo 0,05 per cento in un anno si risanerebbe metà del bilancio dello Stato, mentre a livello globale con solo lo 0,01 si raggranellerebbero oltre 400 miliardi di euro. Queste preziose risorse addizionali sarebbero fondamentali non solo per rimettere in sesto le finanze dei singoli Paesi, ma anche fornire importanti contributi per la promozione dei beni pubblici globali, la lotta ai cambiamenti climatici e l’incremento della cooperazione internazionale.
In estrema sintesi, la tassa sulle transazioni finanziarie permetterebbe di far pagare buona parte dei costi della crisi a coloro i quali l’hanno provocata, ovvero i grandi attori finanziari, evitando che siano i lavoratori e le fasce più deboli della popolazione a doversi accollare fardelli che non hanno minimamente contribuito a creare.
Non ci si deve meravigliare allora che in molti Paesi, tra cui anche l’Italia, siano nate delle campagne che chiedono a gran voce l’introduzione della tassa. Da noi l’elenco delle realtà promotrici è molto lungo e comprende: Social Watch (che riunisce Mani Tese, Crbm, Ucodep, Fcre, Lunaria, Wwf Italia, Acli, Arci/Arcs), Sbilanciamoci, Sistema Banca Etica, Attac Italia, Fiba Cisl, Cisl, Consorzio Goel, Lega Missionaria studenti, Cvx, Coalizione Italiana contro
Sul sito www.zerozerocinque.it si può aderire a un appello lanciato dalla campagna in vista del prossimo G20 che si terrà a Toronto (Canada) il 26 e 27 giugno prossimi. On line si può chiedere al ministro dell’Economia Giulio Tremonti di condividere la proposta della società civile, ponendo l’Italia in prima fila nella promozione di questo importante mezzo finanziario.
In realtà alcuni esecutivi, in primis quelli di Francia e Germania, oltre al Parlamento europeo e a economisti vincitori del premio Nobel come Joseph Stiglitz e Paul Krugman, si sono già espressi a favore della tassa. Il nostro Paese, invece, ha pensato più a spingere i Global Legal Standard, una ulteriore proposta di regole per la finanza, piuttosto che esplorare i nuovi scenari proposti dalle altre realtà europee. L’appuntamento del G20 canadese, il quarto in due anni che vedrà i grandi della terra, incluse Cina e India, sedere allo stesso tavolo, rappresenta quindi un crocevia importante a livello politico nel contesto della lotta alla crisi e di come la si vuole affrontare. Per capire qual è il quadro su cui si va a operare, val la pena rammentare quanto detto di recente dal direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn: “La spinta per definire nuove regole finanziarie è in calo e così anche il coordinamento globale. La crisi non è stata dimenticata ma lo slancio che ne è derivato sta lentamente diminuendo e questa è la mia principale preoccupazione”. Insomma, non c’è da essere molto ottimisti, almeno volgendo lo sguardo al recente passato. D’altronde il precedente vertice del G20, tenutosi a settembre
Al contrario, soprattutto grazie agli enormi piani di salvataggio e agli interventi dei governi, la finanza - e la speculazione - sono ripartite a pieno ritmo. Le banche d'affari hanno fatto registrare profitti record, il mercato dei derivati non è mai stato così attivo, nulla è cambiato rispetto a prima della crisi. Dall'altra parte, l'economia reale è ferma al palo e la tanto agognata ripresa stenta a farsi vedere. Questo significa che si è nuovamente creato uno scollamento tra le attività finanziarie e l'economia. In altre parole, proprio i soldi pubblici spesi per rimettere in piedi la finanza potrebbero avere creato una nuova bolla speculativa. Servono allora ricette nuove, innovative o quanto meno che lancino un segnale di discontinuità rispetto al passato. Sempre secondo il Fondo monetario, la crisi finora ci è costata circa 13mila miliardi di dollari. È giunto il momento di reperire fondi freschi per tappare questa voragine gigantesca. Prima che sia troppo tardi.
di Andrea Baranes e Luca Manes
Manitese maggio-giugno 2010
Breve storia delle tasse sulle operazioni finanziarie
L'idea di tassare le transazioni finanziarie non è nuova. Già negli anni Trenta del secolo scorso il grande economista inglese John Maynard Keynes avanzò una proposta in tal senso, come mezzo per frenare la speculazione e evitare il ripetersi di crisi come quella tragica del 1929.
Negli anni settanta, il premio Nobel per l'economia James Tobin lanciò la sua idea di una tassa sulle transazioni valutarie, uno strumento per “gettare un granello di sabbia negli ingranaggi della speculazione”. La celebre “Tobin Tax” è stata al centro di numerose campagne di pressione e di informazione.
Mani Tese è stata la prima a parlarne in Italia. In seguito, una campagna guidata dall'associazione Attac, e che ha visto la partecipazione di moltissime realtà della società civile, ha portato nel 2003 alla consegna di oltre 170mila firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare. Questa proposta di legge non è mai stata discussa dal nostro Parlamento.
Negli anni successivi diversi economisti hanno avanzato altre idee per rendere più efficace
La tassa sulle transazioni finanziarie si basa su un principio simile, ma allarga enormemente la base imponibile: a essere tassate sono tutte le operazioni realizzate sui mercati finanziari. Il costo della tassa ricadrebbe sugli speculatori e sugli strumenti finanziari più aggressivi, quali in particolare gli hedge fund, tra i principali responsabili della speculazione sui mercati e della crisi e al centro dello scandalo per presunte frodi che ha coinvolto nelle ultime settimane