Mondo Oggi

Martedì, 30 Marzo 2010 19:32

Il desiderio di chi è cieco

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Insegnamenti biblici


Rabbunì che io riabbia La vista (Mc 10,51).

 

Siamo fatti per la vita, per la gioia e la piena felicità e vorremmo superare ogni limitazione a quest’anelito di infinito, veramente messo in noi da Dio per attirarci a sé.

Nel Vangelo sono registrate deficienze umane d’ogni genere, mali fisici e morali, occasionali e permanenti, che al passaggio del Signore trovano sollievo e spesso completa guarigione. testimoniando la presenza e la potenza di Dio in Gesù.

Se in particolare fermiamo l’attenzione sui ciechi che i Vangeli ci presentano, il nostro stupore si fa anche più intenso e commosso per il dialogo vivo, quasi drammatico che questi aprono col Maestro, fidandosi ciecamente - è proprio il caso di dirlo! - di quanto hanno sentito a suo riguardo e, sostenuti dalla fede, implorano da Lui il dono della vista.

Il grido, di Bartimeo secondo Marco (10,47) o dei due ciechi di Gerico secondo Matteo (20,30): “Figlio di David, abbi pietà di me”, prorompe impetuoso e inaspettato in mezzo alla folla al seguito di Gesù, rivela in tutta la sua profondità la storia di dolore, se pur non priva di speranza, di quegli uomini. Essi stanno seduti lungo la strada come sempre, forse abituati a ricevere qualche piccolo aiuto da chi ormai ben li conosce, ma in pratica non sono né si sentono inseriti nella vita ordinaria.

È difficile immedesimarsi nel loro stato d’animo e comprendere le loro difficoltà e il loro sforzo interiore, perché la nostra esperienza non li raggiunge mai veramente e soprattutto è limitata nel tempo: essi sono ciechi sempre! Ma il fatto che tutti gli evangelisti li ricordino e mettano in risalto la sollecitudine, la comprensione e la delicatezza di Gesù a loro riguardo, ci induce a riflettere ed a riconoscere ancora una volta l’arte pedagogica del Signore. Per venire incontro alla nostra debole intuizione Egli ci presenta la penosa realtà della cecità fisica con i suoi pesanti limiti, come segno e figura di un’altra più grave e più seria cecità, della quale vuol renderci consapevoli e alla quale vuoi porre rimedio, la cecità dell’anima, ossia la durezza di cuore di fronte ai doni e quindi alle esigenze di Dio.

Non a caso Giovanni, attento a proporre col suo Vangelo i segni più eloquenti della vita e della missione di Gesù, darà ampio spazio all’episodio del cieco nato, non tanto nella descrizione del miracolo compiuto dal Signore che racchiude in pochi versetti, ma nella serrata discussione provocata dai capi religiosi, in cui risalta davvero la cecità spirituale di chi doveva essere guida sicura d’Israele, mentre emerge via via chiara e luminosa la luce della fede nel povero cieco, felice di trovarsi risanato; egli ha davvero acquistato la vista non solo del corpo ma anche dell’anima e la sua vita rinasce in una indicibile gioia spirituale, per nulla turbata dall’insistente e meschino interrogatorio farisaico.

“Signore, che io veda”: è la supplica spontanea di chi è cieco, cioè privo della visione; dovrebbe essere il grido appassionato di chi sa di essere privo della piena luce per il cammino della vita e la desidera come il sommo bene. Già S. Agostino diceva ai suoi cristiani: “Come ha più valore l’anima del corpo, così è da apprezzare più la salute dell’anima che quella del corpo... in questa vita dunque dobbiamo impegnarci totalmente a guarire l’occhio del nostro cuore per arrivare a vedere Dio.., purificare il nostro interno da ciò che ci impedisce la vista di Dio. Sono chiusi gli occhi del cuore; passa il Signore, affinché noi gridiamo”. E continua: “Ma che significa gridare verso Cristo, fratelli, se non corrispondere alla grazia di Cristo con le buone opere? Dico ciò affinché non facciamo strepito con le parole e rimaniamo poi muti con le buone opere. Chi è che grida verso Cristo affinché sia rimossa la cecità interiore al suo passaggio?... Grida verso Cristo chi disprezza il mondo. Grida a Cristo chi disprezza i piaceri mondani”.

In uno dei suoi Discorsi spiegando direttamente l’episodio del cieco di Gerico, S. Agostino ritorna sul tema tanto eloquente e vivo della luce per la vita: “Voi amate questa luce, che ognuno che teme la morte tiepida di dover lasciare. Ama questa luce colui che faceva giungere a Gesù il suo grido: Abbi pietà di me, figlio di David... Con che ardore gridava? Al punto che, mentre la folla lo zittiva, continuava gridare. La sua voce trionfò su chi lo contrastava e trattenne il Salvatore”.

È avvenuto l’incontro con il Signore e il grande vescovo conclude con un’esortazione che è ancor più una preghiera: “Amate Cristo, desiderate quella luce che è Cristo. Se quel cieco desiderò la luce fisica, quanto più voi dovete desiderare la luce del cuore! A lui eleviamo il nostro grido non tanto con la voce fisica, quanto con l’operare rettamente…. e la nostra stessa vita sia come un grido lanciato verso Cristo. Egli si fermerà e ci risanerà”.

 

Benedettine di S. Maria di Rosano

(Beata Pacis Visto, 2/2005)

 

Letto 4678 volte Ultima modifica il Lunedì, 16 Aprile 2012 22:23

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