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Lunedì, 15 Febbraio 2010 16:28

Un crimine intollerabile

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Negazionismo e memoria della Shoah

 

Un crimine intollerabile

 È intollerabile che qualcuno minimizzi o neghi il male assoluto rappresentato dall’olocausto, come ha fatto il vescovo lefebvriano Williamson. La Giornata della memoria induca tutti a riflettere sulla terribile potenza del male.

 Una ben triste ombra è calata quest’anno sulla Giornata della memoria (Shoah): il "negazionismo". Come ha scritto Anna Foa, «il negazionismo non è un’interpretazione storiografica, né una corrente interpretativa dello sterminio degli ebrei perpetrato dal nazismo, né una forma sia pur radicale di revisionismo storico» bensì una tragica «menzogna che si copre del velo della storia, che prende un’apparenza scientifica, oggettiva, per coprire il suo vero movente: l’antisemitismo».

L’odio antiebraico, infatti, è all’origine di questa negazione e inizia nel primo dopoguerra, «riallacciandosi idealmente al progetto stesso dei nazisti, quando coprivano le tracce dei campi di sterminio, radevano al suolo le camere a gas e schernivano i deportati dicendo loro che, se anche fossero riusciti a sopravvivere, nessuno al mondo li avrebbe creduti» (Oss. Rom., 26-27.1.09). Ma a contraddire quelle previsioni ci sono immagini, racconti e documenti terribili, che impediscono l’oblio e pretendono da tutti l’impegno affinché quegli orrori non si ripetano. Come disse Benedetto XVI nella sua visita di tre anni fa, Auschwitz è «luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio»! Perciò è intollerabile che qualcuno minimizzi o addirittura neghi il male assoluto rappresentato dall’olocausto. E che dire se a farlo è un vescovo cattolico?

 

Le parole oltraggiose

Ma procediamo con ordine. Nei giorni precedenti la Giornata della memoria, Benedetto XVI pensò di revocare la scomunica ai quattro vescovi consacrati illecitamente da Lefebvre (B. Fellay, superiore della Fraternità San Pio X, A. de Gallareta, T. de Mallerais e R. Williamson) per garantire la sopravvivenza della sua comunità tradizionalista, che non accettava la riforma liturgica e altri punti del Vaticano II. Ma ecco che un’intervista di Williamson contro la Shoah determinava una crisi tra Santa Sede e Comunità ebraiche, profondamente indignate dalle oltraggiose parole di Williamson. Egli infatti lo scorso novembre, alla televisione svedese – che, guarda caso (?), l’ha rilanciata proprio quando veniva rimessa la scomunica (!) – affermò «che non vi furono camere a gas» e, condividendo l’opinione di quanti «si battono contro quello che viene oggi considerato un "olocausto" (i revisionisti, come sono chiamati)», riteneva «che nei campi nazisti fossero morti circa 300.000 ebrei, ma nessuno nelle camere a gas».1

Lo sconcerto fu tale che padre Federico Lombardi, portavoce vaticano, intervenne «non condividendo in alcun modo quell’opinione» e precisando che la «revoca della scomunica non c’entra affatto»: quelle dichiarazioni «vanno giudicate in sé». Precisazione importante, per separare nel merito le due vicende: «La prima arrivata al termine di un lungo cammino, fatto di contatti e piccoli passi, e che potrebbe portare in futuro al riaccoglimento della Fraternità nella Chiesa cattolica; la seconda, figlia diretta ed esclusiva di Williamson, non certamente nuovo a quel genere di esternazioni».2

 

Le reazioni

Ovviamente dure furono le reazioni ebraiche, tanto che alla vigilia della Giornata della memoria alcuni loro esponenti hanno chiesto alla Chiesa un gesto riparatore. «La riabilitazione è un fatto interno, ma sul negazionismo abbiamo molto da dire perché lo riteniamo un’infamia. Ci auguriamo che con la Chiesa cattolica questo sia solo un momento di difficoltà e aspettiamo un gesto positivo», ha detto il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, R. Gattegna; e il rabbino capo di Roma, R. Di Segni, ha aggiunto: «Il problema è lo spazio e la dignità data non soltanto a un singolo negazionista, ma a un movimento che sul tema teologico che riguarda gli ebrei non accetta le posizioni del Concilio».

Anche il quotidiano Jerusalem Post è intervenuto e, riferendo una fonte del Rabbinato d’Israele, ha giudicato arduo «proseguire il dialogo col Vaticano qualora non vi fosse un atto di pubbliche scuse e di ritrattazione delle dichiarazioni sulla Shoah del vescovo lefebvriano». Né meno decisa fu la condanna dell’arcivescovo di Vienna, cardinale Ch. Schoenborn, amico personale del Papa: «È vergognoso e angosciante che ci siano ancora voci che negano apertamente la Shoah e contestano il diritto del popolo ebraico all’esistenza». E in una lettera al rabbino capo Eisenberg per la Giornata della memoria ha scritto «che lo sterminio degli ebrei resta una ferita dolente e una vergogna dell’Europa» (Il Sole-24 Ore, 27.1.09).

Mentre il direttore dell’Oss. Rom. (26-27.1.09) scriveva che le dichiarazioni del vescovo «sono gravissime e incresciose» e, benché «rilasciate prima dal documento di revoca della scomunica, restano inaccettabili» e che «ogni affermazione negazionista è un insulto alla memoria del martirio del popolo ebraico», il superiore generale della Fraternità San Pio X dichiarava: «Le affermazioni di mons. Williamson non riflettono affatto la posizione della nostra Fraternità. Perciò gli ho proibito ogni presa di posizione pubblica su questioni politiche o storiche. Noi domandiamo perdono al Sommo Pontefice e a tutti gli uomini di buona volontà, per le conseguenze drammatiche di tale atto» (Avvenire, 28.1.09. 3

Benedetto XVI ha chiuso la spiacevole vicenda il 29 gennaio, rimarcando che le due questioni – la revoca della scomunica e le tesi negazioniste del vescovo lefebvriano – devono rimanere distinte. Ribadito d’aver maturato la revoca come «adempimento del servizio all’unità, che qualifica il mio ministero di Successore di Pietro», ha ricordato «le immagini raccolte nelle mie ripetute visite ad Auschwitz, uno dei lager nei quali si è consumato l’eccidio efferato di milioni di ebrei, vittime innocenti di un cieco odio razziale e religioso». E ha concluso: «Mentre rinnovo con affetto l’espressione della mia piena e indiscutibile solidarietà con i nostri Fratelli destinatari della Prima Alleanza, auspico che la memoria della Shoah induca l’umanità a riflettere sulla terribile potenza del male quando conquista il cuore dell’uomo. La Shoah sia per tutti monito contro l’oblio, la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti. Nessun uomo è un’isola, ha scritto un noto poeta. La Shoah insegni alle vecchie e alle nuove generazioni che solo il faticoso cammino dell’ascolto e del dialogo, dell’amore e del perdono conduce i popoli, le culture e le religioni all’auspicato traguardo della fraternità e della pace nella verità. Mai più la violenza umili la dignità dell’uomo!».

 

L’intervento necessario del Papa

Il direttore generale del Rabbinato, O. Weiderm, ha riconosciuto nelle parole del Papa «un grande passo avanti per la soluzione della questione» perché, oltre a riaffermare che i negazionisti offendono l’umanità, ribadiscono che la «Chiesa cattolica combatte con noi per sconfiggere le recrudescenze del nazismo». Il rabbino capo di Roma, R. Di Segni, ha definito le parole del Papa «una dichiarazione necessaria e benvenuta, che contribuisce a chiarire molti equivoci sia sul negazionismo sia sul rispetto del Concilio»4.

Proprio su questi due argomenti una nota della Segreteria di Stato ribadisce: «Le posizioni di mons. Williamson sulla Shoah sono assolutamente inaccettabili e fermamente rifiutate dal Santo Padre», per cui il vescovo lefebvriano dovrà ritrattarle «per essere ammesso a funzioni episcopali nella Chiesa». Inoltre, un futuro riconoscimento della Fraternità San Pio X esige «il pieno riconoscimento del concilio Vaticano II [...], nonché del Magistero dei Papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI» (Oss. Rom., 5.2.09).

Negare la Shoah significa cancellare i tragici ricordi della persecuzione nazista, dei lager popolati da milioni di individui ridotti a larve umane, di tedeschi disumani considerati responsabili di crimini orrendi, ma anche cancellare l’esistenza di quanti furono capaci di dire no al nazismo in nome del cristianesimo o di un ideale alto di umanità. Uomini qualunque portatori di eroiche testimonianze, persone che dall’umana fragilità seppero far sbocciare il seme della speranza, fino al sacrificio della vita pur di aiutare quanti, ebrei o perseguitati, in un’Europa bruciata dalla furia nazista, chiedevano disperatamente aiuto.

Come ha detto il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, R. Gattegna, «è fondamentale che la Memoria della Shoah non rimanga pertinenza esclusiva del patrimonio storico e culturale ebraico, ma che venga proiettata all’esterno e, soprattutto, che sia condivisa» (la Repubblica, 27.1.09), perché quel passato disumano e crudele, popolato di vittime e carnefici, ma anche costruito sul sacrificio di tanti uomini "giusti", che hanno salvato migliaia di ebrei, appartiene a tutti noi.

 

di Piersandro Vanzan

Vita Pastorale marzo 2009

 

 

 

Note

1) www.adnkronos.com

2)In una nota, trasmessa dalla Radio Vaticana, padre Lombardi affermava: «Chi nega il fatto della Shoah non sa nulla ne del mistero di Dio, ne della Croce di Cristo». E negare tale accostamennto è «tanto più grave quando viene dalla bocca di un sacerdote o di un vescovo, cioè di un ministro cristiano, sia questi unito o meno alla Chiesa cattolica» (Avenire, 30.1.09).

3) Cf Oss. Rom. 26-27.1.09, dove il Papa spiega di aver compiuto un «atto di paterna misericordia perchè ripetutamente questi presuli mi hanno manifestato la loro viva sofferenza per la situazione in cui si erano venuti a trovare. Auspico che a questo mio gesto faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando cosi vero riconoscimento del magistero e dell'autorità del Papa e del concilio Vaticano II».

4)La Repubblica, 30.1.09, che riporta anche una lettera del card. Kasper al Rabbinato dove, insieme alle scuse, chiede di mantenere l'appuntamento bilaterale tra cattolici ed ebrei in Israele previsto a marzo. Incontro al quale il Papa stesso tanto desidera partecipare, come ha ribadito ai presidenti delle maggiori organizzazioni ebraiche americane ricevuti in udienza, ai quali non solo ha ribadito che è «inaccettabile negare la Shoah: un crimine contro Dio», ma anche - citando la preghiera del suo Predecessore al Muro del Pianto - ha di nuovo chiesto perdono ai "fratelli maggiori" e ha detto: «I nostri rapporti hanno attraversato molte fasi, anche dolorose, ma ora possiamo incontrarci in spirito di riconciliazione» (Avvenire 12.2.09).

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