I Dossier

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Martedì, 22 Marzo 2005 23:13

La Chiesa Ortodossa Copta (Mervyn Duffy)

La fondazione della chiesa in Egitto è strettamente unita alla figura di S. Marco Evangelista che, secondo la tradizione, fu martirizzato ad Alessandria nel 63 d.C. L'Egitto divenne presto una nazione cristiana ed in Alessandria nacque un centro estremamente importante di riflessione teologica. Inoltre, i monaci del deserto egiziano fornirono i primi modelli per la tradizione monastica cristiana, e nutrirono molto presto la spiritualita’ con i detti dei “padri del deserto”.

5. LA COMUNITA' IN CAMMINO
VERSO IL REGNO
don Marino Qualizza


2. Il corpo mistico di Cristo: 1Cor 12, 12-27

«Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo…Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» vv.12 e 27.

È il testo classico in cui san Paolo ci descrive la realtà della Chiesa nel suo rapporto con il Cristo; considerazioni ed immagini simili si trovano anche in Rom 12, 4-8, però nel testo di Corinzi il tema è sviluppato con maggiore dovizia e soprattutto è inserito nel contesto dei carismi, dei ministeri e delle attività, che hanno come origine l’unico Dio Padre che si comunica a noi nel servizio del Figlio e nei doni dello Spirito. La molteplicità dei carismi non può essere a scapito della unità della Chiesa, perché essa porta il segno dell’unità di Dio nella Trinità. Unità dunque e ricchezza multiforme nello stesso tempo.



2.a. Noi siamo corpo di Cristo

L’affermazione più importante del testo è data dal v. 27, dove si dice appunto che ‘noi siamo corpo di Cristo e sue membra. Il che equivale a dire che l’identità della Chiesa è di tipo ‘mistico’, vale a dire di grazia, di iniziativa di Spirito Santo. Essa si comprende a partire da questa iniziativa gratuita di Dio, e si può cogliere solo nella luce della fede. È del tutto vero che in primo luogo, la Chiesa è realtà teologale, nel senso che è istituita, creata, formata e resa viva dalla iniziativa di Dio. Con ciò non si vuole dire che essa è una realtà eterea, inafferrabile, al limite invisibile; si vuole sottolineare che la sua verità grande e profonda è data proprio dal suo rapporto con il Cristo risorto, che vive nella comunione con il Padre e da lì ci invia lo Spirito Santo.

È quanto dire ‘Ecclesia de Trinitate’, come si esprime il concilio Vaticano II, in Lumen Gentium 2-4. Ricordiamo nuovamente che tutta la ricchezza della Chiesa consiste in questa comunione con la Trinità, da cui riceve energia e vita e forza di testimonianza. Ed è allora importante che la preoccupazione nell’educazione cristiana concentri tutta l’attenzione su questo aspetto fondamentale, per nulla scontato e non facilmente vivibile. Da qui anche l’autentica difficoltà di trovare cristiani che sappiano teologicamente e vivano concretamente la realtà della fede. Non fa meraviglia allora, che l’appartenenza alla Chiesa sia più di carattere emotivo e superficiale o addirittura, come avviene nei nostri tempi, si perda nel vago di una religiosità passeggera o addirittura scompaia dalla coscienza stessa dei battezzati.



2.b. Vita mistica nella grazia della Trinità

Vivere la dimensione mistica della Chiesa è l’impegno massimo della vita e non fa meraviglia che sia piuttosto merce rara. Infatti l’educazione, la catechesi sembrano imboccare strade più facili, ma senza uscita, con il risultato finale che i cristiani non sanno più che cosa sia la Chiesa. Gli stessi numeri costituiscono una difficoltà evidente. Laddove l’essere Chiesa è una realtà sociale pressoché indistinta, l’approfondimento e la coscienza di appartenenza sono vapori che si perdono nell’aria. Tutto ciò è documentato anche dal fatto che la fede nella Trinità è qualcosa di molto oscuro e forse insignificante, perché manca l’approfondimento specifico di questa verità salvifica. Sommando le due cose, abbiamo un unico risultato negativo.

Forse si comprende perché nella storia, la Chiesa sia stata compresa più nel confronto con realtà simili, quali le società statali, le monarchie e gli imperi, tanto da assommare nella persona del papa la somma di tutte le corone civili e religiose e tanto da immaginare la Chiesa come società perfetta, sul modello e nel superamento delle società civili. Qui il confronto era facile, immediato, talvolta perfino suggestivo, quando si presentava il papa come il vertice dei poteri conferiti agli uomini sulla terra. È vero che tutto questo avveniva e si consolidava con Gregorio VII nell’XI secolo e raggiungeva l’apice all’inizio del XIII con Innocenzo III, ma è anche vero che l’esigenza ovvia ed elementare di rendere ‘visibile’ la Chiesa portava a puntare l’attenzione su quanto questa visibilità rendeva ancora più forte e stabile: l’aspetto giuridico.




2.c. Un ordine giuridico ‘mistico’

Esso è certamente necessario e fa parte della normalità della vita ecclesiale, ma la sua accentuazione ha portato scompensi evidenti nella vita della Chiesa, come la storia ampiamente documenta, e non necessariamente per spirito polemico. La verità non è polemica. Il prevalere degli aspetti giuridici ha inciso notevolmente sulla concezione stessa del ministero ordinato dei vescovi, dove si separava la realtà sacramentale da quella giurisdizionale, con nocumento evidente della concezione stessa del ministero. Esso finiva fatalmente con l’essere equiparato con l’esercizio di un potere, che stranamente non veniva dato per via sacramentale, ma giuridica. A questo punto i problemi si complicano, almeno per un aspetto solo, che si riferisce alla giurisdizione del papa; ma lasciamo per ora questo argomento, anche perché nessun cattolico dubita dell’autorità del papa.

Ritorniamo allora al tema del corpo mistico, questa volta in riferimento diretto al Cristo stesso. Noi dunque siamo corpo di Cristo. L’affermazione dice sostanzialmente che noi siamo inseriti in Cristo e che da lui riceviamo vita. L’immagine del corpo dice che il nostro inserimento non è casuale, fortuito, ma costitutivo del nostro stesso essere cristiani. Questa verità è densa di significati e di conseguenze, perché ci costringe a confrontarci con il Cristo e con la sua vita reale. L’essere corpo di Cristo non è una verità statica ed astratta, ma un modo di vivere, per continuare nella storia d’oggi quanto il Cristo ha fatto nel suo tempo. Infatti siamo corpo di Cristo per realizzare in ogni tempo, quanto egli ha iniziato e anche compiuto, e che deve avere una continuazione nel nostro tempo, perché la storia non è finita con Cristo.



2.d. I cristiani sacramento della presenza e azione di Cristo

Dunque i cristiani sono l’attualità teologica e sacramentale di Cristo, nel duplice significato di una presenza e di una attività. Ai cristiani è affidato il Vangelo perché sia vissuto sul modello di Cristo, che non esige ripetizione, ma continuazione e novità di attuazione secondo il suggerimento dello Spirito Santo. Per fare ciò, è evidente che i cristiani devono conoscere Gesù Cristo e devono vivere la fede in lui. Da questo duplice impegno viene qualificata la loro presenza nella storia, che continua così ad essere storia di salvezza, non perché la rendono tale i cristiani, ma perché essi sono in comunione con il Cristo.

Tutto questo avviene in diversi modi, perché l’immagine del corpo dice che ci sono diverse membra e quindi diverse funzioni ed attività. La Chiesa non è un organismo monotono e spento, ma vivo e ricco, dove ognuno è chiamato a svolgere la sua parte. L’osservazione più evidente a questo riguardo è che l’immagine del corpo e della molteplicità delle membra supera di colpo le secche del clericalismo dove ci eravamo cacciati nel passato e da dove con fatica stiamo uscendo. Il clericalismo in verità è l’imbalsamazione del corpo ecclesiale, o la sua riduzione ad un movimento solo; non saprei dire quale per la precisione.



2.e. Ricchezza di ministeri nella realtà della storia

La molteplicità dei servizi, dei ministeri porta alla valorizzazione di tutti, nell’ordine che è garantito proprio dallo spirito di servizio e dalle disposizioni fondamentali che vengono dal Cristo stesso. Qui si ricupera il vero senso anche dell’ordinamento giuridico. Ma il servizio che ognuno è chiamato a svolgere nella Chiesa trova la sua motivazione e fondamento nel sacramento del battesimo e della confermazione. Ha dunque origine divina e perciò mistica. Da qui il suo valore inestimabile e la sua funzione insostituibile.

Domenica, 20 Marzo 2005 17:37

Ortodossi divisi da Mosca (Luigi Prezzi)

Ortodossi divisi da Mosca
di Luigi Prezzi




Cresce la tensione all'interno del mondo ortodosso in Francia e nell'Europa occidentale. La lettera di Alessio II in cui si formula l'invito alla riunificazione di tutte le Chiese di origine e tradizione russa in Europa sta provocando polarizzazioni crescenti.

Cirillo di Smolensk, responsabile del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, ha confermato nell'ottobre scorso il senso definitivo dell'orientamento («Non ci torneremo sopra e non abbiamo l'intenzione di rinunciare alla posizione di principio espressa nella lettera»), lamentando la scarsa collaborazione dei responsabili dell'arcidiocesi di tradizione russa sotto giurisdizione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.

Nel mirino anche il prestigioso Istituto San Sergio di Parigi. Fonti vicine all'archidiocesi (SOP, dicembre 2004) denunciano tentativi di limitare la libertà accademica sia sul versante della nomina dei professori (senza risultati), sia su quello delle sovvenzioni private. La riduzione dell'istituto (una tradizione teologica prestigiosa, 50 studenti da una ventina di paesi, una formazione teologica per corrispondenza, due filiali in Belgio e un presenza in Spagna) a semplice avamposto russo impoverirebbe l'intera Chiesa ortodossa e il dialogo ecumenico.

Un'ortodossia plurale

I circa 500.000 ortodossi di Francia (ma con le recenti immigrazioni il numero è destinato a crescere) sono divisi per appartenenze etnico-tradizionali: la diocesi legata al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, quella del Patriarcato di Antiochia, quella serba e quella romena.

Per la tradizione russa operano tre diocesi: quella di obbedienza moscovita, quella dipendente dalla Chiesa ortodossa oltrefrontiera (con sede negli USA) e l'arcidiocesi di tradizione russa ma di obbedienza costantinopolitana, presieduta dal vescovo Gabriel di Vylder. Queste tre ultime sono le più interessate alla lettera di Alessio accanto alle diocesi del Patriarcato russo in Gran Bretagna e in Belgio. L'arcidiocesi presieduta da mons. Gabriel è la più vecchia (nasce con l'emigrazione russa dopo la Rivoluzione d'ottobre) e la più estesa: 60 parrocchie, un monastero, 70 preti, 14 diaconi, l'istituto San Sergio, presenze pastorali in Belgio, Olanda, Germania, Norvegia, Svezia, Danimarca, Spagna e Italia. Nel 1931 l'allora metropolita Evlogij, fondatore anche dell'istituto San Sergio, si sottrasse all'ultimatum delle autorità moscovite rifiutando di firmare il giuramento di fedeltà alle autorità sovietiche e trovando ospitalità presso il Patriarcato di Costantinopoli. Quest'ultimo ha riconosciuto alla diocesi uno specifico statuto la cui autonomia è stata ulteriormente allargata nel 1999.

La Russia e Parigi

Per sostenere le ragioni di Mosca è nato un movimento laicale (OLTR) che ha promosso due assemblee: la prima in febbraio e la seconda in aprile 2004. Le motivazioni a favore, espresse dai presidente S. Rehbinder, sono la fine delle ragioni politiche della separazione da Mosca, la scarsità di linfa spirituale proveniente dalla curia di Cotantinopoli e l'ampia autonomia promessa da Mosca. Di contro si sottolinea l'assoluto rispetto da parte di Costantinopoli, l'evoluzione storica propria dell'arcidiocesi, la già piena comunione con Mosca, la situazione plurilinguistica e plurietnica delle comunità.

Ma il problema interessa tutte le diocesi ortodosse perché in Francia è attiva l'Assemblea dei vescovi ortodossi (dal 1997), prolungamento dei Comitato interepiscopale ortodosso. Essa esprime un'ecclesiologia che prefigura un'unica Chiesa ortodossa sul territorio pur composta da molte etnie e da differenti giurisdizioni. L'ipotesi sostenuta dal Patriarcato di Mosca è invece quella più tradizionale della dipendenza dalla Chiesa madre, maggiormente esposta ai nazionalismo. I vescovi responsabili dell'Assemblea sono già stati a Costantinopoli (novembre 2004) e saranno presto ad Antiochia (poi a Mosca, Belgrado e Bucarest) per un confronto con le grandi sedi patriarcali.

(da Il Regno-attualità, 2/2005)

Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli

Domenica, 20 Marzo 2005 17:20

Oltre il testo (Marcelo Barros)

Oltre il testo
di Marcelo Barros


Più di 30 anni or sono, in America Latina in particolare nelle comunità cristiane più povere, si è dato vita ad un nuovo modo di leggere la Parola di Dio Compiuta in seno alla comunità, in un contesto di preghiera e con gli occhi rivolti alla trasformazione del mondo, questa lettura della Bibbia ha aiutato le comunità a partecipare attivamente al processo di liberazione dei popoli indios, dei gruppi di origine africana e dei senza-terra.

Le lotte popolari dei popoli latinoamericani non avrebbero conseguito le molte loro significative vittorie senza l'operosa partecipazione dei cristiani, che sono entrati in questo cammino di liberazione forti della luce che veniva loro dalla Bibbia letta in questo nuovo modo comunitario.

Da quando, negli anni 1970, Carlos Mesters in Brasile, Javier Saravia in Messico, José Luis Caravias in Paraguay e molti altri hanno dato inizio a gruppi biblici, la realtà latinoamericana ha conosciuto profonde trasformazioni. Oggi, i problemi sociali e politici si sono aggravati e - ahimè! - tutto sembra suggerire che i cristiani abbiano in parte rinunciato ad essere presenti con la loro usuale determinazione ad affrontare ogni nuova sfida. Se è vero che la credibilità di una religione dipende dalla sua capacità di aiutare gli uomini e le donne a vivere nella pace e nelle giustizia, allora ci si deve chiedere dove sia finita quella capacità profetica che caratterizzò in passato le comunità cristiane di base. Un cristianesimo senza profezia è un corpo senza anima.

La Bibbia continua ad essere il libro più venduto nel mondo. La lettura che se ne fa, però, non può più essere "patriarcale" e connivente con l'esclusione delle donne. Le chiese dovrebbero essere portatrici della rivelazione che tutti siamo uguali, al di là delle differenze di sesso e nella complementarietà delle funzioni, e non complici di una alienazione più di quanto non lo siano le società civili.

Per troppo tempo, inoltre, la nostra lettura della Parola di Dio ha voluto vedere quasi una spaccatura tra creazione e storia. Oggi non è più lecito fare ciò. Il Dio che si è rivelato nella storia di salvezza è lo stesso Dio che ha creato il mondo. E se è vero che l'Esodo è stato la rivelazione della capacità che gli occhi di Dio hanno di vedere le sofferenze umane, è altrettanto vero che «i cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento» (Salmo 19). Molti sono giunti ad accusare la Bibbia - e l'etica giudaico-cristiana che ne è derivata - di un antropocentrismo che ha sminuito il valore della natura e si è reso responsabile dell'odierno degrado ecologico. La verità è che l'autore sacro, scrivendo che Dio diede all'essere umano l'ordine di moltiplicarsi, di riempire la terra e di dominarla (Gen 1,28), mai avrebbe immaginato che le sue parole sarebbero servite a legittimane una cultura priva di rispetto per la natura e distruttrice del pianeta.

Infine, non è più possibile leggere la Bibbia convinti che Dio si sia rivelato solo agli ebrei ed ai cristiani, e considerando le altre culture e religioni come idolatre, se non addirittura demoniache. I grandi flussi emigratori della storia hanno portato l'umanità a mescolarsi e le grandi culture ad incontrarsi. Ne è nato un pluralismo culturale e religioso che va visto oggi come un aspetto della realtà che ci interpella e ci obbliga a scoprire nuovi modi di movimento popolare e chiesa. In questo periodo, mi sto interessando in particolare delle relazioni tra teologia latinoamericana della liberazione e la teologia del pluralismo religioso, ed ho scoperto che una delle sfide che attendono le comunità cristiane di base è proprio l'urgenza di leggere la Bibbia in un contesto di pluralismo culturale e religioso.

Vorrei condividere con voi questa mia ricerca. (...) Pertanto, mi soffermerò su questo o quell'altro aspetto di una lettura della Bibbia che definirei "macro-ecumenica", pur utilizzando sempre il metodo latinoamericano e partendo dalle realtà e dalle culture indie e afro.
Si tratterà di una lettura meditativa, basata cioè sulla fede e sulla preghiera, mirante ad una continua conversione personale. Costante sarà anche il dialogo con l'esperienza dei vari gruppi che cercano nella Parola di Dio luci che possano illuminare le nuove realtà in cui vivono.

Nelle sue Letture Talmudiche, il filosofo ebreo Emmanuel Lévinas ritiene che ogni versetto del Libro sacro urli al lettore il seguente ordine: «Interpretami!». Da solo, il versetto è incapace di significato. Leggeremo la Parola con la nostra attenzione puntata sui fratelli e le sorelle che ci vivono accanto, e questo ci aiuterà a scoprire sempre nuovi appelli che Dio ci rivolge. Cercheremo di non lasciar cadere tali appelli nel vuoto. Lo diceva già Sant'Agostino: «Se ascolti o leggi la Parola senza lasciarti impregnare da essa, non arriverai mai ad accoglierla».


(da Nigrizia, gennaio 2004)

Dupuis
dire Cristo all’Asia
di Gianni Colzani



Dice un proverbio
della Sierra Leone: «Quando uno stormo di uccelli si leva in volo, vuol dire che uno è partito per primo». Padre Jacques Dupuis, scomparso il 28 dicembre 2004, era uno di questi scomodi personaggi: ha avuto un ruolo di primo piano nella elaborazione di una teologia delle religioni ed è stato uno dei primi ad avviarsi sulla strada del pluralismo religioso, ad indagare cioè in termini teologici il valore che le altre tradizioni religiose hanno nel disegno salvifico di Dio. La teologia delle religioni è oggi un capitolo cruciale non solo della teologia ma della stessa storia del mondo. L'11 settembre ha rappresentato un trauma nella coscienza mondiale e, da allora, molti leader politici e religiosi hanno insistito sul fatto che l'islam non può essere identificato con il terrorismo. Resta il fatto che un uso ideologico delle religioni è sempre possibile e che molte guerre hanno utilizzato il nome di Dio e provocato, nel suo nome, migliaia di vittime innocenti.

Lo stesso Giovanni Paolo II, nella Novo millennio ineunte, scriveva che nelle condizioni di spiccato pluralismo che si vanno prospettando «tale dialogo è importante anche per mettere un sicuro presupposto di pace e allontanare lo spettro funesto delle guerre di religione che hanno deve diventare sempre di più, qual’è, un nome di pace e un imperativo di pace» (n. 55).
In termini più teologici, la Redemptoris missio aveva insegnato che «il dialogo non nasce da tattica o da interesse ma è un'attività che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità: è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito che soffia dove vuole» (n. 56). Una costruttiva teologia delle religioni, mentre approfondisce la coscienza della propria identità, è impegnata a riconoscere i segni della presenza di Cristo e dell'opera dello Spirito; senza intolleranza e senza irenismi, deve saper esprimere coerenza con sé e rispetto per l'altro, verità e umiltà. È questo il dialogo di cui abbiamo bisogno. A questo scopo è certo indispensabile la purificazione delle memorie storiche ma, in un contesto spesso conflittuale come il nostro, è decisiva la capacità di elaborare una vera e propria teologia delle religioni.

Le religioni cercano Dio e proclamano la salvezza. Per i credenti la salvezza è una interpretazione della vita, è qualcosa che attraversa tutta l'esistenza e che, oltrepassandola, presenta la comunione con Dio come il supremo valore della persona, come ciò attorno a cui unificare l'esperienza umana dandole significato e valore. Con il tempo sono nati molti modi di conciliare la verità di un Dio universale con la realtà di religioni nazionali e particolari: la conquista di un territorio e l'imposizione forzata di una religione e la diffusione attraverso la predicazione e la conversione sono state, forse, le modalità più frequenti.

Queste modalità hanno generato delle scuole teologiche che oggi, in un tempo radicalmente diverso dal passato, si possono raccogliere secondo tre modalità: esclusivismo, inclusivismo e pluralismo.

L'esclusivismo sostiene che l'unico, esclusivo luogo di salvezza è la Chiesa. Fuori di essa vi sono solo pagani, false divinità, forze maligne e magie; solo nella Chiesa, con la fede nel Vangelo di Gesù e con il battesimo si è salvi. I non-cristiani non hanno che una possibilità: convertirsi ed entrare nella Chiesa. Diversa è la posizione dell'inclusivismo: questa teoria sostiene che, in Cristo, sono incluse tutte le persone e tutte le culture e le religioni. Poiché Cristo non è venuto per abolire ma per portare a compimento, allora la Chiesa è chiamata ad assumere tutte le capacità e le tradizioni dei popoli ricapitolando così - con un lavoro di purificazione e di elevazione - tutta l’umanità sotto Cristo ed il suo Spirito. In una Chiesa cattolica, le singole parti offrono alle altre i propri doni e tutte le parti traggono vantaggio da questa vicendevole comunicazione. Il pluralismo infine, nella sua forma più rigida, sostiene che tutte le religioni sono interpretazioni culturali, diverse per storia e dogmi, di un'unica esperienza religiosa e che, per questo, le religioni sono sostanzialmente identiche e sono tutte quante legittime «vie di salvezza». Nella sua infinita grandezza, che supera ogni schema culturale, Dio si serve di tutte le religioni per salvare l'umanità e condurla a lui.

Nel caso di Dupuis, a queste prospettive di ricerca teologica si è aggiunta la sua personale passione su come si debba annunciare Cristo all'Asia, su quale sia il volto asiatico di Gesù. In un continente che raccoglie due terzi dell'umanità e nel quale i cristiani si aggirano attorno allo 1,5-2 per cento o poco più, questo problema è decisivo. Da una parte nell'Asia sono nate e sono radicate le più antiche e diffuse religioni del mondo, dall'islam all'induismo, dal buddhismo al taoismo, dal confucianesimo allo shintoismo: dall'altra, per quel mondo, prima che un insieme di dogmi e di riti, le religioni sono una esperienza e una vita lungo la quale inoltrarsi con un coinvolgimento personale profondo. Insieme all'inculturazione della fede, la teologia delle religioni esige una trasformazione profonda nel modo di intendere la missione: senza ridursi alla plantatio ecelesiae, la missione deve seguire sempre di più l'evangelizzazione del regno alla maniera di Gesù, mentre la Chiesa deve mostrarsi sempre di più come sacramento del regno nella storia. Per Dupuis tutta questa problematica teologica si concentra attorno a Gesù Cristo, cuore di ogni fede cristiana: sviluppando due opzioni, da una parte riconduce la persona e l'opera di Gesù all'annuncio del Regno e dall'altra la colloca in rapporto alle persone trinitarie. Il Regno è il contenuto della missione di Gesù ed il rapporto eterno del Verbo con il Padre e con lo Spirito è il segreto profondo della sua persona storica.

Risalendo a quel Verbo che illumina ogni uomo e che, nel corso della storia, ha parlato molte volte e in diversi modi, Dupuis pensa a diverse manifestazioni di Dio - documentabili nella azione divina che sorregge le altre religioni - e vede in Gesù Cristo il vertice di questa storia salvifica. Per quanto sia veramente e costitutivamente unito al Verbo, così da condividerne la divinità, Gesù però - in quanto uomo - gli rimane inferiore. Per questo la concezione della storia di salvezza, propria di Dupuis, è una sorta di teocentrismo che, pur mantenendo la divinità di Gesù, riconosce che tutte le religioni appartengono all'opera salvifica di Dio. Il risultato del suo pensiero è allora una presentazione di Gesù come salvatore universale e come unico mediatore; al tempo stesso, attraverso mediazioni che sono una forma di partecipazione all'agire del Verbo eterno, presenta le religioni come in grado di svolgere un vero e proprio ruolo salvifico. In questo modo Gesù è il volto umano di Dio mentre lo Spirito è la forza universale presente nelle diverse religioni; l'uno e l'altro - Gesù e lo Spirito - fanno riferimento alle persone trinitarie e trovano in quell'ambito la loro verità ultima. Da una simile visione scaturisce una prospettiva pluralista che riconosce la presenza dell’azione salvifica di Dio anche al di là dei confini visibili della Chiesa; questa azione divina non riguarda qui la salvezza dei singoli individui, ma il ruolo che le religioni che professano possono giocare in questa salvezza e davanti agli occhi dei cristiani. Su questa base teologica, a prescindere dalla reciprocità, nasce un atteggiamento nuovo nelle relazioni tra credenti di fedi diverse.

Questo atteggiamento nuovo è il dialogo, che appare così non già una scelta di comodo che nasconde interessi diversi, ma una scelta di fondo e ben fondata. Il dialogo nasce dalla consapevolezza di una profonda unità, fondata sul mistero della creazione e della redenzione; a questa unità va aggiunta l'opera dello Spirito che, presente nei cuori e nelle Coscienze, è presente anche nelle culture e nelle religioni a cui gli individui hanno dato origine. I semina Verbi sono i segni di questa sua misteriosa ma salvifica presenza. Non è quindi possibile risolvere la missione nel solo dialogo sopprimendo l'annuncio: mentre permette la scoperta di nuovi spazi di verità, il dialogo non cancella la fede e quindi, in qualche modo, è pur sempre una forma di annuncio. Per questo da una parte il dialogo deve esprimere la reciprocità del cammino delle religioni e dall'altra deve rispettare la loro asimmetria che riconosce la singolarità di Gesù.

Nonostante queste precisazioni, la Congregazione per la dottrina della fede riterrà inadeguata questa presentazione: vi scorgerà ambiguità e difficoltà che possono condurre in errore il comune lettore. Non vedrà sufficientemente riconosciuta la verità della divinità di Gesù e nella Dominus Iesus, senza fare cenno a Dupuis e alle sue tesi, parlerà del pericolo del relativismo ed enuncerà quelle verità che devono rappresentare come il quadro criteriologico di ogni corretto lavoro su questo tema. Questo dibattito oggi appena iniziato, nelle conclusioni a cui nel futuro giungerà, rappresenterà l’ossatura del cristianesimo venturo.


(da Mondo e Missione, febbraio 2005)

Un teologo analfabeta
 in missione agli inferi

di Anna Maria Cànopi osb


 

Silvano del Monte Athos, nato nel 1866 e morto nel 1938 ha vissuto un’esperienza che solo un’anima immersa nel mistero di Dio può sopportare. Per questo gli si rivolgono tutti coloro che sperimentano l’assenza di speranza. E oggi sono una moltitudine.


Nel monastero di san Panteleimon sull’Athos, immerso nel silenzio notturno pregno di lacrime e preghiera, un piccolo monaco russo Silvano, lotta contro le tentazioni diaboliche.
Signore – grida – insegnami cosa devo fare perché la mia anima diventi umile. La risposta sorprendente: Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare.

Da quel momento Silvano si consegna al crogiolo della prova, obbediente a Cristo, e lo Spirito Santo lo investe pienamente, trasformandolo in un'incessante preghiera per tutti i disperati. Pur essendo quasi analfabeta, diventa un vero teologo della divina Misericordia, un testimone dell'amore senza frontiere che abbraccia anche i "nemici" e tutti i miserabili di questo mondo orgoglioso e disperato.

Spinto dal desiderio di salvezza per tutti gli uomini, si unisce al sacrificio di Gesù per versare il proprio sangue in un continuo martirio consumato nell'anima, nascosto al mondo e noto solo a Dio.

Silvano considera come gli uomini perseguano la volontà propria andando su strade di rovina: Essi - dice - sperano di trovare la felicità senza il Signore, non sapendo che solo il Signore è la nostra vera gioia.

Abituato a contemplare la natura, vede il mondo delle anime quasi fosse un giardino coltivato dal divino Agricoltore: Come il sole ravviva i fiori del campo e il vento li culla, così Dio riscalda l’anima infondendovi la vita.

Poiché la santificazione avviene ad opera dello Spirito Santo, è questo il dono che Silvano implora per tutti, mentre egli stesso ne già stato ricolmato fin dalla giovinezza e il suo volto, trasfigurato dalla fiamma divina, splende di spirituale bellezza.

Premuroso di trasmettere agli altri il segreto della felicità che egli ha trovato pur stando agli inferi, là dove si patisce l'assenza di Dio, sollecita tutti al pentimento e alla docilità: Perché uno conosca il Signore non ha bisogno di essere ricco o sapiente, ma deve essere obbediente, sobrio, avere uno spirito umile e amare il prossimo.

L'autorevolezza spirituale dovuta alla sua santità attira allo starec Silvano una moltitudine di persone tribolate; ed egli si prodiga senza misura nel ministero della consolazione, consolazione che egli stesso riceve da Dio proprio accettando di tenere la sua anima agli inferi senza disperare.

 


Dopo aver avuto, all'inizio del suo cammino, la grazia straordinaria di vedere per un istante il Signore nella gloria, Silvano paragona il proprio dolore di non vederlo più a quello di Adamo allontanato dal Paradiso e lo esprime facendosi solidale con ogni uomo peccatore e disperato: La bellezza dei boschi e dei parti non mi dà riposo. Il canto degli uccelli non lenisce il mio dolore. Nulla, più nulla mi dà gioia. L’anima mia è affranta da un dolore troppo grande...Dove sei Signore? Dove sei, mia Luce? Dove si è nascosta la bellezza del tuo volto?

Questo dolore e questa struggente nostalgia sono assopiti nel cuore di ogni uomo. Quando si risvegliano nel cuore di un santo, il mondo riceve il battesimo delle lacrime e, lavato, è restituito più bello a Colui che l'ha creato e sempre lo rinnova col suo Amore.

Il 24 settembre 1938, mentre sul Monte Athos si spegneva lo starec Silvano, cominciavano a divampare i sinistri fuochi della Seconda guerra mondiale, frutto di odio e sete di potere...

Dov'era l'amore ai nemici per cui egli aveva tanto pregato e sofferto? E dov'è oggi? Osiamo credere nel cuore di chi, nonostante tutto, ha ancora il coraggio di pregare con le stesse parole dell'umile monaco:

Consolatore buono, con le lacrime agli occhi ti supplico: conforta le anime angosciate; fa’ conoscere a tutti i popoli la tua voce che annunzia: “Vi sono rimessi i peccati”.

Sì, o Misericordioso, tu solo puoi compiere meraviglie e non vi è meraviglia più grande di questa: amare e perdonare.

(da Luoghi dell'infinito, n. 72 marzo 2004)

Babilonia,
figura del Male nell’apocalittica
di Michel Trimaille *

 



* Institut Catholique di Parigi


Le imprecazioni dei profeti contro Babilonia sono niente in confronto allo scatenamento dell'Apocalisse di Giovanni. In che modo, sei secoli dopo l'esilio, questa lontana capitale è diventata, per un autore cristiano, il simbolo di tutti gli abomini? Perché «la grande prostituta», quella in cui «si è trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti coloro che furono uccisi sulla terra», porta il nome di Babilonia?

«Vi saluta la comunità che è stata eletta come vostra dimora a Babilonia, e anche Marco, mio figlio». Strano saluto quello finale di questa lettera apostolica (1 Pietro 5,13)! Si è invano cercato la città che risponde alle informazioni qui date: una Babilonia che avrebbe avuto una comunità cristiana, dove avrebbero verosimilmente potuto soggiornare Pietro e Marco. Si è pensato a un certo campo militare in Egitto, o ancora alla Babilonia di Mesopotamia che, nel secolo della nostra èra, ospitava ancora un'importante colonia giudaica.
Questa ricerca era motivata da un'esigenza di storicità: attribuire alla lettera di Pietro una data che salvaguardasse la sua rigorosa autenticità petrina. Ma si è proprio dovuto cercare altrove la soluzione: noi avevamo lì uno pseudonimo di Roma.

Il nome cifrato di Roma nei testi giudaici

In effetti, Babilonia è il nomo cifrato che i Giudei hanno affibbiato a Roma, ma lo hanno fatto solo in seguito agli avvenimenti del 70, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme e della nazione giudaica.
Il Quarto libro di Esdra risponde all'angoscia di una comunità giudaica scossa dagli avvenimenti del 70. L'autore pensa che gli avvenimenti del 70 ne siano il «prototipo», cioè che la caduta di Gerusalemme sotto gli assalti di Babilonia sia stata il simbolo delle altre conquiste della città; «Ma gli abitanti di Gerusalemme peccarono... Allora consegnerai la città nelle mani dei tuoi nemici. E ora io ti dico nel mio cuore: si comportarono meglio gli abitanti di Babilonia? È per questo che Babilonia domina Sion?» (III, 25.27.28).
L’Apocalisse siriaca di Baruk, scritta forse una quindicina d'anni dopo la caduta di Gerusalemme, s'interroga sulle cause della disgrazia dei giusti e annuncia loro una vendetta su Roma: «Ma dico questo, io, Baruk, contro di te, Babilonia! Se tu fossi nella prosperità e Sion rimanesse nella sua gloria, sarebbe stato per noi un grande dolore che tu fossi uguale a Sion, ma ora il dolore è infinito, in gemito è incommensurabile, perché tu sei prospera e Sion desolata! Chi sarà il Giudice di tutto questo?... Oh, Signore, come hai potuto sopportare questo?» (XI, 1,2.). «E anche il re di Babilonia che ha ora distrutto Sion... sì giustificherà per il popolo e dirà nel suo cuore cose grandi davanti all'Altissimo, ma lui pure cadrà alla fine!» (LXVII, 7,8).
Gli Oracoli Sibillini, attribuiti alla Sibilla, molto noti in ambiente popolare, riportano sugli avvenimenti dell'ultimo terzo del I secolo, «Dopo quattro anni [dalla morte di Nerone]… una grande stella si abbatterà sul mare divino; essa consumerà il mare profondo, Babilonia stessa, e la terra italiana, a causa della quale sono periti molti ebrei santi e fedeli e il popolo di verità... Tu non sarai che desolazione per moltissimi anni.. O perversa città, effeminata e ingiusta! Disgrazia a te, impura città della terra latina…!» (V, 156, 158-161, 163, 167).

La grande prostituta dell'Apocalisse di Giovanni

La Prima Lettera di Pietro, citata all’inizio, non proferisce minacce contro «Babilonia». Invece, come la maggior parte dei testi giudaici di quest'epoca, l'Apocalisse di Giovanni vede in questo soprannome dato a Roma un pegno di giudizio che si abbatterà su di essa come sulla sua sorella maggiore di Mesopotamia.
Dal 14,8 l'autore annuncia la caduta di Babilonia, la grande, quella che ha abbeverato tutte le genti con il vino del furore della sua fornicazione». Più avanti si legge una lunga evocazione poetica, ispirata ai profeti, della caduta di questa nuova Babilonia (l7,1-9,10). Ma l'autore cristiano non le attribuisce la distruzione del Tempio di Gerusalemme e della nazione giudaica; le rimprovera soprattutto di aver perseguitato i cristiani e di aver decimato la Chiesa. «In essa [Babilonia] fu trovato il sangue dei profeti, dei santi e di tutti coloro che furono uccisi sulla terra» (18,24).  L'allusione a Roma è chiara: la città è personificata sotto i tratti di una prostituta seduta su una bestia a sette teste, che sono  sette colline, e l'allusione a un «re che era  e non è più, e che sarà l'ottava di una serie  di sette» (cf 17,10-11), rimanda probabilmente a Nerone e alle credenze popolari  che speravano nel suo ritorno.  Il carattere cristiano di questa rilettura  appare soprattutto nell'opposizione radicale stabilita dall'Apocalisse tra la città distrutta e la Chiesa futura, altra figura femminile, ma sposa dell'Agnello, la cui  venuta costituisce il vertice dell'opera. 

Las caduta della città impura prima delle nozze dell'agnello

Le due descrizioni cominciano allo stesso modo, con l'invito che un angelo fa al veggente: «Ti farò vedere la condanna della grande prostituta...», «Ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello» (17,1-3 e 21,9-l0). E terminano con lo stesso gioco di scena tra il veggente e l'angelo interprete (19,9-10 e 22,6-9). La grande prostituta, vestita di rosso,seduta su una bestia, è anch'essa bestiale: ha ricevuto il suo potere dalla Bestia che lo ha ricevuto dal drago demoniaco (12-13). La città che essa rappresenta è un covo di abomini; sarà distrutta come Sodoma, e non ci sarà più vita in essa (19,21-22). Si vedrà da lontano il fumo degli incendi, poi tenebre totali! Se la sua distruzione provoca i lamenti di coloro che si erano arricchiti al suo servizio e nei traffici di cui essa era il perno al contrario, ciò suscita nel cielo gioia e allegrezza (18,19.20). Infatti, la sua caduta annuncia e prepara le nozze finali dell'Agnello. La sposa di questo Agnello non ha nessun tratto di prostituta: è tutta santa e rivestita della gloria da Dio.

La Gerusalemme celeste: l'antitesi di Babilonia

La città che essa rappresenta è perfetta nella sua architettura, senza alcun abominio, poiché «non entrerà in essa nulla d'impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello» (21,27). Le nazioni cammineranno alla sua luce, che è la luce stessa di Dio: allora «non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada né luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà» (22,5). Questa città è attraversata da un fiume di vita, che nutre un albero della vita che produce frutti tutti i mesi dell'anno, «E non vi sarà più maledizione, perché in lei sta «il trono di Dio e dell'Agnello» (22,3).
Se la metafora di Babilonia è così rimasta viva, non solo presso i Giudei, ma anche presso i cristiani, è perché la sorte finale di Babilonia aveva un significato nella loro memoria: era direttamente quello di conservare, nei credenti toccati dalla prosa, una speranza in giorni più felici.

(da Il mondo della Bibbia n. 20)
Mercoledì, 16 Marzo 2005 18:01

Vocazione e personalità (Thomas Merton)

Per amare il nostro fratello dobbiamo prima rispettarlo nella sua autentica realtà personale, e non possiamo farlo se non abbiamo noi stessi raggiunto il rispetto per la nostra persona, una personalità matura.

Abramo, alle querce di Mamre ci insegna che attraverso l'ospitalità dello straniero possiamo fare la più sorprendente delle nostre esperienze: l'incontro con la presenza misteriosa, vitale e stupefacente di Dio.

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