Giobbe, l'enigmatico testimone
della speranza in crisi
di Ernst Bloch
Un brav'uomo che agisce onestamente accorda volontieri fiducia agli altri. Ma se una volta lo si inganna brutalmente, allora di improvviso i suoi occhi si aprono, e guarda lontano. È questa la situazione in cui Giobbe si trova. Egli mette in dubbio e nega perfino la giustizia di Dio. Il malvagio prospera e il giusto può andare in rovina: è lo stesso Giobbe a farne l'esperienza a sue spese. In preda a indicibili sofferenze, Giobbe accusa Yahvé: egli non cerca più la causa della sua sventura nella sua debolezza e nelle sue colpe. Cerca fuori di sé e sopra di sé un'altra vita e l'azione di una volontà migliore di ciò che vede; non capisce più questo mondo di miseria. La questione di Giobbe è da quel momento quella che non si finirà più di intendere: ma dove è qui Dio (...)?
Dapprima Giobbe si trova davanti solo la stupidità usuale, sconvolta da quanto egli apporta di novità. I suoi tre amici non fanno altro che ripetere i clichés convenzionali, irreali, oppongono a Giobbe la tradizione. Ma non riescono a farlo tacere (...). La coscienza morale di Giobbe è un sostegno più che sufficiente contro Yahvé, il giudice contestabile (...). Un uomo, dunque, supera, anzi risplende sopra al suo Dio: questa è e resta la logica del libro di Giobbe, nonostante l'evidente resa finale (...).
Nondimeno (...), malgrado tutto, una volta che Yahvé è scomparso, non sussiste tutta la crudeltà della natura incurante e insensibile degli uomini? (...). Anche le questioni di Giobbe non trovano con il loro esodo dal Dio di un'apparente giustizia una risposta definitiva. E invece persistono, trasposte, trasformate, davanti al turbine che pietrifica, davanti al grande silenzio del mondo, del tutto senza Yahvé. Dire che Dio 'non esiste' non è dunque la soluzione più semplice della teodicea (...). La soluzione più semplice, invece, è quella di riconoscere che esiste sempre nel mondo un nuovo esodo, che ci fa uscire dall'ordine stabilito, una speranza che si lega con la rivolta e che si fonda sulle possibilità concrete di un nuovo essere. In virtù di queste possibilità noi possiamo trovare appoggio nel futuro, con un processo ricco di promesse, molto incerto, ma incessantemente gravido di soluzioni: la sua e la nostra soluzione. L'esodo dalla rappresentazione del Dio-Cesare, come Giobbe lo cominciò mettendo l'uomo sopra ogni tipo di tirannide (...), questo esodo non è ancora un esodo dall'esodo stesso. Pur non credendo in Dio, il ribelle possiede fiducia in Dio; dà fiducia allo Yahvé dell'uscita dall'Egitto e gli conserva questa fiducia (...). Il Dio del libro di Giobbe, conosciuto dai suoi frutti, domina e schiaccia col suo strapotere e la sua grandezza e lo fronteggia dal Cielo solo come un Faraone. E tuttavia Giobbe è religioso proprio perché non crede. Non crede in nulla, fuorché nell'esodo e nel fatto che umanamente l'ultima parola umana non è stata ancora pronunciata da Colui che viene per vendicare il sangue e per fermarlo, in breve dal figlio dell'uomo stesso, invece che dal Signore onnipotente. Una parola, da cui ora non vi è più esodo, ma che introduce senza alcun terrore nell'alto negato e conservato.
(tratto da Ernst Bloch, L'ateismo nel cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1971, pp. 146-161)