I Dossier

Domenica, 29 Agosto 2004 21:57

Commento al brano di Isaia 2, 1-5

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Comunità S. Egidio

Il profeta Isaia ci parla di un mondo in cui regna la pace, in cui tutti i popoli vanno "verso il monte del Signore". E oggi siamo riuniti per pregare insieme per la pace in tutte le terre. La preghiera ci raccoglie e ci sostiene in una via di pace.

La nostra domanda di pace non viene dal desiderio egoista di preservare il nostro benessere:

come se, succeda quello che succeda, volessimo comunque restare fuori dal problemi e dalle difficoltà di chi vive situazioni di guerra e di violenza. Non c'è un desiderio egoistico di tirarci fuori dalle responsabilità di un aiuto, di una solidarietà, di una vicinanza. La nostra domanda di pace viene dal constatare che tanti, troppi, conflitti sono ancora aperti. E non si fa niente o molto poco per chiuderli, per trasformare "le spade in vomeri" e "le lance in falci", come dice il passaggio del profeta Isaia. Sono i conflitti che si svolgono in tanti Paesi di questo mondo.

Purtroppo la guerra è ancora una realtà in tante parti. Li bisogna intervenire con generosità e con intelligenza, perché la vita di tanti popoli non sia ingoiata da un mostro che tante volte sembra ingovernabile o invincibile. C'è tanto lavoro per gli "uomini di buona volontà". In tanti Paesi, nel Sud e nel Nord del mondo, si vive preoccupati per il proprio futuro. Anche perché, con il passare degli anni, ci si rende conto che niente di solido è stato costruito nelle relazioni internazionali. Forse abbiamo sprecato quella occasione di costruire un mondo di pace che in certi momenti ci era stata offerta. Ed oggi, purtroppo, la guerra è diventata una realtà diffusa un po' ovunque come un'oscura malattia.

Com'è possibile un mondo senza guerra? Molti affermano che è impossibile, dicendo che bisogna essere realisti. E aggiungono magari che ci si deve abituare alla guerra, all'uso della forza bellica. Sì, lo sappiamo: il mondo non è ideale. Ci sono minacce di guerra, c'è l'uso del terrorismo, si costruiscono arsenali di morte che finiscono in mani irresponsabili per sete di guadagno degli uni e per follia degli altri. Il mondo è pieno di covi di violenza.

Eppure, la profezia di Isaia che ci parla di un mondo di pace non è solo un sogno. Essa ci indica una strada percorribile. Ed il Signore stesso ci invita a liberarci dal pessimismo e dalla rassegnazione. Le difficoltà del nostro tempo, le minacce, il terrorismo, i regimi bellicosi, i tanti conflitti aperti non sono per noi l'ultima parola.

Il profeta Isaia, in un'epoca antica, segnata anch'essa da tante guerre e conflitti di ogni genere, alzò sul mondo una parola di pace. La nostra preghiera di oggi vuole essere come quell'"alto monte" di cui parla il profeta, sul quale si costruisce "il tempio del Signore" e a cui "affluiscono tutte le genti". Non siamo soli nella preghiera. Siamo in comunione con tanti che hanno raccolto in tutto il mondo la stessa intenzione di preghiera e che hanno dato lo stesso appuntamento in tanti Paesi diversi. Davvero siamo su un alto monte cui "affluiscono tutte le genti".

Questo ci dà la forza e l'audacia per guardare il futuro nostro e dell'umanità. Non è un compito troppo difficile o che spetta solo al potenti, ma è responsabilità di tutti. La preghiera ci chiede di allargare i confini del nostro cuore per ascoltare la voce dei molti popoli che ci invitano a salire oltre noi stessi per chiedere al Signore di indicarci le sue vie e i suoi sentieri.

La parola di Dio ci indica un cammino, lo illumina come una lampada che risplende anche nei tanti luoghi della terra oscurati della guerra. Noi non abbiamo paura di camminare su questa strada di pace. Sappiamo di non essere soli e di incontrare in questo cammino le attese di tanti. E in questa giornata in cui la Chiesa Cattolica celebra la giornata mondiale per la pace ci facciamo prossimi e solidali alla voce di Giovanni Paolo Il, che si è levata contro la cultura della guerra.

L'anno scorso abbiamo celebrato il quarantesimo anniversario della prima enciclica sulla guerra da parte di un papa, quella del Beato Giovanni XXIII, la Pacem in terris, cioè "la pace in tutte le terre". Giovanni XXIII non si rassegnò alla cultura della guerra inevitabile, nonostante che il mondo fosse carico della minaccia nucleare. La pace non è impotenza; non è egoismo pauroso: e un nuovo nome, un nome eterno, dell'impegno per l'uomo. Questa è la realtà! La pace - diceva Giovanni XXIII - è un "bene comune universale", che appartiene al mondo intero. D'altra parte la guerra - ne siamo convinti - è un male che rischia di contagiarsi ben al di là di quelli che si combattono. Per questo ogni avventura di guerra ci trova pensosi, come ogni esperienza di conflitto ci trova impegnati a cercare la via d'uscita.

Ancora una volta, la nostra preghiera vuole attingere a queste parole impegnative: Pacem in terris! Pace in tutte le terre! E vogliamo unire la nostra voce a quella del Papa Giovanni Paolo Il, che ha fatto sua - in tante occasioni e di fronte a tante minacce - la voce del suo predecessore. E' la richiesta che viene certamente dal cuore della Chiesa cattolica; ma non solo. E' una richiesta che condividono i cristiani di tutto il mondo. E sale anche da altre religioni, da tanta gente ragionevole in ogni parte del mondo. E' la richiesta della pace in tutte le terre!

Per questo oggi alziamo la nostra preghiera e diciamo che la pace è possibile. Oggi comprendiamo meglio che la visione del profeta di un'umanità che trasforma strumenti di guerra e di morte in strumenti di lavoro e di pace non è un sogno irrealizzabile. Come credenti ci rivolgiamo con fiducia al Signore. Sappiamo che Dio ha pensieri di pace e aiuterà e sosterrà l'opera degli operatori di pace.

 

 

 

 

Letto 9033 volte Ultima modifica il Domenica, 18 Settembre 2011 19:45
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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