I Dossier

Martedì, 24 Agosto 2004 21:45

La pace come meta e come metodo

Vota questo articolo
(0 Voti)

di Leonardo Boff

Qualsiasi guerra è perversa perché viola il comandamento dell'etica naturale "non uccidere". Ma esistono dei problemi: che fare se un Paese viene aggredito da un altro? Ha il diritto di difendersi con la forza? Come devono comportarsi i governanti dei popoli che assistono alla pulizia etnica a danno di minoranze da parte di dittatori sanguinari che tutt'ora violano sistematicamente i diritti umani, eliminando i propri oppositori? E' giusto attenersi al principio del non intervento in questioni interne di Stati sovrani e assistere, passivi, a crimini contro l'umanità? Come reagire al fenomeno diffuso del terrorismo che può utilizzare armi di sterminio di massa e uccidere migliaia di innocenti? E' legittima contro questo una guerra preventiva?

Sono questioni etiche che tengono occupati cuori e menti in questi giorni. Per non cadere nella disperazione dobbiamo riflettere. Nel mondo intero èsorto un dibattito estremamente serio sulla strategia degli Stati Uniti di usare la forza per far valere i propri interessi globali. Emergono varie posizioni. Un ampio gruppo sostiene questa tesi: di fronte al potenziale di devastazione della guerra moderna che può addirittura compromettere il futuro della specie e tutta la biosfera, non c'è più alcuna guerra giusta (ius ad bellum). Un altro gruppo afferma: può esserci una guerra giusta, l"'intervento umanitario", ma limitata ad impedire l'etnocidio e i crimini di lesa umanità. Un altro gruppo, rappresentato dall'establishment globale, ribadisce: bisogna riscattare la guerra giusta come autodifesa, come punizione dei Paesi dell'"asse del male" e come prevenzione di attacchi con armi di distruzione di massa.

Esprimiamo un giudizio etico su queste posizioni: nelle attuali condizioni ogni guerra rappresenta un altissimo rischio, poiché disponiamo di una macchina di morte capace di distruggere l'umanità e la biosfera. La guerra è un mezzo ingiusto. Nel quadro di una politica realista, un "intèrvento umanitario" limitato è teoricamente giustificabile a due condizioni: non può essere deciso da un singolo Paese, ma dalla comunità delle nazioni (Onu) e deve rispettare due principi base (ius in bello), l'immunità della popolazione civile e la proporzionalità dei mezzi (non possono causare più danni che benefici). La forza impiegata come autodifesa non diventa buona, ma si giustifica all'interno di una stretta proporzionalità dei mezzi. La guerra punitiva, come quella contro l'Afghanistan, si basa sulla vendetta e non è difendibile. Alimenta soltanto rabbia, brodo di coltura di futuri conflitti. La guerra preventiva, come quella contro l'Iraq, è illegittima perché si basa su ciò che ancora non è e può non avvenire. Nessun diritto, di qualsiasi natura, le può concedere legittimità, in quanto è soggettiva e arbitraria.

Tutto ciò vale sul piano teorico, ed è importante chiarire le posizioni. In pratica però, si è dimostrato che tutte le guerre, anche quelle di "intervento umanitario" non osservano i due criteri dell'immunità della popolazione civile e della proporzionalità dei mezzi. Non si fa distinzione tra combattenti e non combattenti. Per indebolire il nemico si distrugge la sua infrastruttura, con molte morti di innocenti (98%). Le conseguenze della guerra persistono per anni e anche per secoli, come nel caso dell'uranio impoverito. La guerra non è una soluzione per nessun problema. Dobbiamo ricercare un nuovo paradigma, alla luce del pensiero di Gandhi e di Luther King, se non vogliamo distruggerci: la pace come meta e come metodo. Se vuoi la pace, prepara la pace.

(da Adista, n. 18, 2003)

 

 

 

 

Letto 2198 volte Ultima modifica il Sabato, 17 Settembre 2011 13:50
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search