Ci avviciniamo sempre più alla grande solennità del Natale, alla commemorazione gioiosa della nascita del Signore, già più di 2000 anni; al rinnovamento della nostra speranza in cui, così come Gesù venne un giorno a portarci il Vangelo, così tornerà un giorno, come Signore onnipotente, a chiederci conto di esso.
Oggi abbiamo letto nella prima lettura di Isaia, un passo simile a quello di domenica scorsa. Il profeta annuncia al popolo castigato di Giuda un rinnovamento totale del mondo. La terra castigata dalla siccità, i campi avvizziti e rinsecchiti torneranno ad essere come ai tempi antichi, come nel paradiso terrestre prima del peccato, come i luoghi più belli, ospitali e fecondi che conosciamo.
Egli parla della cordigliera verde e feconda del Libano, dove crescevano i cedri mitologici con il cui legno si costruì il tempio di Dio in Gerusalemme; parla della montuosità del Carmelo o della pianura costiera di Saron che era per gli israeliti immagine di bellezza e di pace. Ma si rinnoveranno anche le vite degli esseri umani, dei deboli dei sofferenti, le cui malattie saranno curate. Ci saranno motivi per rallegrarsi e sperare in un futuro migliore. Il popolo deportato in regioni lontane tornerà a Sion, a Gerusalemme, tra canti di giubilo. Si annuncia la gioia, la sconfitta delle pene e dei dolori. Esagerato ottimismo? Un sogno irrealizzabile?
Ma le parole del profeta si compirono varie volte, quando effettivamente gli israeliti ritornarono dalla Mesopotamia nella loro amata terra, riedificarono il tempio e tornarono ad adorare il loro Dio. Quando Gesù ci portò il Vangelo, la Buona Notizia della nostra salvezza. E si realizzeranno un giorno definitivamente quando Gesù, nella sua gloria, tornerà a porre fine alla storia. Un piccolo passo della lettera di Giacomo ci esorta ad avere pazienza e speranza. Come quella del lavoratore che aspetta dalla terra il frutto delle sue fatiche. Ci dice che il Signore è vicino, tanto che ci apprestiamo a celebrare la sua nascita, è tanto vicino che non c'è tempo da perdere e dobbiamo essere disposti a rispondere all'unico giudice delle nostre vite, che non ci chiederà conto se non del nostro amore. E ci dice Giacomo che dobbiamo avere come modelli i profeti, come Isaia, Elia, Giovanni Battista. Essi ci annunciarono la parola di Dio che leggiamo ed ascoltiamo ogni domenica. Messo in carcere dai capricci di Erode Antipa e della sua illegittima moglie Erodiade, Giovanni Battista invia a chiedere a Gesù se sia veramente lui il Messia. Non lo aveva forse indicato lui in mezzo alla moltitudine, e non lo aveva battezzato nelle acque del Giordano? Giovanni Battista vuole assicurarsi, di fronte al martirio, che non avesse lavorato invano, vuole ascoltare le parole di grazia dalla bocca di Gesù, sapere come realizzerà concretamente la sua missione. Gesù non gli risponde con dichiarazioni di autenticità, con argomenti teologici. pone praticamente di fronte ai suoi occhi i ciechi che vedono, i sordi che sentono, gli zoppi che camminano, i lebbrosi guariti i morti che tornano in vita. Al di sopra di tutto il segno del vero Messia: che ai poveri è annunciata la Buona Notizia, il Vangelo della loro liberazione. Poi, di fronte alla moltitudine che è stata testimone della missione del Battista, Gesù fa un alto elogio del suo precursore: non è una canna del deserto scossa dal vento, come questo Erode Antipa che lo tiene prigioniero e che fa imprimere sulle sue monete l'immagine di una canna come simbolo del suo potere; nemmeno è un imbroglione riccamente vestito come tanti dignitari del tetrarca che lo adulavano nel suo palazzo di Tiberiade. E' semplicemente un profeta più che un profeta, quello definitivo, il profeta escatologico che doveva preparare le vie del Messia. Il più grande dice Gesù, tra i nati di donna. Sebbene immediatamente aggiunga che il più piccolo nel Regno, qualunque di noi se vogliamo, è più grande di Giovanni. La domanda di Giovanni è la domanda di ogni essere umano nella sua ricerca esistenziale: "sei tu quello che aspettiamo, sei realmente quello che può colmare la nostra speranza, o dobbiamo aspettarne un altro?" La domanda in realtà non è solo su Gesù, ma - più in là - sull'oggetto della speranza umana.
Hanno cercato l'oggetto della loro speranza, in un modo o nell'altro, tutti gli uomini e le donne, di tutti i tempi, in tutte le religioni - e anche prima delle religioni, poiché queste, come religioni formali, non risalgono a prima degli ultimi 5000 anni, ma gli uomini e le donne sono stati "spirituali" da molto prima…
La risposta di Gesù forse può essere estrapolata molto più in la non solo dello stretto scenario delle inquietudini del Battista, ma del cristianesimo in generale. Gesù, rispondendo agli emissari del Battista, offre il criterio della sufficienza e dell'autenticità dell'oggetto della nostra speranza come esseri umani: li dove si fa il bene, li dove si libera l'essere umano dalle sue oppressioni, ossia, li dove "i ciechi vedono e gli storpi camminano" e dove "ai poveri è annunciata la Buona Notizia, lì sta "colui che dobbiamo aspettare", colui che è oggetto certo della nostra speranza come esseri umani. Al contrario: se un esistenza umana non è liberatrice, se un atteggiamento umano non è di amore e di liberazione, qui non c'è Dio, e questa "religione" non è quella che dobbiamo aspettare, ma dovremmo cercare un'altra forma di relazionarci con Dio, un nuovo testamento, di fronte alle antiche attitudini religiose ormai superate. Estrapolata cosi la domanda di Giovanni, può essere applicata all'attuale crisi di civiltà e anche all'attuale "metamorfosi del religioso". Molte persone vivono la loro fede riproducendo semplicemente "ciò che è sempre stato", nonostante i cambiamenti profondi che si stanno dando… ciascuno di noi deve seguire i dettami del proprio cuore, e questo va bene. Ma molti, pure seguendo i dettami del loro cuore, sentono che "dobbiamo aspettare altro", che la speranza che abbiamo avuto fino ad ora si è fatta corta, che il Dio o Messia adorato (o l'immagine che di Lui ci siamo fatti) non era realmente l'oggetto della nostra speranza, e che questa va molto più in là, ossia "che dobbiamo aspettare altro"… Molti uomini e donne attuali sentono confusamente nel loro cuore questo "dobbiamo aspettare altro": un altro tipo di vita religiosa, un'altra immagine di Dio, una chiesa veramente "altra", una morale veramente diversa, una religiosità o spiritualità veramente altra (nuova?).
In tempi di crisi, di transizione e di nuova alba, la domanda del Battista amplia i suoi orizzonti all'orizzonte dello stato della religione nel mondo… E la domanda è comune, perché non risolverla dialogando?
Per la revisione di vita
- Che ne è della speranza nella mia vita? Sono uomo o donna di speranza, che la trasmette agli altri?
- Questa speranza si traduce in difformità "con questo mondo", in lotta e resistenza, o sono di quelli che si rassegnano e si accomodano in questa ora della storia?
Per l'incontro di gruppo
"…o dobbiamo aspettare altro?" In questo tempo di avvento, tempo della speranza, facciamo un check-up alla speranza del mondo. Perché le religioni convenzionali entrano in crisi, mentre oggi c'è una ricerca di spiritualità e di senso? Si direbbe, curiosamente, che alle religioni vada male, mentre la ricerca di spiritualità vada molto bene.
Cosa dobbiamo dedurne da questo paradosso? Un sintomo che le religioni devono trasformarsi profondamente per essere capaci di sintonizzarsi con la speranza profonda di coloro che cercano?
Per la preghiera dei fedeli
- Perché in questo avvento continuiamo ad alimentare la speranza, approfondendola e condividendola…
- Per tutti coloro che in questi giorni vicini al Natale si sentono tristi e nostalgici, lontani dai loro famigliari e soli… Perché la potenza del suo amore superi le distanze e li faccia sentire in comunione universale…
- Perché ci prepariamo alla celebrazione del Natale con realismo cercando di operare perché "Gesù effettivamente nasca" intorno a noi…
- Perché la lontananza in cui oggi si colloca l'utopia di tutti i sognatori, non li conduca alla rassegnazione o al fatalismo, ma sia superata nella costanza, nella fede senza chiusure, nella resistenza e nello sforzo per avvicinare sempre più l'utopia del Regno…
- Perché in queste vigilie del Natale l'austerità del Battista, il precursore, ci ricordi che la sobrietà motivata dal desiderio di condividere con i più bisognosi, è per i poveri una Buona Notizia che annuncia l'effettività della nascita di Gesù…
Orazione comunitaria
Dio Padre e Madre del nostro Signore Gesù Cristo: avvicinandosi le feste del Natale ti chiediamo di far affiorare nelle nostre vite il meglio del nostro cuore, perché possiamo condividere con i nostri fratelli la tua tenerezza, il tuo amore di cui ci hai fatto partecipi. Te lo chiediamo per Gesù tuo Figlio che con Te vive e regna, e con noi vive e cammina, per i secoli dei secoli.
Mons. Oscar Arnulfo Romero
Profilo biografico: Arcivescovo di San Salvador, ucciso il 24 marzo 1980 da parte di membri dell'esercito salvadoregno. Nato nel 1917, aveva studiato teologia presso l'Università Gregoriana di Roma, dove nel 1942 era stato ordinato prete. Parroco ed in seguito direttore del Seminario interdiocesano di San Salvador, nel 1967 venne ordinato vescovo. Di orientamento inizialmente conservatore, di fronte all'assassinio di un prete della sua diocesi, P. Rutilio Grande, nel 1977, da pochi giorni nominato Arcivescovo di San Salvador, cambia il suo stile pastorale e centra il suo programma di lavoro sulla scelta dei poveri. Prende concretamente posizione dando il proprio giudizio sulla situazione politica e sociale del paese. Denuncia l'intervento degli USA con una lettera al presidente Carter. Chiede ai soldati di disobbedire di fronte agli ordini ingiusti dei loro officiali (omelia della domenica delle palme del 1980). Il giorno seguente viene assassinato mentre sta celebrando l'eucarestia.
Opere di Oscar Arnulfo Romero: Diario, ed. La Meridiana, Molfetta 1990. …y lo mataron. Scritti e discorsi di una vittima della repressione in America Latina, ed. AVE, Roma 1980; Dio ha la sua ora (testi scelti), Edizioni Borla, Roma 1994; La violenza dell'amore (testi scelti), Città Nuova, Roma 2005.
Su Oscar Arnulfo Romero: A. Levi, Oscar Arnulfo Romero un vescovo fatto popolo, Brescia (Morcelliana), 1981; AA.VV., Il vescovo Romero, martire della sua fede per il suo popolo, Bologna (EMI), 1980; I. Ellacuria, Il vero popolo di Dio, secondo Monsignor Romero, in Conversione della Chiesa al Regno di Dio, Brescia (Queriniana), 1992, pp.81-114; J.R. Brockman, Oscar Romero. Fedele alla parola, Cittadella Editrice, Assisi, 1984; Ettore Masina, L'Arcivescovo deve morire. Monsignor Romero e il suo popolo, ed. Gruppo Abele, 1996; Ettore Masina, Oscar Romero, prefazione di Leonardo Boff, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (FI), 1993. Vitali Alberto, Oscar A. Romero. Pastori di agnelli e lupi (Paoline). Segnaliamo anche il film “ROMERO” di John Duigan (distribuito in home-video da Titanus) ed il musical Romero. The musical (2009), scritto da Liam Bauress e George Daly, con gli arrangiamenti di Richard Benbow e le coreografie di Lynette Driver.
Il testo che presentiamo: l'azione pastorale di Mons. Romero si è caratterizzata in particolare attraverso le omelie, occasione per attualizzare la Parola di Dio nel contesto civile e sociale del suo paese. A partire dai testi biblici dell'Avvento Romero sviluppa una riflessione sulla speranza: "dobbiamo aspettare altro": un altro tipo di vita religiosa, un'altra immagine di Dio, una chiesa veramente "altra", una morale veramente diversa, una religiosità o spiritualità veramente altra (nuova?).