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Sabato, 23 Agosto 2008 01:34

Comunicare in pace (Claudia Padovani)

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Comunicare in pace

di Claudia Padovani *

Alcune connessioni per ampliare la riflessione sulla cultura della pace e sul rapporto tra pace e comunicazione.

Mentre si va ampliando il senso dell’insicurezza globale ed è davanti a tutti la difficoltà di costruire alternative in un mondo segnato dalla conflittualità, mi chiedo di che cosa sia fatta quella “cultura della pace” che sentiamo così necessaria e che fatichiamo a portare nelle situazioni educative, comprese le aule universitarie. Come ricercatrice ed educatrice, ragiono sul ruolo e le responsabilità dell’informazione, e mi aiuta l’ultimo numero di Media Development, bella rivista dell’Associazione mondiale per la comunicazione cristiano (Wacc), incentrato su “Comunicare la pace”. Parto da qui per condividere alcuni tasselli del mosaico di riflessioni e azioni) che silenziosamente, ma caparbiamente, propongono un nexus fra pace e comunicazione.

Un primo tassello è fornita dalla dimensione istituzionale, ovvero dal riconoscimento esplicito, da parte della comunità internazionale, dell’impegno necessario per promuovere relazioni pacifiche fra i popoli. Se già nel 1948 il Preambolo della Costituzione dell’Unesco ricordava che «data che è nella mente degli uomini che si prepara la guerra, è nella mente degli uomini che la pace deve essere costruita», oggi abbiamo una comprensione più raffinata di cosa questo significhi. Ce lo ricordano la Dichiarazione e il Programma di azione per una cultura di pace, adottati dall’Onu nel 1999, in cui la “cultura di pace” è definita come «l’insieme di valori, attitudini, comportamenti e stili di vita che rifiutano la violenza e prevengono i conflitti, affrontando le cause alla radice, per risolvere i problemi attraverso il dialogo e la negoziazione fra individui, gruppi e nazioni». Si legge anche che «la comunicazione partecipativa e il libero flusso delle informazioni e della conoscenza» sana condizioni necessarie per la creazione e il mantenimento di una cultura della pace. Ce lo ricorda anche la Carta della Terra, adottata nel 2006, quando richiama chi opera nei media a enfatizzare la responsabilità sociale sull’idea di profitto e od affermare lo spirito della solidarietà umano (wwwearthcharter.org).

Se pensiamo la cultura come la «somma di tutte le forme dell’espressione umano e dei linguaggi, incluso l’ordine sociale e le istituzioni che le comunità umane si danno, gli standard morali che adottano e le loro interpretazioni e visioni della realtà, allora diventa chiaro che un approccio olistico è necessario per cambiare la presente cultura di violenza in una cultura di pace» (Holshopple et al., Building Peace, Overcoming Violence in Communities, WCC 2004). Questa visione olistica lascia spazio - ed ecco il secondo tassello - a una riflessione ampia sulla comunicazione, da intendere non sola come l’informazione mediata dai media, che sono chiaramente elementi di influenza e persuasione, e sempre più condizionati da logiche di profitto che spessa forniscono sostegno alla cultura di guerra. Parlare della comunicazione nella costruzione di una cultura di pace implica il coinvolgimento di ogni strumento della comunicazione, nelle diverse situazioni in cui le persone si trovano in relazione con gli altri, ai diversi livelli di scambio e comprensione reciproca. Assieme ai mass media sono, centrali l’educazione (formale e informale), i media comunitari, le molte realtà della società civile.... Spesso, inoltre, i mezzi di informazione sono ritenuti responsabili di rendere le persone meno sensibili nei confronti delle diverse forme di violenza, per le immagini che propongano e per il modo in cui è realizzato la copertura delle notizie relative a conflitti in varie parti del mondo. Questo tipo di violenza “ovvia” maschera, però, altre forme di violenza strutturale, spesso ignorate ma altrettanto rilevanti:

Qui un terzo tassello è quello offerto dalla riflessione femminista, dove la pace è considerata non solo come l’assenza di violenza ma come «il godimento di condizioni di giustizia, eguaglianza e libertà fondamentali nella società» (UN, Nairobi 1985).

Molti studi riferiscono di come il coinvolgimento diretto delle donne nei processi di pace sia una garanzia del loro esito sostenibile; e questo viene spesso spiegato, riconoscendo alle donne una innata propensione alla pace, che contrasterebbe con la naturale propensione degli uomini alla violenza. Lo studiosa lris Marion Young va oltre questa generalizzazione e propone una lettura centrata sul modo in cui la nostra comprensione del maschile e del femminile sanziona, promuove o rende accettabili le attitudini alla violenza e all’ingiustizia. Il genere, come relazione di potere caratterizzata dal dominio del maschile su un femminile subordinata che si concretizza in diversi luoghi - la famiglia, il lavoro, la comunità, le istituzioni -, se riferito ai processi della comunicazione, può limitare la nostra percezione delle possibilità di creare relazioni pacifiche.

Da qui l’ipotesi di un’analisi di genere delle dinamiche comunicative, in grado di rendere manifesta la logica di genere per sovvertirla e di individuare strade alternative per uno strategia di pace. E qui si torna alla lettura olistica: dal microcosmo della famiglia, in cui gli individui si formano alla comprensione delle relazioni di genere, fino alle istituzioni sociali in cui si riproducono le aspettative relative al maschile e al femminile, è il genere che permea il nostro modo di rapportaorci agli altri.

Non c’è qui l’urgenza di unificare i tasselli in una sintesi conclusiva e ce ne sarebbero molti altri da includere. Prosegue la sfida della costruzione, materiale e culturale, di una comunicazione di pace. * Docente di Comunicazione Internazionale - Università di Padova




(da Nigrizia,  febbraio 2008)

Letto 3809 volte Ultima modifica il Venerdì, 15 Gennaio 2010 23:29
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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