Nonviolenza violenta?
di Enrico Peyretti
Tutto serve. Tanti anni fa, in Spagna, lessi su un muro «Los guerrilleros de Cristo Rey, somos la ley». Gesù guerrigliero, di estrema destra. A quando Gandhi alfiere dell’impero? Nella pubblicità, come Gesù, è già stato ripetutamente usato. Anche i suoi metodi possono servire a tutto, secondo l’articolo Nell’ombra delle “rivoluzioni spontanee”, di Régis Genté e Laurent Rouy, su «Le Monde Diplomatique» (gennaio 2005, p. 6). Nel ’99 in Jugoslavia, falliti i bombardamenti della Nato, si organizzano, e si finanziano bene, potenti manifestazioni popolari nonviolente e Milosevic (il quale se lo merita pure) cade. Serbia, Georgia, Ucraina: funziona! Il metodo è quello delle grandi rivoluzioni nonviolente dell’89 nell’Europa orientale. Certo, non è solo manipolazione, c’è una vera insorgenza popolare contro autoritarismi e dittature. Ma il metodo serve a qualunque scopo.
Aggiustare le elezioni
Dove un potere deve un po’ aggiustare le elezioni per legittimarsi – ma questo non è successo, almeno nel 2000, anche negli Usa, modello di democrazia da esportazione forzata? – si infiltrano, secondo gli autori dell’articolo, organizzazioni e fondazioni americane. Una, il National Democratic Institute, è presieduta da Madeleine Albright, quella che disse che le vittime della guerra del Golfo «valevano la pena». Un’altra, Freedom House, è diretta da James Woolsey, ex capo della Cia, già attivo in Serbia nel 2000. Vanno in aiuto a parti interne che «volevano far crollare il regime più che avere libere elezioni», come dice Gia Jorjolani, del Centro per gli studi sociali di Tbilisi, Georgia.
I media e i movimenti studenteschi (Otpor, Resistenza, in Jugoslavia) vi hanno grande parte. Seminari di «formazione per formatori» sono tenuti anche a Washington (9 marzo 2004), pare con la presenza di Gene Sharp, teorico della lotta nonviolenta e autore di un classico manuale in tre volumi, Politica dell’azione nonviolenta (Edizioni Gruppo Abele), molto usato anche dai nonviolenti italiani.
Quelle rivoluzioni nonviolente in Serbia e Georgia, a detta degli stessi politici che hanno preso il potere, sono state sostenute da forze contrarie ai precedenti regimi. Nelle recenti elezioni contestate e ripetute, sotto pressione popolare, in Ucraina, hanno avuto parte evidente la Polonia e l’Unione Europea. Personaggi ivi emergenti fanno parte della nomenklatura arricchitasi con le privatizzazioni. Non sempre ci guadagna la democrazia: un anno dopo la «rivoluzione delle rose» in Georgia, una militante per i diritti umani, Tinatin Khidasheli, scrive «La rivoluzione delle rose è appassita» («International Herald Tribune», Parigi, 8 dicembre 2004).
La politica estera americana, dunque, si servirebbe oggi non solo della guerra, ma anche di questi movimenti, non veramente spontanei, anche se attecchiscono grazie ai difetti, e a volte i crimini, dei regimi contestati. Pare che, oltre l’area ex-sovietica, punti ora ad applicare il metodo a Cuba, mentre nel Medio Oriente le possibilità sono scarse, anche per l’odio che gli Usa si sono guadagnati.
Democrazia: metodo e fine
Che dire, da parte di chi crede nella nonviolenza come metodo giusto per fini giusti? Anzitutto, proprio questo: non solo i mezzi devono non essere violenti, ma anche i fini. La Germania nazista e l’antisemitismo fascista, cominciarono la persecuzione degli ebrei, diretta allo sterminio, col boicottaggio economico, che in sé è un tipico mezzo nonviolento contro le economie ingiuste. Usare mezzi giusti per fini ingiusti è tanto ingiusto quanto usare mezzi ingiusti per fini giusti. La nonviolenza gandhiana è una speranza per l’umanità spinta sull’orlo della distruzione totale dalla ideologia della violenza: manipolarla per fini di dominio, uguali a quelli che si cercano con la guerra e la violenza, è falsificare un valore umano. La nonviolenza non è solo una tecnica utile, ma la cultura del rispetto dell’umanità in ogni persona e popolo. Come insieme di tecniche può servire al dominio incruento e sottile, ma non meno ingiusto. Come cultura e spiritualità non può farsi strumentalizzare dall’ingiustizia del dominio. Perciò, la ricerca della nonviolenza non può essere semplice attivismo, ma educazione morale profonda. Su di ciò i nonviolenti devono vigilare e approfondire il loro lavoro. Si sono già viste anche da noi forze politiche sbandierare Gandhi e poi rendersi utili ai potenti e persino alla guerra.
Certo, puntare al potere con la demagogia incruenta è qualcosa di meglio che con una guerra o un golpe sanguinario, mezzi usati senza scrupoli da chi ora si serve della nonviolenza, ma mai da Gandhi, da Luther King, da Badshah Khan. Così, la democrazia, ovviamente, è meglio della dittatura. Ma essa è vera se e quando le persone si educano a decidere secondo giustizia, e non soltanto perché si contano le teste invece di tagliarle. Non c’è vera democrazia là dove le teste decidono liberamente di tagliarne altre, o di opprimerle, o tacitarle. La democrazia che elegge Hitler è falsa democrazia, forma senza sostanza. Non c’è vera democrazia dove il principio di maggioranza instaura una dittatura della maggioranza, come sta accadendo in Italia. La democrazia è un metodo, ma soprattutto un fine: farci tutti più rispettosi della comune umanità. Perciò la nonviolenza dei mezzi e dei fini è l’aggiunta e il completamento della democrazia.