Il rapporto tra le organizzazioni non governative (Ong) che operano nel campo della cooperazione internazionale e il Governo italiano ha raggiunto livelli di alta conflittualità. L'apposito Comitato che ha il compito di visionare e di approvare i nuovi progetti non si è riunito lo scorso anno per almeno sei mesi, mentre il ministero degli Affari esteri ha bloccato a lungo i contributi per i progetti in corso con la conseguente difficoltà di molte associazioni a onorare gli impegni assunti verso i Paesi del Sud del mondo coinvolti e con una grave perdita di credibilità.
Recentemente vi è stato qualche segnale di distensione come l'erogazione di alcuni contributi, peraltro già deliberati, e l'approvazione di qualche nuovo progetto. Ma il mondo delle Ong continua a sentirsi ignorato da chi ha per ufficio il compito di mantenere con esso rapporti di carattere istituzionale; non solo è venuta meno la concertazione, in passato praticata, ma sembra anche bandita ogni forma di dialogo: e ciò che più allarma è l'assoluto disconoscimento della rappresentanza che democraticamente le organizzazioni non governative si sono date e la scelta di privilegiare relazioni clientelari, nonché di favorire trattative discrezionali individuali con il rifiuto di ogni forma di interlocuzione.
Questi dati appaiono ancor più sorprendenti se si considera che agli inizi della legislatura era stato ufficialmente sbandierato l'aumento delle risorse da erogare alle associazioni italiane impegnate in questo settore e che lo stesso presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dopo l'11 settembre, aveva pubblicamente sostenuto la possibilità di portare la percentuale del Pil (Prodotto interno lordo) destinata alla cooperazione all'1 per cento (attualmente è allo 0,2). Il che, oltre a rientrare nel novero delle promesse mancate cui ci sta abituando questo Governo, costituisce un atto di demagogia perpetrato sulla pelle delle popolazioni più povere del Terzo e Quarto mondo. Non soltanto infatti è mancata qualsiasi traccia degli aumenti ventilati, ma - come abbiamo rilevato - i cambiamenti intervenuti vanno radicalmente in direzione opposta, giustificando l'allarme di chi ritiene che il settore della cooperazione sia votato, nel giro di pochi anni, a essere definitivamente cancellato dall'agenda degli impegni governativi. A giustificazione di questa scelta si adduce talora la considerazione che i Governi degli Stati europei sono obbligati a erogare all’unione un quoziente consistente di fondi destinati alla cooperazione internazionale e si sottolinea l'esigenza che le Ong italiane si impegnino (anche attraverso l'adeguamento di progetti alle condizioni richieste) a ottenere i finanziamenti direttamente da Bruxelles. Ora, oltre al fatto che tali fondi non costituiscono che una piccola parte di ciò che andrebbe erogato e non possono perciò diventare un alibi per mettersi a posto la coscienza di fronte a una questione che ha implicazioni morali di rilevante portata, è anche importante denunciare i rischi di tale operazione, che, favorendo inevitabilmente l'ascesa delle grosse multinazionali della cooperazione, finisce per mortificare pesantemente le piccole associazioni e per determinare la dispersione delle già limitate risorse finanziarie in infiniti passaggi burocratici (non si può ignorare quanto è avvenuto anche in un recente passato nel nostro Paese), nonché per vanificare qualsiasi controllo della società civile in questo importante settore.
Ma forse la vera ragione del raffreddamento intervenuto ha motivazioni più squisitamente ideologiche e politiche. Le Ong sono infatti enti che non rinunciano a pensare in modo indipendente, che dialogano con i cittadini rendendo comprensibili a molti i problemi della povertà, del disagio e della discriminazione che affliggono le nazioni povere e denunciando apertamente le cause di tali problemi. È come dire che la vera cooperazione non ha oggi più il carattere paternalistico (in passato frequente, soprattutto in ambito cattolico) dell'assistenzialismo e dell'elemosina, ma si presenta come una forma di rivendicazione di giustizia rispetto al sistema dominante del mondo occidentale basato sulla crescita delle sperequazioni economico-sociali e sull'abuso sistematico dei diritti fondamentali di larga parte della popolazione della Terra. Il linguaggio usato è quello etico; un linguaggio che suona apertamente accusatorio nei confronti di chi continua a difendere un sistema di privilegi come quello occidentale e a farsi paladino di una forma di liberismo selvaggio, che è la causa principale dell'accentuarsi della distanza tra Nord e Sud del mondo.
Giannino Piana
(da Jesus, giugno 2004)