LA LOGICA DI GESTIONE DEL FENOMENO
La Costituzione Gaudium et spes, al n. 77, esprime la convinzione che, dopo la seconda guerra mondiale, il coinvolgimento dell'intero pianeta in una guerra nata in un'area assai limitata, la capacità dimostrata da Hitler e da Hiroshima di annientare una razza o un popolo o l'intera umanità, le nuove profonde connessioni internazionali sia politiche che economiche e militari nate nel dopoguerra, l'intera umanità "ad horam summi discriminis pervenit" (1). Ormai la famiglia umana è legata a un'unica sorte, che può essere un comune sviluppo o una comune distruzione. In bene o in male, quello che avviene in qualunque luogo della terra si ripercuote sull'intera umanità. Il documento non solo annuncia questa realtà oggettiva, ma ritiene anche che di questa realtà oggettiva l'umanità vada sempre più prendendo coscienza.
E in realtà questa visione era stata alla base della nascita delle Nazioni Unite: pur mantenendo il principio inviolabile di sovranità dei singoli stati, e nascendo proprio come convenzione programmatica pattizia (Charter: la Carta costitutiva dell'Onu del 1945) fra stati sovrani, sia nella Carta del 1945 sia nella successiva Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo pone alla base del patto di pace il riconoscimento dei diritti dell'uomo, intendendo l'uomo come every human being (ogni essere umano) o every member of human family (ogni membro della famiglia umana). Con ciò si riconobbe il fatto della crescente interdipendenza fra stati, e la necessità di organizzare tale interdipendenza a determinate finalità comuni. La convivenza - la vita sociale nella sua complessità di molteplici relazioni strutturate e intersecantesi - deve ormai essere concepita come convivenza del genere umano, e il traguardo (sempre asintotico) verso cui questa convivenza deve tendere è il bene comune del genere umano.
Il genere umano sussiste ancora in una pluralità di strutture politiche relativamente indipendenti, ma deve esser visto come una tendenziale unità: la nuova polis che sta nascendo fra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo non deve essere concepita come somma di stati, ma come "famiglia umana" costituita tale da finalità comuni e da perseguirsi in comune. Il concilio Vaticano II - il primo Concilio a partecipazione veramente universale, con la presenza attiva di vescovi di ogni stato e di ogni continente - nella Gaudium et spes usa espressioni non ambigue, quali "genus humanum eiusque historia" (2) "societatis humanum in familiam Dei trasformandae" (3), "Dominus finis est humanae historiae" (4). La "vera et nobilissima pacis ratio" - cioè la logica che deve presiedere alla nuova convivenza - è il rendere più umana la vita di ogni essere umano ovunque sulla terra (5). I grandi temi della cultura, dell'economia, della pace e della cooperazione internazionale vengono visti non nell'ottica di rapporti (bilaterali o multilaterali) fra stati ma sempre nell'ottica fondamentale della famiglia umana. Ad essi dovrebbero oggi essere aggiunti, e sempre nella stessa ottica, i temi dell'ecologia e della comunicazione di massa, temi che nel 1965 non erano ancora percepiti nella loro rilevanza sociale (il rapporto del Club di Roma sui limiti dello sviluppo è del 1972 e la comunicazione di massa - nel suo significato preciso - stava appena nascendo come realtà e come problema). Negli anni '60 regnava un clima di ottimismo non ingiustificato, ma che presto sfumò in una serie di eventi che qui non è possibile elencare e analizzare. Permaneva inarrestabile l'interdipendenza di fatto fra i popoli e gli stati, ma si perdeva la tensione morale verso quella vera e nobilissima concezione della pace e della convivenza che l'Onu aveva indicato e che il concilio Vaticano II aveva letto alla luce della fede.
La globalizzazione era già nata prima che nascesse il suo nome. Era ed è un fatto irreversibile, e come tale già previsto dalla Gaudium et spes. Ma la logica di gestione del fatto è rapidamente cambiata: da un'interdipendenza mirata al bene comune della famiglia umana si è passati a un'interdipendenza mirata all'interesse non tanto di stati o di popoli, quanto di gruppi o "agenzie" che sono andate sempre più consolidandosi, e sempre mirate - per loro natura - a interessi privati prevalentemente economici Questa trasformazione e questo consolidarsi di una globalizzazione a fini privati, per nulla interessata a una qualche idea di bene comune, ha cause tecniche e teoriche che occorre comprendere.
L'EPOCALE TRASFORMAZIONE QUALITATIVA
Certamente, le nuove possibilità di trasferimento (comunicazione) di informazioni, di persone, di merci sono alla base della nuova convivenza. Ma queste nuove possibilità hanno una causa tecnica precisa: la rivoluzione del silicio nel campo dell'elettronica. Senza entrare in dettagli, con l'avvento del transistor, lo stoccaggio (memoria), l'elaborazione e il passaggio di informazioni di ogni genere hanno subito una svolta qualitativa epocale. Oggi, ogni informazione può essere inviata in tempo reale (quasi alla velocità della luce) qualunque sia la distanza, e la quantità di informazioni che possono essere trasmesse contemporaneamente sullo stesso supporto (cavo, etere, satellite) negli ultimi venti anni si è moltiplicata per oltre cento (e sta rapidamente crescendo: satelliti e fibre ottiche sono ormai disponibili per qualunque telefonino tascabile da pochi soldi). Il passaggio dall'analogico al digitale (dalla cassetta al CD) permette oggi di far passare tutti i tipi di informazione attraverso un unico sistema di codificazione-decodificazione (l'autostrada, informatica). La capacità di memorizzazione in supporti minimi è da tutti verificabile in qualunque CDRom. Negli ultimi tre anni, l'avvento della web (Internet) ha messo tali capacità nelle mani di qualunque privato. In un prossimo futuro, con la prevista sostituzione di microstrutture molecolari al posto delle schegge di silicio, si avranno sviluppi ulteriori non ancora dal tutto prevedibili.
Un altro settore che ha subito trasformazioni profonde è quello del trasporto di massa di persone e cose, e anche queste trasformazioni sono in gran parte dovute ai sistemi informatici. Per movimento persone, tutti gli aerei di linea impostano rotta, quota e velocità prima della partenza sulla memoria di un computer, volano senza alcun riferimento visuale con solo sistema strumentale, e nei più recenti i comandi del pilota vanno tutti a un microprocessore che li confronta con una serie di parametri e li attua, se il comando è coerente con essi. Tutto ciò ha reso possibile manovre sicure per grandi aerei altrimenti ingovernabili, decisioni rapide per evitare collisioni su rotte e aeroporti affollatissimi e con velocità di crociera intorno ai 900 km/ora, aeroporti medio-grandi capaci di oltre 700 movimenti (decolli e atterraggi) al giorno. Oggi si stanno preparando aerei da 600-800 posti. Così si può operare a costi molto bassi e quindi a prezzi popolari. Il viaggio dall'Italia a Rio o Tokio a prezzi accessibili fino agli anni '60 durava 20 giorni e oltre; dagli anni '60, circa 18 ore, dagli anni '90, circa 10 ore (con i 747-400 a grande autonomia). Dagli anni '80, treni del tutto normali viaggiano a 250/300 km/ora in completa sicurezza e già è in preparazione una variante per velocità di crociera di 350 km/ora, mentre la sicurezza dei sistemi di regolazione automatica del traffico può essere praticamente assoluta. Vi è più elettronica imbarcata su un treno Eurostar che su un Jumbo.
Ma se il rapido sviluppo (ancora in corso) del trasporto persone ha grande importanza per massicci contatti interculturali, quello del trasporto merci ha un'incredibile importanza economica (cui accennerò fra breve). Oggi, si possono avere navi porta-containers capaci di ospitare 8.000 containers, caricabili e scaricabili (in porti attrezzati) al ritmo di mezzo minuto per container. Oggi, per le grandi distanze tipiche degli Usa o della Russia vi sono treni di 10/15.000 tonnellate (il massimo europeo è 2.000), trainati da 5 locomotori radio-comandati dai due soli macchinisti di testa. In Europa, è impressionante lo sviluppo di treni merci internazionali nel senso nord-sud (colleganti i massimi porti per containers di Rotterdam e Le Ravre con Milano o Pomezia, o il nostro porto di Gioia Tauro con Amburgo) e nel senso est-ovest (per rispondere al crescente movimento merci fra i paesi dell'est e quelli dell'ovest: per es., Romania-Francia-Spagna o Ucraina-Svizzera-Germania).
Questo sintetico quadro tecnico può sembrare estraneo all'interesse del teologo moralista, è invece essenziale per comprendere con quali strumenti stia evolvendosi una nuova polis: solo questa comprensione consente di portare un annuncio adeguato sul nuovo che sta nascendo, andando oltre le generiche (e del tutto vacue) enunciazioni di valori o i reiterati ma altrettanto innocui appelli alla solidarietà. La globalizzazione in atto non è solo e neppure primariamente il moltiplicarsi di rapporti tra i vari stati o le varie aree del pianeta: non è una rapida crescita quantitativa, ma è invece in primo luogo un'epocale trasformazione qualitativa. Si deve riflettere sul fatto fondamentale che la vita associata - e in particolare tutta la vita economica - sussiste in strutture. Fino agli anni '70, le strutture economiche e della comunicazione sussistevano all'interno dei singoli stati ed erano regolate in qualche modo dai rispettivi pubblici poteri; i rapporti internazionali erano sempre, in sostanza, rapporti pattizzi fra stati sovrani anche se mediati o promossi dall'Onu. Gruppi di enorme potere finanziario esistevano e operavano fin dagli anni '30 (già Pio XI poteva denunciare un "imperialismo internazionale del denaro", e la prima vera multinazionale - la ITT - operava in Unione Sovietica nel 1938), ma sempre con il consenso e il controllo del potere politico, a sua volta da essi stessi controllato o almeno condizionato: la figura del lobbyist era ed è pacificamente riconosciuta negli Usa, ed è tuttora fondamentale nel finanziamento delle campagne presidenziali. Ma la realtà strutturale odierna - almeno nei due campi essenziali a ogni convivenza, quali l'economia e la comunicazione - è radicalmente diversa
LA GLOBALIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE E DELLA DISTRIBUZIONII DI BENI
In materia economica, le due strutture di base tradizionali, la struttura produttiva e quella distributiva (mercato) sono ormai planetarie: oggi, qualunque oggetto, anche molto semplice viene prodotto per componenti, e ciascun componente può esser prodotto in un paese diverso. Una modesta videocassetta può avere il nastro giapponese, la parte in plastica tailandese, l’assemblaggio e la commercializzazione per l'Europa francese. I complessi sistemi elettronici di un grosso aereo civile o militare (avionica) sono in buona parte prodotti dall'italiana Alenia, mentre le decine di sezioni della fusoliera possono esser prodotte in altrettanti paesi diversi. Le grandi industrie - come la General Electrics o anche la Fiat - tendono a non produrre più nulla in proprio. L'ultimo aereo della Boeing, il 777, è il primo aereo costruito interamente così, fornendo ai tanti produttori i disegni per via informatica. Oggi, qualunque industria, grande o piccola, fa produrre all'esterno (il farming out) dove il costo del lavoro è più basso: in Europa occidentale oscilla fra 17 e 30 dollari l'ora, mentre in paesi poveri può scendere fino a mezzo dollaro l'ora (si avverta che il salario è molto minore del costo del lavoro). Viceversa, per componenti che richiedono alta specializzazione occorre rivolgersi a paesi e imprese adeguate: nel mondo, le grandi produttrici di motori per aerei di Linea sono solo tre: General Electrics, Pratt & Whitney, Rolls Royce, con in più qualche loro licenziataria.
Quanto al mercato, tutti sappiamo che via Internet possiamo comprare ovunque nel mondo qualunque cosa, restando seduti alla nostra scrivania. Ma il commerciante può conoscere, in ogni istante e in tempo reale, chi nel mondo produce e ha disponibile qualcosa, e a che prezzo, e può immediatamente ordinarla e predisporre i mezzi e i tempi di trasporto e di consegna: oggi il movimento merci sta divenendo sempre più un problema logistico. I singoli governi possono porre dazi o vietare importazioni e esportazioni, ma con efficacia minima c in genere evitabile con triangolazioni. Industrie Usa hanno venduto armi all'Iran tramite Israele. (Il tema dell'intervento governativo nel commercio mondiale è ancora uno dei punti caldi discusso recentemente alla Wto - organizzazione del commercio mondiale - di Seattle).
Qui si vede chiaramente l'importanza rivoluzionaria dell'informatica, ma anche quella delle nuove tecnologie del trasporto merci. Con le possibilità presentate sopra, il costo aggiuntivo del trasporto per unità di prodotto è minimo: in pratica, il costo per il commerciante di qualcosa prodotto a Bangkok o a S. Giovanni in Persiceto è lo stesso, e spesso più vantaggioso se il costo del lavoro a Bangkok è sufficientemente basso. Lo stesso vale per componenti o prodotti commissionati in Ucraina o Romania da piccole industrie del nord-est italiano. Fra parentesi, si osservi come la domanda di trasporto merci cresca in modo vertiginoso e in Europa si riversi quasi interamente sulla strada, perché le ferrovie non sono in grado di soddisfarla: il potenziamento della rete ferroviaria europea si presenta con caratteri di estrema urgenza, non compresa in Italia (o non voluta comprendere) dai titolari di interessi privati di ogni genere e neppure dai Verdi.
MERCATO FINANZIARIO GLOBALE
Tutto ciò - la globalizzazione della produzione e della distribuzione di beni - va però letto in un quadro più generale: ciò costa fatica per chi legge (e per chi scrive) ma non può essere ignorato, se si vuole comprendere la profonda dimensione etico-teologica della globalizzazione. Il quadro più generale da cui in realtà dipende tutta la vita economica è il capitale. Oggi la vecchia figura del capitalista non ha alcun interesse: ha importanza chi gestisce i capitali. Il denaro di risparmio o investimento è affidato sempre (o quasi) a banche o istituti vari, che sempre oggi dipendono da altri istituti che detengono le azioni di maggioranza o di controllo dei primi. Questi istituiti di secondo grado possono a loro volta essere controllati da altri. È ai gradi intermedi o ai vertici di questa rete finanziaria che viene deciso l'impiego dei capitali raccolti da mille fonti, e cioè la destinazione di investimenti in molte forme diverse (azioni, obbligazioni, fondi diversi, valute e molti altri strumenti più complessi).
Queste finanziarie operano ovviamente in vista della massimizzazione del loro profitto, e trovano il loro profitto esclusivamente spostando capitali (per es., da un investimento che promette il 3.4% a uno che promette il 3.8%). Essendo fra loro in concorrenza, non possono fare a meno di cercare il massimo profitto per mantenersi i clienti o per acquistarne nuovi. Le finanziarie possono investire a 6 mesi, ma anche a 12 ore. Oggi, con le nuove tecnologie della comunicazione e dell'elaborazione dati (che permette in base a una serie di dati preesistenti una previsione ragionevole delle attese) le finanziarie possono: conoscere in tempo reale, con aggiornamenti continui, situazioni e tendenze di tutte le aree del mercato dei capitali in tutto il mondo e, di conseguenza, spostare grandi somme da un capo all'altro del pianeta, da un investimento ad un altro, in tempo reale, sulla base di informazioni in tempo reale circa l'andamento del mercato dei capitali in tutte le borse del mondo. Oggi, lo spostamento di 100 miliardi di dollari da Tokio a Francoforte richiede qualche minuto, e sfugge a ogni possibile controllo. I capitali frullano sulla faccia della terra 24 ore su 24 (quando chiude Tokio apre Francoforte) e i principali istituti a ciò addetti hanno turni continui di operatori. Recentemente, è stato calcolato dalla prestigiosa rivista The Economist che ogni 24 ore si spostano sulla terra capitali nell'ordine di 3-10 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari. Quello che viene detto sui giornali circa l'andamento delle borse ha ben scarso significato, se non come tendenza generale e soprattutto per offrire diletto e illusorio senso di importanza ai singoli azionisti privati, incentivandone così la motivazione a investire.
È qui il nodo del problema, e l'istanza vera della sfida con cui ogni Chiesa e ogni cristiano dovrebbero confrontarsi. Cercherò di descriverla per gradi.
1. Vi è oggi una struttura unica, al cui interno si svolge ogni pensabile attività economica: essa non è localizzabile a Tokio o Londra o New York, ma sussiste nel cyberspazio. Non è neppure identificabile con parsone o gruppi di persone determinati e nessuno può dire con certezza chi controlla che cosa.
2. L'unica struttura opera sull'intero pianeta e sfugge a ogni possibile controllo di singoli governi, per potenti che essi siano. Ogni attività produttiva o commerciale, anche se modesta, dipende dalla complessa area degli investimenti. Il mondo della finanza è oggi, come abbiamo già visto, incontrollabile.
3. I singoli governi possono governare l'economia dei loro stati solo entro stretti limiti. Non possono agire direttamente sul mercato dei capitali. Se hanno bisogno di disponibilità di capitali, devono sottostare alle condizioni imposte dal mercato finanziario globale, condizioni che per i paesi poveri sono spesso impossibili da mettere in atto. Se intendono destinare i capitali a scopi sociali o umanitari non sufficientemente redditizi, o imporre tasse sensibili sui capital gains, i capitali fuggiranno altrove.
4. La struttura finanziaria globale ha il potere di mettere in serie difficoltà qualsiasi governo, semplicemente operando sul mercato delle valute. Facendo crollare artificiosamente una valuta, si genera automaticamente inflazione, immiserimento delle fasce più deboli, mancanza di fiducia per investitori interni ed esteri e conseguente disoccupazione. Per sanare la situazione i governi dovranno chiedere sostegno a banche, istituti pubblici o privati, governi stranieri: il prezzo del sostegno sarà sempre e inevitabilmente l'accettazione di regole di governo funzionali alla finanza globale.
5. La struttura. finanziaria globale opera sempre in vista della massimizzazione del profitto. Il mondo della finanza ormai si è separato dal mondo della produzione. Esso non è interessato a che cosa si produce, nè a come si produce: solo la massimizzazione del profitto a ogni costo, ivi compresi i costi umani è interessante. L'imprenditore, produttore o commerciante, può essere un uomo pieno di bontà, disposto a profitti ragionevoli e modesti, cristianamente ispirato: ma se non si adegua alla logica di base della finanza uscirà inevitabilmente dal mercato.
6. La produzione si orienta necessariamente a beni destinati a chi ha soldi. Produrre a basso prezzo per i bisogni essenziali dei poveri della terra è economicamente insensato. Un solo esempio fra mille possibili: le grandi industrie farmaceutiche non hanno convenienza a investire in ricerche per le malattie che flagellano il mondo dei poveri, e cioè malaria e tubercolosi (6). Per l'Aids si studia, perché è una malattia diffusa anche fra i popoli ricchi, ma le terapie hanno costi e richiedono strutture assolutamente inconcepibili per i paesi poveri. Si produce solo per i ricchi della terra (nel quadro della povertà sulla terra, anche un pensionato italiano è ricco), e spesso si induce il desiderio o il bisogno - tramite i media - di beni che non servono a niente, ma che si vendono con alti margini di profitto: rotocalchi, TV, quotidiani sono spesso solo contenitori di pubblicità per prodotti assolutamente inutili.
7. La produzione deve avvenire ai costi più bassi che sia possibile. Ciò impone, in linea di principio, una massimizzazione della produttività. Si impongono, perciò, condizioni di lavoro sempre più disumane in termini di orari e ritmi di lavoro, di condizioni di sicurezza, di salari: il criterio di misura non è mai l'essere umano, ma la sua capacità di produrre ai minimi costi.
8. Ciò impone anche di creare disoccupazione: recentemente e a più riprese, la borsa di New York ha subito bruschi crolli in seguito all'annuncio di una crescita nell'occupazione (che vuole dire, sia meno denaro disponibile per i dividendi sia timore di inflazione con conseguente rialzo dei tassi di interesse). La disoccupazione si crea sostituendo la macchina all'uomo o fondendo imprese che operano nello stesso settore. La richiesta quotidiana, e con forte sostegno politico di ogni destra o centro moderato, di flessibilità, vuole dire in pratica richiesta di poter assumere, licenziare, pagare a proprio piacimento. Parlare ancora di "lavoro a servizio dell'uomo", come un principio indiscusso della dottrina sociale cristiana, nella situazione attuale fa ridere (o piangere), a meno che non si denuncino in modo non ambiguo come anticristiane e antiumane le cause profonde per cui il lavoro oggi non può essere a servizio dell'uomo.
9. Una seria lotta alla criminalità organizzata (mafia mondiale) sarà solo episodica e sostanzialmente senza speranza se non si colpisce il suo momento finanziario. Ma grandi e anche prestigiosi istituti finanziari trovano massimo profitto nel riciclare denaro sporco e finanziare organizzazioni criminali: essi non appaiono, perché operano tramite banche off-shore (in piccoli paesi come nei Caraibi o nelle isolette del Pacifico) gestite da prestanome ed esistenti spesso solo nominalmente, e che - una volta formalmente costituite - sono legittimare ad appoggiarsi a banche importanti di altri paesi, controllate direttamente o indirettamente dai detti prestigiosi istituti.
10. Una qualsiasi soluzione al dramma ecologico non ha senso per il mondo della finanza: si tratta sempre e comunque di costi aggiuntivi, senza adeguato ritorno. In qualche caso, il ritorno vi può essere, almeno a livello di immagine: ma sono casi insignificanti. Un adeguato ritorno vi potrebbe essere sul lungo periodo. E questo vale anche per molti dei precedenti punti: per es., sul lungo periodo (decenni) investimenti in sanità e educazione avrebbero sicuramente un grosso ritorno economico (anche la bibbia della politica economica mondiale, The Economist, comincia a raccomandare tale politica). Ma gli investitori vogliono ritorni a breve: le variazioni di assetto finanziario si calcolano a sei e anche a tre mesi (per quarter).
È nota la spaccatura della famiglia umana fra nord e sud: non posso qui descriverla, ma è utile conoscerla e studiarla in dettaglio. Per questo, rinvio a un mio studio (7), agli annuali Rapporti dell'Undp (United Nations Development Program, rapporti tradotti puntualmente in italiano dall'editore Rosenberg & Sellier di Torino) e all'importante Guida del mondo 1999-2OOO (8). La spaccatura nord-sud è parte integrante del sistema economico planetario, ed è quindi sostanzialmente stabile. Rispetto alla prima denuncia sistematica fatta dalla Commissione Brandt nel 1980, ben poche variazioni vi sono state fino a oggi, e queste per i paesi più poveri sempre in peggio. Viviamo in un sistema in equilibrio globale, dominato quasi esclusivamente dalla ricerca della massimizzazione del profitto privato: ogni possibile idea di bene comune della famiglia umana è estranea al sistema. È perciò pura astrazione dire che la fame nel mondo è colpa di qualche forma di capitalismo esasperato. Oggi, il capitalismo sussiste in questa forma. Non è esasperato: è semplicemente sottratto a ogni potere pubblico che in qualche modo si occupi del bene comune. Non esiste agenzia o potere che stia operando per modificare la struttura attuale dell'economia planetaria.
LA COMPLESSITÀ DELLA SFIDA E LE DIFFICOLTÀ DELLA RISPOSTA
Qui dunque è la sfida per noi. La logica di convivenza è solo l'avere di più perché è di più. L'avere di più come valore in sé è una forma di idolatria espressamente e ripetutamente condannata da Nostro Signore. E anche un'oppressione violenta dell'uomo sull'uomo e una deliberata disumanizzazione non solo del mondo povero, ma anche di quello ricco. Oggi, l'economia di un paese va bene solo se cresce il Pnl (prodotto nazionale lordo) annuo: quello che succede alla gente non interessa. Oggi, il Brasile è ritenuto economicamente sano: 40 milioni di persone vivono a livelli - alti o modesti - paragonabili ai nostri, mentre 120 milioni vivono ai limiti o sotto i limiti della sussistenza. A San Paolo, su circa 18 milioni di abitanti ve ne sono circa 2 o 3 milioni che vivono sotto i ponti delle superstrade urbane, perché non possono neppure costruirsi una baracca abusiva (favela). Sono cifre fornitemi recentemente da un funzionario del governo della città. Ma l'economia è sana. Oggi, in Usa l'economia è ultrasana, e non sanno cosa fare del surplus di bilancio federale; il Pnl è molto più alto che nella Comunità europea. Ma tutti gli indicatori di qualità della vita - attesa media di vita, mortalità infantile, scolarizzazione, assistenza sanitaria - sono peggiori di quelli europei. Ma l'economia Usa, con l'annessa american way of life, è il modello a cui l'Europa è sollecitata da più parti ad adeguarsi. Opportunamente, e sotto l'influsso di A. Sen, Nobel per l'economia, il citato rapporto Undp del 1997 ha introdotto l'indice di sviluppo umano (Isu) come media ponderata dei vari indicatori di qualità della vita. Ma nessun economista e ben pochi politici sono interessati ad esso. Chi si oppone a questa logica idolatrica è considerato semplicemente un comunista, anche - come è successo a me - in ambienti cattolici di alto livello.
Non è pensabile un'inversione di tendenza in tempi brevi: gli strumenti tecnici esistenti sono disponibili per ogni logica di globalizzazione, e cioè di organizzazione della vita della famiglia umana nel suo complesso. Ma oggi sono quasi interamente nelle mani di poteri economici anonimi e non localizzabili, che operano esclusivamente a fini di interesse privato. La via di uscita, come la vedo all'orizzonte, non può essere che culturale: solo cambiando i modelli di vita buona e la concezione della convivenza umana si potrà giungere a un consenso politico nazionale e internazionale sufficiente per creare nuove strutture globali per la convivenza umana. Tale immane sforzo culturale incombe sul cristiano e sulla Chiesa come rigoroso dovere evangelico, ma anche su tutti i sinceri promotori dei diritti dell'uomo. L'annuncio cristiano, con la relativa elaborazione teologica, non può limitarsi all'invito alla carità, alla fraternità, alla condivisione: deve capire quale è oggi l'avversario in tutte le sue palesi e più spesso subdole manifestazioni.
La difficoltà principale di questo annuncio è oggi costituita dal sistema della comunicazione di massa. Quasi tutti i media sono nelle mani dei grandi centri privati di potere economico, e non potrebbe essere altrimenti, visti gli enormi capitali necessari per gestire la grande comunicazione planetaria. Anche gli strumenti più recenti Internet e derivati - da cui molti si aspettavano un 'interattività in qualche modo liberatrice, sono oggi controllati dagli stessi centri di potere. Non vi è portale o motore o altro canale di accesso a Internet che non sia nelle mani di qualche grande corporation: basta leggere le pagine economiche e la pubblicità o le quotazioni di borsa su ogni quotidiano per rendersene conto. Nel 1986, in un Forum organizzato da questa rivista presentai tale prospettiva e fui criticato da tutti gli ottimi studiosi cristiani presenti, salvo - se ben ricordo - A. Ardigò, che mi sostenne coraggiosamente. Quando nel 1995 la Walt Disney comprò l'ABC, e poi la General Electrics la NBC (le due principali reti TV degli Usa) ebbe inizio la vera corsa al controllo dei media, una corsa che oggi è arrivata a un parossismo finanziario. Ma gli ottimi studiosi cristiani sembra non se ne siano accorti. La comunicazione di massa è unidirezionale: passa solo dal nord al sud, e mira fondamentalmente a consolidare quei modelli di vita buona che sono funzionali alla massimizzazione del profitto dei grandi gruppi finanziari.
IN COSA POSSIAMO SPERARE!
Tuttavia, non siamo senza speranza, ed è stupido (e peccaminoso) accettare o subire passivamente questa globalizzazione. In primo luogo, perché il fenomeno è tanto recente e tanto nuovo nella storia umana, che richiede tempo, studio e sperimentazione per essere controllato (si pensi alla faticosa nascita dello stato moderno, al superamento dello stato confessionale, alla nascita - ancora incompiuta - di un'etica sociale, alla fatica cattolica per l'abbandono dell'idea di guerra giusta o della pena di morte). In secondo luogo, perché il diritto internazionale sta gradualmente passando dalla concezione di patto fra stati sovrani all'idea di urgenze della famiglia umana: non per niente, negli Usa è diffusa una profonda repulsione verso l'Onu. In terzo luogo, perché ormai vi è un bisogno di impegno ecologico e di pace sociale planetaria (economica più ancora che militare) ampiamente sentito e diffuso: l'episodio del Wto a Seattle non è stato un fallimento, ma l'affermazione della necessità di ascoltare la voce dei paesi poveri e delle urgenze umane - non solo statuali -del pianeta intero. In quarto luogo, perché mai prima d'ora vi è stato un moltiplicarsi di associazioni di volontariato di ogni tipo e colore che, con tutti i loro limiti, esprimono il bisogno profondo - posto da Dio nel cuore di ogni essere umano - di porsi a servizio dei fratelli. E infine, e soprattutto, perché la speranza cristiana non si estingue mai, ma è fonte inesauribile di impegno. A noi, oggi, è dato di seminare nel pianto, e solo a questo patto altri in futuro potranno raccogliere nella gioia.
Il vecchio teologo rende qui testimonianza: nella sua lunga vita, la Provvidenza ha disposto che potesse conoscere e vivere dall'interno la miseria di quasi tutte le aree povere della terra: ma, al tempo stesso, la Provvidenza ha fatto sì che potesse incontrarsi a livelli molto alti con esponenti di grandi corporations e di altre simili agenzie planetarie, e di conoscerne direttamente la mentalità. Quello che qui ha detto è frutto sì di studi faticosi, ma anche di diretta esperienza. Un triste studio, una triste esperienza: ma noi sappiamo che "il povero non sarà dimenticato, la speranza degli afflitti non sarà delusa" (Ps 9,19).
Enrico Chiavacci
Note
1. GS 77: EV 1/1585.
2. GS 1: EV 1/1319.
3. GS 40: EV 1/1443.
4. GS 45: LV 1/1464.
5. CF, GS 77: EV 1/1585.
6. A conclusione di un recente convegno sulla malaria nel mondo (ora in Atti dell'Università La Sapienza, di Roma 2000) A Bjorkman del Karolinska Institutet di Stoccolma, ha detto: "Dato che la malaria è la malattia dei poveri in particolare dei bambini in Africa, l'industria trova scarsi incentivi a sviluppare farmaci innovativi". Durante la guerra in Vietnam, gli Usa lanciarono un grosso programma anti malaria, ma appena finita la guerra i fondi furono prontamente tagliati. Io stesso ho presentato il problema a un Convegno internazionale dell’Accademia dei Lincei su "Bioetica e tutela della persona", documentando la dipendenza degli istituti di ricerca genomica dalle grandi finanziarie operanti nel settore farmacologico (cf Atti dei Convegni dei Lincei, Roma 2000).
7. E. CHIAVACCI. "In nome del dio profitto", in Jesus 21 (1999)11.
8. Guida del mondo 1999-2000. EMI, Bologna 1999.