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Sabato, 08 Maggio 2021 11:04

La conversione della città malvagia (Giona 3) (Luca Mazzinghi) In evidenza

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La conversione di Dio! Il libro di Giona è certamente molto ardito; Dio ha bisogno di convertirsi? Di pentirsi, persino? In realtà, chi ha già ascoltato il racconto del diluvio non si sorprende più di tanto...

Il testo di Giona 3

1 Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: 2 «Alzati, va’ a Ninive, la grande città, e proclama ad essa il proclama che io ti dirò». 3 Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore.

Ninive era una città grande per Dio; larga tre giornate di cammino. 4 Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e proclamava: «Ancora quaranta giorni e Ninive verrà rovesciata!».

5 I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, si vestirono di sacco, dal più grande al più piccolo. 6 Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il mantello, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. 7 Poi fu proclamato in Ninive questo decreto, per ordine del re e dei suoi grandi: «Uomini e animali, grandi e piccoli, non mangino nulla, non pascolino, non bevano acqua. 8 Uomini e bestie si coprano di sacco e Dio sia invocato con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. 9 Chi sa che Dio non torni indietro, si penta, ritorni dalla fiamma della sua collera, così che noi non veniamo distrutti?».

10Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si pentì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

Una nuova opportunità per Giona (3,1-3a)

Giona si ritrova adesso sulla spiaggia, vomitato dal pesce che lo aveva inghiottito. L’inizio del terzo capitolo deve essere letto in stretto parallelo con l’inizio del primo. «Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore».

Per Giona si apre adesso una nuova possibilità. Dio lo invita ancora, con le stesse parole: «Alzati, va’ a Ninive, la grande città». Ma questa volta c’è una differenza: non si tratta più di gridare «contro di essa», ma «ad essa». La sfumatura è importante: il narratore si serve in questo caso di una tecnica ben nota, la tecnica della ripetizione. La storia sembra proseguire in modo identico a come era iniziata, ma la ripetizione è soltanto apparente. Cambiando infatti «contro di essa» (1,2) con «ad essa» (3,2) il narratore ci suggerisce che il proclama che Giona deve annunciare a Ninive per conto di Dio non è necessariamente qualcosa di negativo. E tuttavia non ci ha ancora detto che cosa Giona debba realmente annunciare a Ninive. Si tratta di una seconda tecnica, la tecnica della reticenza. Il narratore lascia uno spazio bianco a disposizione dei suoi ascoltatori, che probabilmente si immaginano da parte di Dio un messaggio di condanna e distruzione per Ninive. Ma sia lo stesso profeta sia gli ascoltatori di questa storia dovranno ben presto ricredersi: ciò che Giona deve proclamare a Ninive sarà piuttosto causa di salvezza per la città.

C’è poi un’altra differenza con l’inizio del racconto in 1,1-3: là il profeta fugge il più lontano possibile da Dio; qui, invece, accetta di compiere la missione che gli è stata affidata. È davvero cambiato? Dobbiamo attendere ancora un po’ per poterlo dire [1].

Ninive verrà rovesciata! (3,3b-4)

Prima di narrarci della predicazione di Giona il narratore inserisce un dettaglio curioso: Ninive era una città molto grande («grande» è uno degli aggettivi preferiti del nostro libro), tre giorni di cammino. Il testo è volutamente iperbolico; nessuna città antica è grande in questo modo. Ma il punto è un altro: Ninive è «una città grande per Dio»; che cosa significa questa espressione? Se la intendiamo in senso ironico, essa significa forse che Ninive è una città troppo grande persino per Dio; se Dio trova difficoltà a gestirla, che cosa potrà mai fare il povero Giona? E d’altra parte il testo si può anche intendere come il segno della considerazione di Dio per Ninive; essa è «grande per Dio», ovvero è stimata da lui, Dio se ne interessa.

Il messaggio di Giona, riferito al v. 4, consta in ebraico di appena cinque parole: «Ancora quaranta giorni e Ninive verrà rovesciata!». Il verbo che abbiamo tradotto con «rovesciare» è di per sé ambiguo; può significare certo «verrà distrutta», ma in realtà il testo lascia trapelare tutta l’ironia del narratore. Il «rovesciamento» di Ninive, con buona pace delle attese di Giona, sarà di tutt’altra natura: sarà piuttosto la sua conversione. Il verbo ebraico hafak, «rovesciare», infatti, può talora indicare i prodigiosi «rovesciamenti» che Dio provoca nella vita dell’uomo: cf. Dt 23,6: Dio muta la maledizione in benedizione; si veda in particolare Sal 30,12: «Hai mutato il mio lamento in danza»; e ancora 1Sam 10,6, dove lo spirito di Dio muta Saul in un altro uomo.

La menzione dei quaranta giorni ci orienta verso un tempo di attesa, di penitenza, verso uno spazio e una dilazione che vengono offerti a Ninive perché possa accogliere il messaggio divino. E tuttavia l’annuncio di Giona, nella sua estrema sinteticità, conserva un tono severo: il tempo della violenza e della grandezza è finito; Dio annuncia le sue scelte irrevocabili. Come presto vedremo, la profezia di Giona è vera e falsa insieme. Ma resta il fatto che la successiva rabbia di Giona (4,1) avrà una giustificazione: non distruggendo Ninive, la parola di Dio si rivela falsa, e con essa il profeta che l’annuncia; questo è uno dei punti centrali del libro [2].

La conversione di Ninive (3,5-8)

Ci troviamo adesso al cuore del capitolo ed ecco un’ulteriore sorpresa che il narratore ci riserva: gli abitanti di Ninive subito «credettero a Dio», fin dal primo giorno della predicazione di Giona, con una prontezza che contrasta con la precedente fuga del profeta. La fede degli abitanti di Ninive è sottolineata da due gesti penitenziali molto concreti, tipici dell’uomo del tempo: il digiuno e il vestirsi di sacco. Il digiuno richiama la vera fame dell’uomo, fame della parola di Dio (Dt 8,3); il sacco richiama invece l’umiltà e la miseria. Non si tratta dunque di una conversione fittizia; i gesti degli abitanti di Ninive svelano la loro intenzione profonda. Essi credono dunque che si meritano il castigo, e che tuttavia è possibile evitarlo con la penitenza.

Il v. 6 introduce la figura del re di Ninive: tutti si convertono, cominciando proprio dal più potente; il suo gesto è emblematico: scende dal trono e si copre di sacco; si toglie il mantello e siede sulla cenere; ecco il primo «rovesciamento» annunciato da Dio: l’umiliazione del più potente degli abitanti di Ninive.

Il decreto del re riportato nei vv. 7b-9 è particolarmente importante: la conversione di Ninive è realmente universale (cf. «Dal più grande al più piccolo»); decisione insieme dei singoli individui e della collettività (dello stato); decisione che coinvolge l’intera creazione (anche gli animali dovranno digiunare!). Ma il decreto non provoca la conversione; essa infatti è già avvenuta; il decreto si limita a sancirla e a renderla efficace.

La conversione dei Niniviti presenta ancora altre caratteristiche interessanti: il v. 8 la descrive utilizzando il verbo classico per la conversione, shub, che in ebraico indica prima di tutto il «ritornare indietro». Tale ritorno è un allontanamento dal comportamento malvagio e prima di tutto dalla «violenza» (ḥamas). Ricordiamo come la violenza è per la Bibbia il reale «peccato originale» dell’umanità, il motivo per cui la terra viene distrutta dal diluvio (Gn 6,13) [3].

Ninive, in particolare, la capitale del grande e potente impero assiro, incarna qui il comportamento violento dell’uomo che si associa ad altri uomini per schiacciare con la forza il prossimo e così sottometterlo. Ma il pensiero rivolto a Dio provoca l’allontanarsi della violenza: «Dio sia invocato con tutte le forze», dice ancora lo stesso v. 8, introducendo per la seconda volta nel libro il tema della preghiera dei pagani. È ciò che prima degli abitanti di Ninive avevano fatto anche i marinai; e come loro, anch’essi trovano la salvezza. Potremmo dire, attualizzando il testo, che la conversione degli abitanti di Ninive non nasce dal riconoscimento di qualche verità dogmatica o di qualche astratta norma morale; nasce piuttosto dall’aver saputo leggere la propria vita alla luce della parola di Dio che Giona aveva loro annunciato: dall’aver dunque saputo leggere i «segni dei tempi».

E infine: perché il narratore non ci dice nulla sul motivo che spinge gli abitanti di Ninive a convertirsi? La tecnica dell’omissione mi pare particolarmente interessante: la conversione dei marinai ha una ragione ovvia: la paura scatenata dalla tempesta. E quella di Ninive, invece? Il silenzio del narratore serve a preparare la sorpresa dell’ascoltatore della storia quando si accorgerà che mentre i Niniviti si convertono, mentre si converte lo stesso Dio (cf. 3,9-10), l’unico a non volersi convertire è proprio il profeta. I nemici di Israele sono pronti ad accogliere la parola di Dio, non così Giona, l’israelita fedele! Non è vero, sembra dirci il narratore, che viviamo in un mondo relativista e lontano da Dio; non è giusto guardare al mondo con pessimismo: persino gli abitanti della Ninive violenta e malvagia sono capaci di vera conversione.

Dio si pentì (3,9-10)

Il v. 9, che di per sé appartiene ancora al decreto del re di Ninive, è di particolare importanza: «Chi sa che Dio non torni indietro, si penta, ritorni dalla fiamma della sua collera, così che noi non veniamo distrutti?». Per due volte, a proposito di Dio, si utilizza lo stesso verbo shub che è stato usato nel v. precedente a proposito degli uomini. Chi sa che Dio non si converta? Dio può cambiare, se cambia l’uomo.

La conversione di Dio! Il libro di Giona è certamente molto ardito; Dio ha bisogno di convertirsi? Di pentirsi, persino? In realtà, chi ha già ascoltato il racconto del diluvio non si sorprende più di tanto: già alle origini del creato Dio «si pentì» di aver creato l’uomo (Gn 6,6; cf. anche Es 32,14; Ger 26,13 per altri testi analoghi). Il Dio della Bibbia non si vergogna a presentarsi con sentimenti umani. E d’altra parte il cuore del v. 9 sta nella domanda «chi sa?». Il Dio della Bibbia sfugge a ogni determinazione umana. Non siamo noi a dovergli suggerire come comportarsi nei nostri confronti. Il Dio della Bibbia non è la proiezione di desideri umani; è talmente libero da poter essere descritto come qualcuno in grado di pentirsi, di convertirsi, di cambiare idea.

Notiamo ancora come già il capitano della nave, in 1,6, si era posto una domanda analoga, che ritorna ancora nei testi profetici, in Gl 2,14, in contesti non troppo diversi: «chi sa che Dio non ritorni...?». Entriamo davvero nel mistero dell’agire di Dio: la sorpresa è ancora più grande quando scopriamo che il capitolo si chiude ricordando proprio che «Dio si pentì»; Dio vede che la conversione dei Niniviti è reale e si pente di aver voluto far loro del male. Il profeta biblico non è un mago o un indovino. «Forse il Signore avrà pietà di noi...» (cf. Am 5,15 e Sof 2,3); il profeta non è uno che predice il futuro, ma semplicemente uno che parla a nome di un altro e che ha imparato, alla luce di questa parola che non è sua, a leggere la propria storia [4].

C’è dunque nel libro di Giona un problema di fondo che pian piano inizia a emergere: qual è il vero volto di Dio? Un Dio di pura giustizia oppure un Dio di misericordia? Qui iniziamo a intravedere l’importanza di una lettura attenta del libro dei Dodici profeti. Prima del libro di Giona, infatti, il breve libro di Abdia ci ha fatto intravedere l’immagine di un Dio giusto che punisce i nemici di Israele; dopo Giona viene il profeta Michea che in 7,18 ci ricorda come il Signore è uno che «toglie il peccato e passa sopra la colpa». Poi viene ancora il libro di Nahum, che si apre ricordandoci, come vedremo in Gio 4,2, che Dio è «lento all’ira», ma anche che è «grande di forza, perciò non lascerà nessuno impunito». E allora? Qual è il vero volto di Dio? Cominciamo qui a entrare in quello che forse è il punto centrale del nostro racconto. Proprio ciò che ha fatto Dio in Gio 3,10 farà scattare la collera del profeta.

Luca Mazzenghi

Note

[1] La tradizione ebraica pensava che Giona si fosse rivolto in un primo tempo a Israele; non essendo stato ascoltato si rivolge a Ninive. Questa tradizione è presupposta da Mt 12,41; Lc 11,32, che contrappongono Israele agli abitanti di Ninive.

[2] Cf. E. Bickerman, Quattro libri stravaganti della Bibbia, Pàtron editore, Bologna 1979, 46-55.

[3] Cf. A. Wénin, Dalla violenza alla speranza. Cammini di umanizzazione nelle Scritture, Qiqajon, Magnano (BI) 2005 e, in particolare, L. Mazzinghi (ed.), La violenza nella Bibbia. XXXIX Settimana biblica nazionale (Roma, 11-15 settembre 2006), EDB, Bologna 2008.

[4] Cf. A. Mello, La passione dei profeti, Qiqajon, Magnano (BI) 2000, 15-18.

(in Parole di Vita, maggio-giugno 2009)

 

Letto 1161 volte Ultima modifica il Sabato, 08 Maggio 2021 11:24
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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