CAPITOLO II
Dal disagio contemporaneo alla conversione del sacrificio
Sul versante opposto della dottrina della soddisfazione possiamo collocare quello che Bernard Sesboüé chiama il disagio contemporaneo, vale a dire l’atteggiamento di sospetto, quando non di esplicito rifiuto, che alcuni pensatori moderni oppongono nei confronti della dottrina cristiana della redenzione e della salvezza. Scrive Sesboüé: «La forma più elementare del malessere ambientale risiede nell’oscurità, agli occhi della cultura contemporanea, del vocabolario veicolato dalla tradizione e dalla liturgia: divinizzazione, redenzione, giustificazione, a fortiori sacrificio, espiazione, soddisfazione o sostituzione, altrettanti termini che sembrano ormai molto opachi e che non rinviano ad alcuna esperienza o realtà. I termini di liberazione e di riconciliazione, giustamente oggi riscoperti, hanno senza dubbio un impatto reale sul nostro mondo culturale, ma il loro uso rimane spesso evanescente, ed essi non hanno sostituito le categorie precedenti» [69].
L’esempio forse più significativo di questo disagio contemporaneo è rappresentato dal cristianesimo non sacrificale di René Girard. Secondo l’antropologo francese non v’è nulla, nei Vangeli, che possa far pensare alla morte di Gesù come a un sacrificio nel senso di un’espiazione o di una sostituzione: Gesù e il Padre sono estranei a qualsiasi violenza, che va sempre attribuita alle scelte degli uomini. Ora, secondo Girard, la cristianità si è basata, nel corso di quindici o venti secoli, proprio sulla lettura sacrificale della morte di Cristo, allineandosi in tal modo a tutte le altre culture: agli occhi del pensatore francese questo è il malinteso più colossale della storia. Secondo Girard l’anticristianesimo moderno non sarebbe altro che il rifiuto e il rovesciamento del cristianesimo sacrificale, e – di conseguenza – la sua perpetuazione [70].
Altro esempio di disagio contemporaneo, secondo Sesboüé, sarebbe rappresentato da H. Küng, che in Essere cristiani propone di eliminare l’idea di sacrificio espiatorio o propiziatorio, a suo dire divenuta largamente incomprensibile per la modernità. Küng critica anche la nozione di divinizzazione dell’uomo, assai eloquente all’epoca della teologia greca ma oggi priva di significato [71].
Anche Jacques Pohier contesta, e in modo persino più radicale di Küng, l’idea della divinizzazione, che sarebbe soltanto l’espressione del desiderio dell’uomo di sfuggire alla sua contingenza originaria e, in questo senso, il correlato simmetrico della sostituzione. Alla luce della psicanalisi Pohier vede inoltre, nei concetti di espiazione, soddisfazione e sostituzione, null’altro che il tentativo umano di impadronirsi della morte di Gesù per attribuirle fini e significati che essa non ha: la morte di Gesù di Nazaret, per il teologo domenicano, non è altro che un affare di morte, e come tale è al servizio del peccato; già il peccato di Adamo, secondo Pohier, voleva la morte di Dio: disobbedienza e aggressione contro il Padre, voto di morte esercitato contro di lui, desiderio di essere al suo posto (cfr. Gen 3,5). Il domenicano francese – fa notare Sesboüé – prende di mira soprattutto la dottrina di Anselmo d’Aosta, ma anche san Paolo è fatto oggetto di critiche dirette, dal momento che nel pensiero dell’apostolo sono già onnipresenti gli schemi dell’espiazione, della soddisfazione e della redenzione per sostituzione [72].
Tra gli esponenti del disagio contemporaneo Sesboüé include ancora i seguenti pensatori: Georges Morel, che rifiuta non solo l’incarnazione ma, in modo più specifico, anche la redenzione; Nathan Leites, che nel suo Le meurtre de Jésus, moyen de salut? Embarras des théologiens et déplacements de la question dichiara che la dottrina di un’esecuzione capitale che opera la salvezza degli uomini non è più sostenibile; François Varone, infine, che in Ce Dieu censé aimer la souffrance si oppone vigorosamente sia allo schema ascendente (dall’uomo a Dio) che organizza la salvezza attraverso la religione, sia allo schema discendente (da Dio all’uomo) che struttura la salvezza attraverso la fede e passa attraverso un sacrificio di rivelazione [73].
[69] B Sesboüé, op. cit., libro I, p. 35.
[70] Ivi, pp. 41 – 43.
[71] Ivi, p. 37.
[72] Ivi, pp. 38 – 39.
[73] Ivi, pp. 40 – 41; 44 – 46; 46 – 47.