Le pianticelle nei vasi sul davanzale della finestra sono in fiore. È questo l'unico mio segno dell'arrivo della primavera, in quest'inizio anno così fuori dell'ordinario, che mi vede rinchiuso in casa, al pari degli altri abitanti del quartiere. Non ho ancora visto i prati verdeggianti, né il maestoso rifiorire degli alberi da frutta, né la prorompente vitalità che si scioglie ad ogni arrivo di primavera. Il silenzio che pervade ogni angolo della città sembra aver trasformato le case in tante tombe. E noi siamo come fantasmi che s'aggirano negli angusti spazi delle nostre segregazioni.
Vita e morte s'intrecciano in ogni parte dell'universo. Primavera, estate, autunno, inverno, primavera… Ogni stagione possiede bellezze e caratteristiche proprie – ma anche fatiche, lacrime e dolori. Anche il fiore più bello ben presto appassisce e cade nel fango. I meravigliosi colori dell'autunno preludono al seccume e all'imputridimento. Se il seme non marcisce, la vita non germoglia – non ci saranno altri fiori ed altri frutti. Ci sono farfalle che vivono poche ore nel loro variopinto splendore. Ed il seme del grano sotto la neve attende…
Anche la nostra vita ha le sue stagioni – con le sue gioie ed i suoi dolori. Che cosa sarebbe la nostra vita, se ci fosse una sola stagione? E vivendo ora in giorni di stretta e d'affanni ci rendiamo conto di quanto sia importante non essere soli, d'aver bisogno d'amore ed altro amore. Ora ci basta ben poco: un raggio di sole sul viso, la leggera brezza che ci accarezza, il canto dell'usignolo nascosto nel suo nido tra il fogliame dell'edera… Per assaporare le mille piccole gioie quotidiane dobbiamo sentirne, a volte, la mancanza. È l'assenza che ci rivela il valore di tutto ciò che c'è dato. È il vuoto a colmare la nostra sete mai sazia…
Senza le nebbie, i ghiacci ed i freddi dell'inverno, cosa sarebbe la primavera? Anche il deserto più arido alla prima pioggia s'ammanta di un sorprendente tappeto fiorito. E c'è dato di aprirci alle ragioni della speranza in questi giorni in cui dobbiamo misurarci con l'epidemia, la malattia, la morte. Quando incerti sono il nostro futuro economico e la nostra sopravvivenza. Non perché si vorrebbe lasciare pagare il prezzo più alto ai più poveri, ma perché si sta maturando in noi la convinzione che molto dovrà cambiare nelle nostre vite. Forse, non tutto andrà bene. Ma non per questo smetteremo di pensare il meglio – nonostante le sconfitte ed i giorni bui.
Ci voleva un microscopico organismo a procurarci una crisi proficua? Questi giorni di forzata quarantena ci aiuteranno a fare pulizia di tutto il ciarpame che abbiamo accumulato? A trattenere – con nostalgia – il poco che ha veramente valore? Sono le cose invisibili a svelare ciò di cui abbiamo veramente bisogno? È nell'infinitamente piccolo che c'è dato di scoprire cos'è veramente grande in noi? Ci voleva una ferita così dolorosa per fare breccia nei nostri cuori inariditi? Ci voleva un vuoto così grande perché s'iniziasse a fare un po' di posto in noi?
E celebreremo la pasqua, ma non nelle nostre chiese. Quest'anno non ci sarà il braciere con il fuoco né il bacile dell'acqua benedetta. Non accenderemo i nostri lumi al cero pasquale. Non scenderà l'acquasanta sul nostro capo. Non ci accosteremo alla mensa del pane e del vino…
Leggeremo gli antichi racconti ed esulteremo con parole nuove. Accenderemo un lume e metteremo sul tavolo un piccolo ramo fiorito di mandorlo (1). Quale segno del possibile compimento delle nostre attese. Rinnoveremo le nostre promesse – prolungheremo la nostra veglia, nel silenzio della notte. Saremo viandanti lungo le strade dei nostri cuori. Vivremo nel silenzio e nella solitudine della nostra povertà liturgica. E sosteremo in una prolungata quiete davanti al segno della tomba vuota…
E, forse come non mai, domani ci leveremo radiosi, nel mattino di questa Pasqua.
Faustino Ferrari
1) Cfr Ger 1,11-12. Il mandorlo è il primo a fiorire in primavera. In ebraico la parola mandorlo può essere letta anche colui che vigila.